Sola di fronte al Leone. Simone Arnold-Liebster

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Sola di fronte al Leone - Simone Arnold-Liebster

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istituito un “nuovo ordine”, fondato sul ripristino della schiavitù, sull’azzeramento delle libertà, sull’annichilimento delle diversità.

      Sotto l’apparente asetticità e enigmaticità di tali, ed altre, espressioni, si celava infatti l’intendimento di distruggere il pluralismo che aveva fino ad allora caratterizzato il nostro continente, nel nome della presunta superiorità di un gruppo umano, per l’appunto definito “razza”, che avrebbe dovuto trionfare in ogni dove, affermando incontrastato la sua supremazia e la sua signoria. Chiunque non fosse rientrato all’interno di questo rigido schema era destinato, prima o poi, a subire i rigori di un potere che si voleva assoluto e totalitario. Assoluto poiché senza contrappesi né, tantomeno, alternative a sé medesimo. Totalitario perché vocato a conculare non solo le libertà civili e politiche ma anche il principio stesso di autonomia individuale, ovvero quell’intimo spazio nel quale l’identità di ognuno di noi si manifesta, si esprime e si articola. Quell’intimo spazio ove ha sede quel “cuore vigile”, di cui ha parlato Bruno Bettelheim, che è la risorsa prima ed ultima di contro alla seduzione del male, la cui banalità e ovvietà sono allla radice della perduranza della forza di attrazione che riesce ad esercitare sulle collettività. Poiché mai un progetto tanto infausto e criminale, quale quello nazista, ebbe nella storia dell’uomo ad alimentarsi di così tanti e tanto anonimi collaboratori e sciatte controfigure. La macchina dell’assassinio di massa non richiedeva menti criminali. Gli strumenti della repressione non erano agitati da delinquenti patologici. In entrambi i casi si aveva a che fare con uomini comuni, padri di famiglia, che potevano accarezzare il proprio figlio così come, nel medesimo tempo, rivelarsi vocati ad uccidere quello d’altri.

      Esula da queste brevi considerazioni introduttive una qualsiasi riflessione sulla teodicea ed anche una qualsivoglia teleologia dei processi storici. Ad altri demandiamo ciò. Lo storico non è avvezzo alla metafisica delle macrointerpretazioni, quelle connotate dal ricorso a categorie ermeneutiche tanto ampie da non riuscire a spiegare alcunché. Semmai cerca di rifarsi alla concreta materialità dei fatti e alla fisicità degli attori umani che vi prendono parte, a volte come registi altre volte, più frequentemente, come comparse.

      E tuttavia la riflessione su eventi così connotati, nella loro drammatica cogenza, quantomeno dal punto di vista degli effetti che produssero–sui corpi come nelle menti–non può non fare ricorso anche al serbatoio di idee e suggestioni che il pensiero filosofico e morale offre a chi fa della storia obiettivo della propria ricerca.

      Se non altro perché sta nel suo laboratorio di studioso – e quindi gli appartiene – lo strumento non solo della mera descrizione ma anche della interpretazione. Simone Arnold Liebster, nel resocontare un lasso di tempo, i dodici anni del nazismo, non troppo lungo, cronologicamente parlando, ma esasperatamente dilatato dal punto di vista degli accadimenti, tanti e terrificanti, ci parla di quel che gli successe ma ci offre, dal suo punto di vista, anche delle chiavi di lettura. Lo fa con la voce e il pensiero di una fanciulla che è posta, ben presto, dinanzi all’evidenza dei fatti. Ovvero, di come un mondo allo stesso tempo vissuto come intonso e arcadico, agreste e urbano, quello della famiglia, si sfarini di fronte all’evoluzione degli eventi. Dentro la famiglia stessa, con la scelta per parte dei genitori di divenire testimoni di Geova, con tutta l’ostilità che tale opzione ingenera nell’ambiente circostante. Fuori di essa, nel momento in cui la corda si stringe intorno al collo di quanti, con l’occupazione tedesca dell’Alsazia, ricadono sotto la giurisdizione delle autorità naziste. Che con i Bibelforscher, gli Studenti Biblici, avevano una partita aperta che intendevano concludere una volta per tutte. Definitivamente, come era nel loro stile e come da consolidata prassi d’ufficio, quella della morte. Non attraverso una qualche accordo, che i secondi peraltro mai avrebbero accettato, ma con la soppressione della denominazione cristiana e, possibilmente, dei suoi stessi aderenti. Mal si accordava, infatti, la compresenza negli stessi luoghi di una religione politica qual era il nazismo con un gruppo di persone che del diniego alla deferenza verso quel tipo di potere secolare facevano una delle loro ragioni d’essere. Emblematico a tale riguardo, nella sua lineare semplicità, il conflitto che si ripete tra la richiesta di salutare con il braccio teso e il richiamo ad Hitler i propri superiori, a scuola come nella vita associata, e la persistenza del rifiuto per parte di una ragazzina qual era Simone. Che si ingegna riguardo ai modi per poter tenere fede a quello che reputa essere un principio inderogabile – il rifiuto di compiere gesti iconofili – nel mentre, con una sorta di inesorabilità tanto burocratica nei modi quanto abominevole negli effetti, la macchina del persecutore si metteva in modo. Adoperandosi con solerzia in una serie di pratiche che seguivano una trafila collaudata: identificazione del “trasgressore”, sua stigmatizzazione pubblica, separazione dalla collettività e, in un crescendo che culminava spesso nella tragedia, isolamento detentivo, deportazione ed eventuale soppressione fisica.

