La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte II - Bersezio Vittorio

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non le vide nemmanco.

      – Ancor io ho recato meco delle mie pistole: disse a sua volta San Luca; e faccio la stessa affermazione riguardo al marchese, che non le conosce nè punto nè poco.

      – Sta bene; tiriamo la sorte quali di queste armi si debbano adoperare.

      Il conte San Luca prese dalla sua borsa uno scudo e lo gettò in aria.

      – Testa: disse Quercia.

      Lo scudo caduto sulla neve mostrava il profilo di Luigi Filippo di Francia.

      – Ha vinto: disse il conte inchinandosi. Si adopereranno le loro armi.

      Gian-Luigi aprì la sua cassetta e prese a caricare le pistole in presenza degli altri tre padrini; quando ci aveva messo la polvere e il proiettile, passava l'arma al conte San Luca, il quale la innescava col cappellozzo.

      – Mi permettano una parola, signori: disse Quercia, poichè le armi furono pronte. Loro sanno che noi siamo gli offesi, e in che modo non occorre rammentare. Il duello adunque, come già ne patteggiammo ier sera il conte San Luca ed io, non avrà termine, finchè da parte nostra non ci dichiareremo soddisfatti.

      I padrini del marchese acconsentirono con un cenno di capo; quindi, salutatisi profondamente, Selva e Quercia si accostarono a Benda, mentre gli altri due si dirigevano verso il marchese.

      Armato ciascuno d'una pistola, i due avversari furono posti alla distanza di 15 passi l'uno dall'altro.

      – L'arma è buona: disse Quercia a Francesco: e non iscarta punto. Mirate giusto a metà corpo; il grilletto non è duro.

      – Va bene: rispose freddamente il giovane; e poi stringendo forte la mano a Giovanni, gli susurrò all'orecchio: – In ogni caso ti raccomando sopratutto mia madre, ricordati!

      Giovanni corrispose con una stretta di mano forte del pari, che era una promessa ed un solenne impegno.

      – Signori: disse ad alta voce il dottore, ponendosi cogli altri padrini a metà della distanza fra i due combattenti: signori, batterò tre colpi colle mani, al primo essi armeranno la loro pistola, al secondo prenderanno la mira, al terzo faranno fuoco.

      Egli s'apprestava a battere il primo colpo, quando due carabinieri voltarono correndo la cantonata del muro e comparvero sulla scena gridando:

      – Ferma, ferma!

      Il marchesino che dava le spalle al luogo onde venivano i carabinieri, si voltò, e viste le monture degli agenti della forza pubblica, la sua faccia espresse la più disgustosa meraviglia.

      – Oh, oh! esclamò egli con disdegno: c'è qualcuno che ha saputo informare per bene la polizia del nostro ritrovo e della cagione di esso.

      E gettò uno sguardo supremamente sprezzoso sopra Francesco e i suoi padrini che s'erano accostati a gruppo.

      – Signor sì: disse con isdegnosa insolenza Gian-Luigi. Tutto sta a vedere da qual parte debba cercarsi questo qualcheduno.

      Baldissero arrossì fin sulla fronte.

      – Per Dio! Ella oserebbe sospettare di noi?

      – Ella osa bene mostrare sospetto sul conto nostro.

      A quel punto comparve alla cantonata del muro un uomo studiosamente avviluppato in un mantello, avresti detto più ancora per nascondersi la faccia che per ripararsi dal freddo. Era messer Barnaba che veniva a sopravvegliare l'esecuzione degli ordini ricevuti.

      – Qua le armi: disse uno dei carabinieri, e lor signori ci dicano tosto il loro nome.

      Scrissero il nome di tutti un per uno sopra un loro taccuino.

      – È finita la commedia? Disse il marchesino con isprezzante ironia.

      – Finita o non finita; rimbeccò con vivacità Gian-Luigi, non fa punto onore al suo autore; e ciò posso affermare con sicurezza, che simile indegno personaggio non si trova fra noi tre.

      – Questa è quistione, rispose superbamente di Baldissero, la quale potrebbe venir sciolta altrove fra di noi, se il modo con cui ha avuto termine la presente non ci levasse del tutto il coraggio e la voglia di siffatte partite con simil gente.

      – Tregua agl'insulti! Gridò con imponente accento il dottor Quercia facendo un passo verso il marchesino; ma più innanzi verso codestui si fece Francesco Benda che schizzava fiamme dagli occhi.

      – Oh che crede Ella che in questo modo tutto abbia avuto termine fra noi? Non sarà così, per Dio! a niun conto.

      L'uomo dal mantello s'accostò d'un passo al gruppo de' nostri personaggi e col capo accennò ai carabinieri la persona di colui che aveva parlato per ultimo.

      – È dunque Lei l'avvocato Francesco Benda? Dissero i carabinieri, mettendosi innanzi al giovane e disgiungendolo così dal marchesino.

      – Sì.

      – Ella avrà la compiacenza di venire con noi sino dal signor Commissario di polizia che molto desidera parlarle.

      Tutti gli astanti fecero un moto di spiacevole meraviglia.

      – Io? Esclamò Benda. A qual fine?

      – Glie lo dirà il signor Commissario.

      – E se mi rifiutassi d'andarvi?

      – Saremmo costretti di condurvelo colla forza.

      – È dunque un arresto il mio?

      I carabinieri fecero un cenno affermativo.

      L'impressione fu in tutti viva e diversa: Gian-Luigi diede una rapida sguardata all'ingiro, come per vedere se vi fossero probabilità di fuga; Selva si avanzò quasi minaccioso come per opporre la resistenza a quell'atto prepotente; il marchesino ed i suoi compagni mostrarono un orgoglioso disdegno.

      – Ecchè? Disse superbamente Baldissero. Avete ordine di arrestarci?

      – Lei no, signor marchese, risposero i carabinieri, nè altri qui dall'avv. Benda in fuori.

      Selva e Francesco erano un po' impalliditi. La loro mente era corsa alla congiura che paventavano fosse scoperta. Quercia che osservava tutto, s'accorse come vi dovesse essere alcuna ragione da far temere ai due giovani più triste conseguenze da quell'arresto che non quelle cui avrebbe avuto il duello mancato: si rivolse al marchesino e gli disse vivamente:

      – Ella vede quanto fossero ingiusti i suoi sospetti. Il suo onore medesimo, signor marchese, non consente che lasci così arrestare il suo avversario.

      Baldissero lo interruppe con un gesto vibrato che voleva dire: – Ho capito e so ben io che cosa mi tocca di fare; poi con quell'accento di supremazia che dà la coscienza del proprio grado, disse agli agenti della forza pubblica:

      – Io sono il figliuolo del marchese di Baldissero ministro di Stato. Rispondo io per l'avv. Benda.

      – Do la mia parola, esclamò vivamente Francesco, che mi presenterò io stesso questa mattina medesima dal signor Commissario: ma prima lasciatemi andare a riabbracciare la mia famiglia.

      – Siamo dunque intesi: soggiunse il marchesino con quel tono d'autorità;

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