Una Cavalcata Selvaggia. Carol Lynne

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Una Cavalcata Selvaggia - Carol Lynne

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passato, una regolata alla barba due volte all’anno era il massimo che si concedeva. Diavolo, non ricordava nemmeno che aspetto avesse la sua faccia sotto tutti quei peli.

      Si chinò ed estrasse da sotto il lavandino la cassetta del pronto soccorso. Prese un piccolo paio di forbici e iniziò a tagliare. A ogni centimetro accorciato, se ne andava una parte del suo senso di colpa. Forse era proprio quello di cui aveva bisogno.

       * * * *

      I muscoli gli facevano così male che Wyn pensò di potersi mettere a piangere. Dannazione, era troppo vecchio per riparare le recinzioni da solo. Avrebbe aspettato volentieri Ezra se non fosse stato per il buco che si era aperto tra la terra di suo padre e quella di Frank Johnson. Frank era noto per essere uno stronzo galattico, e Wyn non aveva l’energia per litigare con lui.

      Wyn mise giù lo scava buchi e inserì il nuovo palo di legno nel foro appena realizzato. In ginocchio nella terra rossa dell’Oklahoma, iniziò a riempire il buco, compattando il terreno con un tubo che aveva trovato nel retro del camion. Per sicurezza ci infilò un paio di manciate di ghiaia, prima di continuare con il riempimento.

      Quando la polvere si alzò, iniziò a tossire. Chiuse gli occhi e cercò di liberare i polmoni. Non poté fare a meno di pensare ai fantastici interni del suo negozio a Cattle Valley. Si chiese se Gavin se la stesse cavando bene a gestire tutto da solo. Aveva deciso di chiamare almeno una volta al giorno, nel caso ci fossero problemi, ma non si poteva mai essere certi. Gavin era un bravo ragazzo e un impiegato modello, ma Wyn era abituato a supervisionare tutto ciò che capitava nel negozio.

      Si guardò intorno – nient’altro che bestiame e lavoro. Aveva fatto benissimo ad andarsene quando aveva compiuto diciotto anni. Suo padre non ne era stato contento, ma entrambi sapevano che il suo orientamento sessuale non gli avrebbe mai permesso di adattarsi, se fosse rimasto.

      Una volta che il buco fu riempito, Wyn si alzò e provò la resistenza del palo, spingendoci contro con tutto il suo peso. Il palo non si mosse più di un centimetro. Sorrise, quel lavoro decisamente lo soddisfaceva. Wyn tornò al pianale del camion di suo padre sollevò il rotolo di filo spinato. Non era certo un uomo debole, ma quell’affare lo fece quasi cadere per terra.

      Era fortunato che il palo rotto fosse abbastanza vicino a un supporto orizzontale, altrimenti avrebbe avuto bisogno di costruirne uno nuovo. Iniziando con la parte inferiore della staccionata, Wyn inchiodò il filo al tutore con due punti metallici, prendendosi il tempo per avvolgerlo attorno al montante del rinforzo.

      Raccolse il tubo metallico che aveva usato per compattare la terra nel foro, lo infilò attraverso il centro della bobina e srotolò la lunghezza di filo che gli serviva. Stava tirando fuori il tendifilo dal camion quando il suo cellulare squillò.

      Grato per quella pausa, tirò fuori il telefono dalla tasca. «Pronto.»

      «Ciao, sono Ezra.»

      Wyn alzò gli occhi al cielo. Nessuno aveva la voce profonda e unica di quell’uomo. «Ciao. Mi hai beccato a riparare una recinzione.»

      «La stai aggiustando tu?» Ezra sembrava scioccato.

      «Sì. Sono cresciuto qui. Alcune cose me le ricordo ancora.»

      «Scusa, mi ha solo sorpreso, tutto qui. Arrivo con il volo delle sette. Riesci a venirmi a prendere?»

      Wyn prese un fazzoletto e si asciugò la fronte. «Certo. Ti porto anche a cena fuori.»

