La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

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La favorita del Mahdi - Emilio Salgari

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come legge il Profeta e forse più, Abd-el-Kerim.

      —E che leggi?

      —Amore, amore e amore per…

      —Per chi?

      —Per Allah! Amore per Fathma!

      —Zitto imprudente, mormorò l'arabo guardandosi sospettosamente attorno.

      —Confessi adunque che io lessi giusto.

      —Non posso negarlo. Amo Fathma.

      —Ed Elenka? E Notis?…

      —Cancello l'una e aborro il secondo che minaccia diventare mio rivale!

      L'arabo fece un gesto di spavento. Avrebbe voluto riafferrare e ricacciare in gola quelle parole uscitegli imprudentemente dalle labbra. Sentì una fitta al cuore; chinò il capo sul petto e sospirò.

      —Povero Abd-el-Kerim! esclamò Hassarn.

      —Non compiangermi!… Ah!…. Se tu sapessi qual lotta ferve nel mio cuore! disse ferocemente l'arabo. Quale mai delle due?

      —Tu pensi ancora ad Elenka, adunque?

      —Forse. Non so, per quanto mi sforzi, non riesco a cancellarla totalmente. L'ho sempre dinanzi agli occhi, bella, divina…. Eppur non l'amo!

      D'un tratto si arrestò, afferrando bruscamente la carabina. Erano allora arrivati sul limitare della grande foresta che si estendeva a perdita d'occhio dal sud al nord, seguendo il tortuoso corso del Bahr-el-Abiad.

      —Che hai? gli chiese Hassarn, armando per ogni precauzione una pistola.

      —Abd-el-Kerim si guardò d'attorno con circospezione, figgendo l'acuto suo sguardo sotto gli alberi che strettamente uniti toglievano quasi la vista.

      —Mi sembrò d'aver udito un fruscio fra i cespugli, disse poi.

      —Sarà stato qualche scimiotto. Tu sai che in queste foreste abbondano.

      —Che ci sia qualche spia?

      —Potrebbe darsi. Il Mahdi ha della gente coraggiosa, che non ha paura di avvicinarsi agli accampamenti egiziani.

      L'arabo fece cenno al capitano di tirar innanzi, continuando a guardarsi d'attorno e aprendo con precauzione i cespugli. Dopo dieci minuti essi giunsero ad una specie di zeribak, nell'interno della quale stava accampata una compagnia di basci-bozuk a piedi.

      Il sergente che la comandava si fece loro incontro.

      —Che nuove? chiese Hassarn.

      —Nessuna, rispose il sergente. I ribelli fino ad ora non si sono spinti fin qui ma…. non avete incontrato nessuno? Ho veduto….

      —Chi? domandò Abd-el-Kerim.

      —Una apparizione.

      —Spiegati per Allàh! esclamò Hassarn, mosso in curiosità.

      —Che so io? Ho veduto passare un fantasma, vestito stranamente, e che potrebbe darsi che fosse un ribelle. È passato or ora a cento passi da qui.

      —Oh! oh! fe' Hassarn. Chi può essere mai? Abd-el-Kerim, sei in vena di accompagnarmi, intanto che i basci-bozuk fanno i bagagli?

      —Ho la mia carabina e ciò basta. Ti seguirò fino al deserto di

       Korosko, se tu lo vuoi.

      —Basta così. Tu sergente fa levare il campo e se non ci vedi tornare, incamminati per Hossanieh. Potrebbe darsi che noi tardassimo assai e che prendessimo un'altra via.

      Arabo e turco volsero le spalle alla zeribak, internandosi nella foresta, seguendo un sentieruzzo appena visibile pel quale era passato il fantasma. Avevano tutte e due le ali ai piedi come se si trattasse di inseguire qualche persona più che importante.

      —Chi può essere mai questo fantasma, si chiedeva Hassarn. Che sia qualche capo di ribelli?

      In quell'istante Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente il turco che gli veniva dietro.

      —Fermati, per mille demoni! esclamò egli con voce alterata.

      —Che hai veduto? chiese Hassarn sorpreso.

      —Zitto!…

      In lontananza si udiva il suono del tamburello che l'eco delle foreste ripeteva distintamente. Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.

      —Odi Hassarn? domandò egli con un filo di voce.

      —Sì, che odo. Deve essere qualche arabo che suona il tamburello.

      —No, non è un arabo! esclamò vivamente Abd-el-Kerim.

      —Come lo sai tu?

      —È una donna, io l'ho udito ancora questo tamburello, disse l'arabo con maggior animazione.

      —Per Allàh! Andiamo a vedere, Abd-el-Kerim.

      L'arabo lo afferrò vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.

      —Tu non sai di quale donna io intenda parlare, gli disse.

      —Parla di quella che vuoi, io vado innanzi.

      —Quella che suona è Fathma!….

      Il turco lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa.

      —Hassarn, continuò Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò all'almea.

      —Tu sei pazzo. Io voglio vedere Fathma.

      —Hassarn, tu non lo farai, disse recisamente l'arabo.

      —Ma disgraziato, e non pensi che sei promesso a Elenka.

      —Io spezzo il nodo e mi getto corpo e anima fra le braccia di Fathma.

       Ho il sangue che mi brucia le vene e il cuore che batte per l'almea. Lasciami solo.

      Il turco lo guardò con compassione.

      —Tu ti perdi, Abd-el-Kerim, gli disse con dolce rimprovero. Fa come vuoi; io ti aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.

      L'arabo chinò il capo sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:

      —Vo' gettar la mia vita ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il luogo ove risuonava il tamburello.

      Aveva la testa in fiamme e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il serpente viene attirato dal flauto dell'incantatore.

      In breve tempo giunse in una vasta radura contornata

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