Jessica Ek. Giovanni Haas
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Gettato uno sguardo alla stanza si rimette al lavoro. In fondo Matteo crede di essere migliore di lui, solo perché possiede quella graziosa baita vicino al bosco e un discreto buon gusto nel vestire, ma lui gli vuole dimostrare che è perfettamente all’altezza di portare a termine un ingaggio importante come quello. La cosa più importante è ritrovare quella ragazza sana e salva, questo è certo, ma la vorrebbe trovarla lui.
Dal plico che aveva già passato in rassegna, prende la fotografia più grande di Francesca, circa venti per quindici centimetri, e l'appende vicino al promemoria di pagamento con tre punti esclamativi. È un mezzo busto di profilo, ma con il volto girato verso l'obiettivo; lei sta sorridendo e ha una mano all'altezza del petto con il pollice alzato. Indossa un maglione di lana a rombi di tutti i colori e lo sfondo, che non è a fuoco, va dal giallo all'arancione, con qualche sfumatura di rosso; Nico non riesce a capire se si tratti di un muro o di un telo da fotografo, gli è chiaro invece quanto Francesca sia una ragazza fotogenica.
Prima di tornare a sedersi stacca il foglio con la scritta in rosso e lo infila nel cassetto con la posta non aperta, poi apre il suo portatile e va alla ricerca degli ultimi lavori di Erica Blum, solo per rendersi conto che Edo è stato molto efficiente: nella cartella che gli aveva passato non mancava neppure un articolo che facesse riferimento al serial killer.
Gli articoli più recenti che trova nel web scritti dalla giornalista del Quotidiano si riferiscono però a tutt'altro, un argomento decisamente più leggero: le micro comunità contadine.
L'estate precedente il suo reportage l'aveva portata un paio di settimane in Sudamerica, e al suo ritorno aveva raccontato la storia di alcuni ecuadoriani che ogni autunno giungevano in città, occupando le uscite dei grandi magazzini e chiedendo soldi in cambio di un po' di musica suonata con il flauto di Pan. Con l'appoggio del suo editore, interessato a realizzare una serie di servizi per il settimanale Fatti, aveva poi sostenuto e realizzato una piccola comunità di sudamericani nelle colline del Piemonte. Là riescono a vivere coltivando e imparando differenti metodi di produzione. Alla scadenza del permesso di soggiorno rientreranno nella loro terra e insegneranno ad altri quanto appreso in Italia, e al loro posto giungeranno altri connazionali.
Nico sorride tra sé e sé.
Quel ciclo si sarebbe ripetuto finché il giornale avrebbe avuto un riscontro in termini d'interesse da parte dei lettori, poi il finanziamento, seppur di rilevanza minima, sarebbe andato a farsi benedire .
Secondo quanto scritto nella copia dell'ultimo rapporto di polizia comunque, il 15 novembre 2011 era giunta al centralino della polizia la telefonata di una madre preoccupata: la figlia di ventiquattro anni non era rientrata a casa dopo una cena con i nuovi colleghi dell’Ufficio tecnico della città, dove aveva appena trovato lavoro come ingegnere civile.
Inizialmente il caso fu sottovalutato: una direttiva interna disponeva che ogni denuncia di scomparsa che poteva rientrare nel caso del Killer delle Laureande doveva essere passata al team appositamente creato. Il fatto che fossimo a metà novembre e che la ragazza fosse già inserita a tutti gli effetti nel mondo del lavoro, fece sì che solo durante la denuncia formale – più di trentasei ore dopo la sua scomparsa – l'agente si rendesse conto che si trattava di una neolaureata in architettura e che, quindi, doveva dare subito l'informazione ai colleghi, con un ritardo di quasi due giorni.
Il mattino seguente la Blum – e il giorno dopo tutti gli altri giornalisti – fece riesplodere la paura, parlando della povera Francesca.
Nico si alza e passeggia nervoso per la stanza.