      In questo, come in tanti altri casi, proprio per colpire non chi faceva ma chi, come Simone, intendeva astenersi dal fare.

      Poiché la peculiarità delle violenze e dell’arbitrio, sistematicamente messi in campo dal regime nazionalsocialista contro i testimoni di Geova, tedeschi ed europei, trovava nella vocazione a dire di no per parte di questi ultimi, la sua ragion d’essere. Nessuno degli appartenenti a questa denominazione fu colpito per quel che si riteneva avesse fatto in quanto privato cittadino. Socialmente irreprensibili, coloro che praticavano convincimenti di tal genere non si segnalavano alle autorità di certo per un qualche motivo che non fosse riconducibile alla loro tenacia spirituale. E’ quindi nel rifiuto ad aderire a pratiche coatte, imposte dal regime e fatte proprie dalla società tedesca, che si struttura e si manifesta la natura della resistenza, per appunto spirituale, dei Bibelforscher. Non siamo in presenza di un movimento politico, di un’associazione d’opposizione, di un gruppo di antagonisti bensì di una comunità religiosa che viene perseguitata poiché non scende a compromesso. Ben sapendo che quest’ultimo, qualora avesse avuto corso, fors’anche solo per comprensibile amor di quiete, avrebbero minato alle fondamenta la stessa ragione sociale della professione di fede. Che è qui intesa come atto totale, come orizzonte di senso e di significato. E sui contenuti della quale non ci pronunciamo, non essendo questa la sede per tale riflessione. Ma che il lettore deve sapere riconoscere, poiché è a partire da essa e dalla sua pervicace reiterazione che germina la reazione nazista. Unitaria nei suoi obiettivi – spezzare un movimento spirituale visto come sovversivo – e tuttavia diversificata, a geometria variabile nei modi e nei tempi.

      I trattamenti distinti ai quali vengono sottoposti i diversi componenti della famiglia Arnold, ovvero Simone, il padre e la madre, così come i loro correligionari, sono il riscontro di questo criterio d’azione posto in essere dai carnefici. I testimoni di Geova, nell’ottica nazista, non appartenevano ad una razza inferiore, ad una “stirpe maledetta”, ma costituivano il palmare esempio di un gruppo di “ariani in errore”. Errore grave, non peccato veniale, al quale poteva corrispondere anche la pena capitale.

      Se, tra le altre cose, il rifiuto di salutare il nuovo duce della risorta Germania e la lettura dei testi biblici comportarono per la piccola Simone il ratto dalla famiglia e l’internamento in un luogo di “rieducazione”, per i giovani maschi appartenenti a tale denominazione l’esercizio dell’obiezione di coscienza nei confronti della leva obbligatoria presentava esiti ancor più drammatici se non tragici. Secondo un copione il più delle volte eseguito senza rimorso alcuno per parte degli assassini, colui che in età di assolvimento del servizio militare diceva no precipitava prima in un lager dove vi veniva trattato secondo i procedimenti previsti per la punizione di tale gesto, implicanti la morte. Non prima, però, di aver vissuto il supplizio della violenza gratuita.

      Che i testimoni di Geova, o più propriamente coloro che allora venivano ancora chiamati “Studenti Biblici”, siano state vittime dei regimi totalitari, ed in particolare modo di quello nazista, è cosa ancor oggi scarsamente risaputa. I motivi di questa omessa consapevolezza sono tra i più vari. Vi è senz’altro il calcolato disinteresse per parte di certuni, che vedono in tale persecuzione un evento non facilmente assimilabile al novero delle molteplici tragedie occorse in quegli anni a più gruppi ed individui. Qualificati tutti per attribuiti distinti e diversi da quelli che connotarono i Bibelforscher.

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