La favorita del Mahdi. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La favorita del Mahdi - Emilio Salgari страница 3
—Si ha paura che non la si possa domare, rispose Notis. Eppoi vi sono molti abitanti che parteggiano per il Mahdi, credendo realmente che egli sia l'inviato di Dio.
—Di già?
—Eh! fe' il greco, alzando una mano e facendo schioccar le dita. Vi sono in città dei partigiani del ribelle, i quali fanno proseliti su larga scala.
—Quel cane di Mohamed Ahmed è fortunato.
—E anche un grand'uomo, disse Abd-el-Kerim.
—Zitto, dissero improvvisamente alcuni arabi.
—Che c'è? chiese Notis, stizzito da quell'intimazione.
—Udite?…
Al di fuori si suonava un cembalo e tratto tratto s'udivano fragorosi battimani uniti alle grida di:
—Viva l'almea!
—Che succede? domando Oòseir, alzandosi.
—Pare che s'avvicini qualche almea, rispose Abd-el-Kerim. Stiamo qui che verrà a danzare.
—Se la popolazione applaude, deve essere una celebre almea, osservò Notis.
—È Fathma, la più bella danzatrice del Sudan, disse un arabo.
Il suono del cembalo s'avvicinava e si arrestò dinanzi alla porta del caffè. S'udì un fruscio di vesti di seta e un istante dopo una donna entrava nella stanza. I tre ufficiali saltarono in piedi mandando un grido d'ammirazione e di sorpresa.
La donna che entrava era una creatura di bellezza straordinaria, irresistibile, una di quelle creature nelle quali sembra che Dio abbia voluto dare un saggio della forza di bellezza, di seduzione e di incanto a cui può arrivare una donna. Poteva avere appena vent'anni, alta, robusta, vivace, dalle forme voluttuosamente tondeggianti e stupendamente sviluppate.
Era di colorito bruno, ma di un bruno caldo, con una testa superba, con grandi occhi neri, tagliati a mandorla, vivi, scintillanti come neri diamanti, sormontati da folte sopracciglia arcuate, labbra coralline, carnose, procaci che lasciavan vedere i candidi denti, che parevan purissime perle. Dal rosso tarbusch scendevano fluttuanti e profumati capelli che ricadevano come vellutato mantello sulle robuste spalle, tutti cosparsi di monetucce d'oro.
Vestiva una leggera gonnella di seta azzurra, ornata di frange d'oro, stretta mollemente sotto il petto da una ricca cintura tempestata di stellette d'argento e scendente fino ai calzoncini bianchi che le coprivano le gambe; un giubbettino rosso le racchiudeva armonicamente il turgido seno, e nascondeva i nudi e piccoli piedi in babbuccie di marocchino giallo. Gran copia di aurei cerchietti d'oro le rifulgevan attorno alle ignude, bellissime e tondeggianti braccia.
—Ah! l'ammirabile almea! esclamò Notis.
Infatti quella stupenda donna era un'almea araba. Le almee, sono danzatrici e cantanti sparse per l'Egitto e pel Sudan, che per la loro coltura e studiata grazia si considerano come il fiore delle donne egiziane. Esse conoscono le regole della poesia e sanno improvvisare e comporre canzonette e balli a seconda delle circostanze e prendono parte a tutte le adunanze di giocondità e a tutti i festini in cui esse sono sempre il principale ornamento. Formano la delizia delle giovani donne degli harem, alle quali insegnano tutte le moal o elegie che sanno, raccontano storie galanti o danno lezioni di ballo; assistono alle pompe matrimoniali precedendo il corteggio della sposa e seguono persino i funerali cantando moal lamentevoli, piangendo e dimostrando un tal dolore che qualcuno potrebbe credere che facciano ciò da senno e di cuore anzichè indotte dal prezzo della mercede.
L'almea, entrata nel caffè, dopo di aver salutato gli astanti con un sorriso affascinante e d'aver dispensato baci colla punta delle sue manine, s'avvolse in un azzurro velo.
Quasi subito entrò un giovane schiavo munito di un cembalo. Egli si assise in un canto e, dopo di aver suonato per qualche minuto, gridò:
—Nahbè ia (ecco l'ape!).
L'almea che aveva di già cominciato a danzare con brevi passi e flessuosi molleggiamenti sui fianchi facendo ondeggiare graziosamente il velo e tintinnare i cerchietti d'oro delle braccia, a quel grido si era subitamente arrestata, guardandosi attorno con profondo terrore.
—Ah! esclamò Notis. Eseguisce la danza dell'ape. Sta attento,
Abd-el-Kerim, che merita di essere veduta.
L'arabo non lo udì nemmeno. Colla testa stretta fra le mani e i gomiti appoggiati sul tavolo, egli fissava l'almea con due occhi fiammeggianti. La sua faccia era visibilmente alterata, le sue labbra di quando in quando fremevano e grosse gocce di sudore scorrevangli sull'ampia fronte. Non respirava quasi più; lo si avrebbe detto pietrificato.
L'almea s'era messa allora ad agitare le braccia come cercasse di respingere l'ape che voleva punzecchiarla, atteggiando il suo superbo volto ad una grande angoscia, ed agitava il leggero velo azzurro con una varietà di movenze voluttuose. Talvolta si soffermava come spossata e i suoi occhi, che scintillavano d'un fuoco strano, selvaggio, si portavano su Abd-el-Kerim, il quale trasaliva come gli penetrassero in fondo all'anima.
La lotta contro la supposta ape durò per un buon quarto d'ora animata dall'incessante suono del cembalo, poi l'almea s'arrestò angosciata e smarrita, gettando un grido acuto di dolore. L'ape apparentemente le era penetrata fra le vesti e le faceva sentire l'acuto suo pungiglione.
Essa cercò di liberarsene, poi con movenze agili, vertiginose si mise a rigirare su sè stessa, abbandonandosi spossata fra le braccia dello schiavo.
Gli astanti scoppiarono in un grande applauso.
—Ira di Dio! esclamò il greco, battendo fortemente il pugno sul tavolo. Non ho mai visto una donna simile! È superba come un urì!
Abd-el-Kerim rialzò il capo, le sue mani si raggrinzarono rigando colle unghie la pelle dell'angareb e lanciò una torva occhiata sul greco.
—Lui! mormorò.
L'almea si era avvicinata a loro tendendo le mani. Abd-el-Kerim trasse una manata di piastre e gliele porse. Il sorriso che ne ebbe lo sconvolse.
Notis li guardò entrambi con sorpresa e sentì una ondata di sangue montargli alla testa nel sorprendere lo sguardo che si scambiarono e al sospetto che gli balenò in mente.
—Come ti chiami bell'almea? chiese egli sardonicamente.
—Fathma, rispose con nobile alterigia, la danzatrice.
—Tu sei bella! esclamò Oòseir, alzandosi. Tanto bella che io voglio posare le mie labbra sulle tue.
L'almea si trasse indietro. I suoi occhi s'infiammarono per l'ira e lo sdegno.
—Non toccarmi, diss'ella con tono di minaccia. Vi sono pugnali capaci di forare il petto anche a un basci-bozuk.
Volse bruscamente le spalle ed uscì dal caffè seguita dallo schiavo. Oòseir fe' atto di slanciarsi dietro a lei, ma due mani di ferro lo curvarono sull'angareb.
—Non