Martina l'ha uccisa subito, Monica dopo sette giorni e oggi sono nove giorni che è sparita Francesca. Se è stato lo stesso assassino a rapirla, significa che sta prendendo coraggio: si prende più rischi e non ha fretta di ucciderla. Ma perché aspettare? Certo che se quello che vuole è far passare un messaggio, più giorni passano e più la gente parla di lui e della falsa laurea di Monica. Ma se non lo fermiamo, alla fine ucciderà anche lei. Dobbiamo trovarla al più presto.
***
Scesa dalla macchina, Jessica prova sensazioni particolari: riconosce l'ingresso dell'istituto Santa Margherita dalle foto viste su internet, ma non le sembra di trovarsi in un posto dove possano essere stati cresciuti dei bambini piccoli, come erano Ronaldo e Matteo.
Il prato incolto che vede, con l'erba ormai divenuta fieno e con i cespugli spinosi che hanno attecchito qua e là, una volta doveva essere stato un gioioso parco giochi, con un tappeto verde, un’altalena, uno scivolo e magari una vasca riempita di sabbia, il tutto guarnito dal baccano di bambini che s'inseguivano e si divertivano.
Sul cortile di sabbia e ghiaia dove ha parcheggiato vi sono uno scooter e un paio di motorini, uno dei quali con parti del motore smontate e degli attrezzi da meccanico accanto.
Grazie alle ricerche fatte in internet, si è documentata sulla storia dell'orfanotrofio: era una struttura all’avanguardia e molto apprezzata, grazie ai metodi di lavoro con i bambini. Con gli anni, aveva saputo adeguarsi alle nuove esigenze dei suoi ospiti, cercando di essere moderno ed efficace. La direttrice Del Biagio aveva raccolto molte simpatie tra la gente e le aziende della regione che, oltre a qualche piccolo contributo finanziario, si offrivano per ospitare alcuni ragazzi in laboratori, officine o fattorie, così da insegnare loro un mestiere da mettere in pratica una volta lasciato l’istituto. Ogni anno al più dotato la provincia di Frosinone offriva anche una borsa di studio per l'università, e nessuno dei ragazzi aveva mai deluso le aspettative.
Purtroppo, la percentuale di quelli collocati nelle famiglie non era molto alta: fino agli anni 50, le famiglie senza figli adottavano un ragazzo o una ragazza per necessità, per dare una mano nei campi, nell'azienda di famiglia o in casa. Ora i tempi sono cambiati e a rivolgersi agli orfanotrofi sono solo le coppie che non possono avere figli, ma sentono che è quello che manca loro per dare un senso al matrimonio e potersi definire una vera famiglia.
Comunque, i ragazzi che restavano a vivere presso l'istituto ricevevano più che una semplice educazione e istruzione: avevano intorno una grande famiglia che li amava e li sosteneva.
Negli anni le richieste di alloggio per orfani erano calate drasticamente, ma nel contempo aumentavano i ragazzi che vivevano situazioni familiari difficili, magari cacciati da casa o con uno o entrambi i genitori in carcere.
La signora Del Biagio non era rimasta indifferente a questa nuova necessità e aveva cominciato ad accogliere anche loro. Spesso si trattava di persone più grandi degli ospiti abituali, con un carattere difficile da conciliare con il clima di serenità che si tentava di mantenere nell'istituto, ma lei faceva tutto il possibile per far funzionare al meglio le cose.
All’inizio degli anni novanta, la regione aveva deciso di convertire l'Istituto Santa Margherita in una casa-famiglia prettamente per minori disagiati.
La direttrice, che era ormai prossima alla pensione, non volle essere presente a questo – per lei – triste passaggio e si ritirò in anticipo.
Pur non vedendo nessuno, a Jessica giungono dei pensieri scomposti, da persone diverse. Anche concentrandosi, non riesce a distinguerne il significato preciso, ma può comprendere che non provengono da persone serene.
Fa un respiro profondo e si dirige alla porta d'entrata, un vecchio portone di pietra, semi coperto dall’edera, sormontato da un fregio raffigurante un adulto che tiene per mano un bambino; e nel varcare la soglia quelli che prima erano stati solo pensieri confusi diventano voci e grida,