Jessica Ek. Giovanni Haas
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Jessica normalmente non racconta di essere in grado di leggere il pensiero, per evitare di spaventare la gente o di essere presa per una squilibrata; Elisa, però, si è già confrontata con le capacità sensitive di Matteo, e Jessica si sente libera di raccontarle di cosa è capace, in modo che possa capire meglio la sua storia.
«Quando sono andata a parlare con mia madre, non voleva raccontarmi dei miei fratelli, si vergognava. Ma il suo pensiero è stato così forte che non poteva sfuggirmi, e ho rivisto la sua sofferenza nel doversi staccare da loro e gli sforzi che ha fatto negli anni per tornare sulle loro tracce.»
Elisa le prende una mano. «Jessica, mi devi perdonare. Sono stata un’egoista poco fa. La mia reazione è stata quella della madre protettiva e spaventata e… »
«E perché mai?»
«Quando hai suonato il campanello e ho aperto la porta, ti ho vista come qualcuno che voleva portarsi via il mio Matteo, non avevo capito quanto fosse importante per te ritrovare quella parte di famiglia che non hai mai conosciuto.»
«Non voglio portarle via suo figlio.»
«Certo, l’ho capito e ho intenzione di aiutarvi a trovare vostro fratello. Dimmi, cosa posso fare?»
«Vede, Elisa…»
«Ti prego, dammi del tu.»
«Ti ringrazio. Purtroppo, non so neanch'io come fare a trovare Ronaldo.»
«Ronaldo?» Elisa spalanca gli occhi.
«Sì, Ronaldo. Ti dice qualcosa?»
La donna sembra terribilmente confusa.
«Elisa?»
«Non ci avevano detto che fosse suo fratello.»
«Chi non ve lo aveva detto?» Jessica sbarra gli occhi.
«Quando, dopo tanti mesi di attesa, dall'orfanotrofio ci confermarono che la nostra candidatura come genitori adottivi era stata accettata e che c'era un bambino che corrispondeva a quanto da noi desiderato – richieste che si limitavano al sesso e all'età – ci dissero anche che si chiamava Ronaldo.»
«Quindi è come speravo io, erano nello stesso istituto! È per questo che sono venuta qui, ho bisogno del nome di quell'orfanotrofio.»
«Istituto Santa Margherita, vicino a Frosinone, ma temo che purtroppo non ti servirà a nulla.»
Jessica perde il sorriso.
«Cosa vuoi dire?»
«Ci vollero circa due mesi prima di ricevere il via libera per andare a conoscerlo. Avremmo dovuto passare alcuni fine settimana con lui per avere il definitivo benestare all’adozione. Noi naturalmente avevamo già preparato la sua cameretta e sulla porta c'era il suo nome, che mia madre aveva ricamato con delle letterine nei colori dell'arcobaleno. Tutto era pronto, i nostri più cari amici e parenti erano preparati a dare il benvenuto a Ronaldo, ma...»
«Cosa accadde poi?»
«Beh, arrivati all'orfanotrofio per la prima visita, la direttrice ci accolse sul portone d'entrata. Io mi aspettavo che avesse Ronaldo accanto a sé e che fosse circondata da altri bambini, invece era sola. Si capiva che non era serena e aveva un'aria molto stanca. Quando ci diede la mano per salutarci, notai che indossava dei guanti di cotone bianco, come quelli di un autista di limousine. Un'altra cosa che mi colpì fu come teneva sempre una certa distanza da noi, più di quanto facciano normalmente le persone che stanno parlando. Non mi era sembrato un atteggiamento adatto a chi si doveva occupare di bambini. Ci invitò ad accomodarci nel suo ufficio, e lì il suo viso si fece ancora più serio di quanto lo era stato sino a quel momento. Marco le chiese di Ronaldo…»
Jessica può sentire chiaramente le forti sensazioni che stanno riemergendo in Elisa, il volto della direttrice è ormai sfocato, ma è in grado di vivere quei momenti come se quei ricordi fossero suoi.
«Signori Balestra, purtroppo devo darvi una brutta notizia.»
«Quale notizia, dov'è Ronaldo?» domandò Marco.
«Due giorni fa si è sentito male, ha avuto la febbre molto alta, noi pensavamo che fosse influenza.» La direttrice fece un bel respiro, turbata. «Ieri sera, invece, è peggiorato e lo abbiamo portato in ospedale.»
«Ma… ma…» A Elisa non uscirono le parole.
«I medici dicono che è meningite.»
«Meningite?» ripeté Marco.
Elisa collegò i guanti e la distanza che aveva tenuto fino a quel momento la donna.
«Ieri sono venuti dei medici e hanno messo in osservazione tutta la nostra struttura. Qui abbiamo diciassette bambini, la cuoca e due educatori, siamo in troppi per essere ospitati in ospedale. Ora sono tutti nelle loro stanze e ci sono due infermiere che ci tengono sotto controllo.»
«Ronaldo come sta?» volle sapere Marco.
«Sono stata con lui tutta la notte, è per questo che non sono riuscita ad avvisarvi. È da ieri che…»
«Ronaldo come sta?» Elisa ripose la domanda in modo più duro.
«Questa mattina è entrato in coma, i medici dicono che non ce la farà.»
«Ma come fanno a dirlo? Magari Ronaldo è un bambino più forte di quel che credono.»
«Purtroppo la meningite è un'infezione che, se non viene diagnosticata immediatamente, non lascia alcuna possibilità, soprattutto in bambini così piccoli.»
Elisa si alzò e andò alla finestra, dove scoppiò a piangere. Marco la raggiunse e l'abbracciò.
«Signori Balestra, so di avervi dato una notizia terribile, ma io avrei una richiesta da farvi.»
I due non si voltarono.
«C'è un bambino della stessa età di Ronaldo che…»
«Ma con che coraggio, in un momento come questo…»
Elisa quasi gridò. Si girò verso la direttrice e vide il suo volto pieno di lacrime. Stava soffrendo quanto lei. «Mi scusi, mi scusi tanto.»
Lasciò le braccia del marito e andò verso la donna per abbracciarla, ma questa, capite le sue intenzioni, fece un passo indietro e alzò la mano per non farla avvicinare.
«Ronaldo è qui con me da due anni, e per me…» La direttrice non riuscì a finire la frase per i singhiozzi causati dal pianto che ormai non riusciva a trattenere ed Elisa uscì dalla stanza.
«Eli?» provò a chiamarla Marco, poi si scusò con la direttrice e la seguì.
«È una storia terribile» dice Jessica con un nodo in gola e gli occhi lucidi.
«Sì, è stato terribile e mi dispiace che tu abbia dovuto sapere così che…» dice