      «Mi farebbe piacere. Beh, devo sbrigarmi se voglio partire, ci vediamo più tardi.»

      «Ci sarò.» Wyn riattaccò e lanciò il cellulare attraverso il finestrino aperto sul sedile del furgone.

      Afferrò il tendifilo e si rimise al lavoro. Aveva finito i fili inferiore e superiore e stava fissando quello centrale quando si scatenò l’inferno. Wyn non capì nemmeno cosa stesse succedendo. Un secondo prima stava aiutandosi con una gamba a reggere il tendifilo e fissare gli ultimi due punti, e quello dopo sentì il filo spezzarsi, saettare all’indietro e colpirlo alla spalla, al viso e al collo.

      Wyn venne sbattuto a terra dall’impatto, e la sua mano corse immediatamente al viso, per tornarne con il guanto ricoperto da un bel po’ di sangue. «Merda!» gridò a squarciagola.

      Si tolse di tasca il fazzoletto e se lo portò al volto, notando che la sua camicia era già inzuppata di liquido rosso.

      Riuscire a raggiungere il pick up non fu un facile, perché iniziava già a sentirsi un po’ stordito. «Non svenire adesso, vecchio mio» mormorò a se stesso.

      Mise in moto e uscì sulla vecchia strada sterrata che portava al vialetto ghiaioso. La sua vista iniziò ad appannarsi mentre si avviava verso la città. Sapendo che sarebbe potuto svenire da un momento all’altro, decise di chiedere aiuto al vicino di suo padre.

      Tremando, Wyn accostò al lungo vialetto di ghiaia e si appoggiò di peso al clacson. Vide una figura che correva verso di lui dal fienile, e tirò il freno a mano, dopo aver messo il veicolo in folle.

      Quando la figura si avvicinò, Wyn capì che non era il Frank Johnson che ricordava.

      «Cos’è successo?» gridò il ragazzo da una decina di metri di distanza.

      «Stavo lavorando alla recinzione…» riuscì a dire Wyn prima che tutto si facesse nero.

      Capitolo due

      Quando Ezra entrò nel terminal, sentiva le gambe intorpidite. Dannati posti a sedere, troppo stretti per lui. Sicuramente non erano stati progettati per un uomo alto più di due metri.

      Dopo aver preso la sua borsa al ritiro bagagli, si diresse verso l’ingresso dell’aeroporto. Non c’era traccia di Wyn. Si portò una mano al viso per grattarsi la barba. Ci fu un attimo di sorpresa quando le sue dita incontrarono la pelle appena rasata. Ridacchiando tra sé e sé, Ezra si incamminò verso il banco informazioni.

      «Mi scusi, disturbo?»

      L’addetta alle informazioni gli sorrise. «No, posso aiutarla?»

      «Qualcuno doveva venire a prendermi, ma non si è vista anima viva. Sarebbe così gentile da chiamare Palmer Wynfield con l’altoparlante?»

      «Certo» rispose lei e fece quello che le aveva chiesto.

      Ezra si guardò intorno, ma ancora niente. Un colpetto sul braccio attirò la sua attenzione.

      «Scusami, sei Ezra James?» chiese un cowboy, alto più o meno un metro e novanta, con i capelli castano scuro e il pizzetto. Ezra era certo di non averlo mai visto prima.

      «Sì, sono io» gli rispose.

      «Scusa, non assomigli alla descrizione che mi ha dato Palmer. Beh, a parte la stazza, con quella ci ha preso.»

      Ezra si passò una mano sul viso. «Sì, beh, ho pensato di fare una sorpresa a Wyn. Dov’è?»

      Il cowboy sembrò a disagio per un momento. «Mi dispiace essere io a dirtelo, ma Palmer ha avuto un incidente.»

      La mano di Ezra si strinse immediatamente a pugno. «Chi gli ha fatto del male? Li ucciderò.»

      L’uomo

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