Gli Isopodi Del Tempo. Angel Martinez
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«Kyle?» lo chiamò Vikash, mentre già tentava di indirizzare la cosa verso Jeff e Vance.
«Sto bene».
Anche se Vikash non era convinto, non poteva ancora tornare indietro a controllare come stesse il suo compagno. Due metri di diametro, la bizzarra apparizione che aveva causato la fuga di massa sembrava essere un’enorme palla di detriti da orticoltura. Rotolava e rimbalzava verso il fiume, rametti, foglie secche e viticci tutti intrecciati e che spuntavano irregolari dalla superficie come un brutto taglio di capelli. Con le sue gambe più lunghe, Vikash distanziava facilmente i suoi colleghi, perciò era proprio nella linea di tiro quando il rotolacampo della follia si fermò di botto, si scosse, e scagliò una massa di bastoncini come missili nella sua direzione. Lui si gettò di lato e la sua giacca subì il grosso dell’attacco. Dietro di lui, sentì un acuto urlo di dolore.
Il rotolacampo frusciò di nuovo, apparentemente preparando un secondo lancio. Vikash si coprì la testa e arrischiò un’occhiata all’indietro verso Jeff, spalmato in terra con un bastone del diametro di cinque centimetri conficcato nella spalla.
Vance si alzò da dove si era accucciato accanto al suo compagno, il volto paonazzo mentre urlava: «Mostro del cazzo!»
Delle fiamme gli scaturirono dalle dita mentre proiettava in avanti un braccio e poi l’altro, fiammate di tre metri che minacciavano di dar fuoco agli alberi mentre Vance correva verso il rotolacampo. Col fumo che risaliva da diversi punti colpiti dal fuoco, la creatura fuggì con balzi erratici attraverso Kelly Drive fino a raggiungere la scultura dei Playing Angels accanto al fiume. Per un attimo, Vikash temette che sarebbe saltata in acqua, invece si nascose dietro i tre angeli che suonavano il corno sui loro alti piedistalli, saltando dall’uno all’altro mentre Vance continuava col suo assalto.
«Vance!» urlò Jeff, sforzandosi di mettersi a sedere. «Piantala! Contenere!»
Ma Vance lo ignorò, mormorando una serie di invettive sui mostri che sparavano addosso alle forze dell’ordine. Anche se a volte poteva essere un lavoro duro gestire un non umano che infrangeva la legge, i loro ordini standard erano di trattenerli a meno che la creatura presentasse una minaccia immediata. Almeno a Vikash era chiaro che il rotolacampo fosse più spaventato che malevolo. Si gettò contro Vance, buttandolo nella neve sotto l’angelo di destra mentre Kyle cercava di spegnere le fiamme con la sua giacca.
Pur col sangue che si allargava sulla camicia blu della sua uniforme, Jeff si unì allo sforzo di soppressione del fuoco, anche se sembrava senza speranza. Le fiamme schioccavano e scoppiettavano, e un terribile lamento terrorizzato giunse dal centro del rotolacampo.
«Levati di dosso, imbecille!» Vance si scrollava e si contorceva, ma Vikash non intendeva ancora farlo rialzare. Dovette schivare un pugno puntato alla sua testa ed era sul punto di usare i suoi arti più lunghi per bloccare le braccia di Vance in una stretta da orso quando di colpo il loro incendiario divenne inerte.
I suoi occhi si aprirono di scatto, le pupille allargate, e fissarono qualcosa dietro di lui. La sua paura era talmente reale che Vikash si gettò un’occhiata oltre una spalla, ma vide solo l’abbagliante celeste del cielo invernale. Con cautela, sollevò il proprio peso. «Vance? Che succede?»
«Oh mio Dio, cazzo. Non può essere», sussurrò Vance mentre si alzava e si chinava a raccogliere un oggetto inesistente da terra. Assunse una posa difensiva, indifferente a Vikash che lo scuoteva e gli urlava nell’orecchio. «No! Lucertole volanti del cazzo! Non puoi essere qui!»
Vance agitò con foga qualunque fosse l’arma immaginaria che stava impugnando, cercando di colpire qualcosa di altrettanto immaginario nell’aria. Non sapendo bene se dovesse buttarlo di nuovo in terra o lasciare solo che superasse la sua allucinazione, Vikash indietreggiò contro il piedistallo della statua.
«Kash! Che cazzo sta succedendo laggiù? Ci farebbe comodo…»
Tra una parola e la successiva, la voce di Kyle si mozzò. Il parco scomparve e Vikash si ritrovò a battere le palpebre in un luogo di luce abbagliante e strani suoni.
«Kyle?» chiamò con impotente angoscia, strozzandosi per la paura. Era successo qualcosa. Stava avendo le allucinazioni come Vance. Resta fermo. Resta solo fermo e lascia che Kyle venga a prenderti. Niente panico. Deve essere una cosa temporanea.
«Saluti. Le serve aiuto?»
Vikash sobbalzò e si girò verso la voce. Una visione in una larga veste era in piedi accanto a lui, sorridente, gli occhi verdi che lo fissavano con innocente compassione. Lunghi capelli biondi scendevano sulle spalle della visione e, anche se Vikash si ritrovò incapace di comprenderne il genere, il volto di quella persona era dolorosamente familiare. «Kyle?»
«No. Sono Cirrus. Ma potrei essere Kyle se volesse che lo fossi». Cirrus rise, e perfino quel basso suono sensuale era come quello di Kyle quando stava flirtando. «È un ricostruttore? È stato separato dalla sua troupe video?»
«Ah. Uhm». Vikash osservò ciò che lo circondava ora che i suoi occhi si erano abituati, sentendosi più stupido a ogni momento che passava. Erano su una superficie bianca e luccicante simile a porcellana che si muoveva fluida sotto i loro piedi. Enormi guglie di vetro e cromo svettavano sopra di loro, occupando la maggior parte del cielo. Quel poco di cielo che riusciva a vedere era di un impietoso blu, perfino più dolorosamente luminoso del cielo invernale che si era appena lasciato alle spalle nel parco.
«È davvero perso, non è così?»
«Perso. Sì», mormorò Vikash mentre passavano accanto a una vetrina che esponeva blocchi porosi e colorati.
«Oh, ha fame! Questo spiega lo sguardo velato». La risata di Cirrus fu più viva stavolta, felice e disinibita. Lui… lei… afferrò la mano di Vikash e si affrettò lungo il marciapiede mobile. «Non vuole mangiare lì. Le prot sono davvero troppo gessose. Conosco un posto dove il cibo è buono da morire».
Non riuscendo a pensare a una buona obiezione, , Vikash si lasciò trascinare. Altri pedoni lo fissavano, ma sembravano più intrigati che ostili, e la loro attenzione era più concentrata sulla sua uniforme che sulle mani intrecciate. «Io… Dove?»
«Dove stiamo andando? Proprio dietro l’angolo. Non è lontano».
«No, dove…» Non voglio fare questa domanda. Non voglio davvero. «Dove sono?»
Cirrus si fermò e rifletté per un attimo. «Intende in che via?»
«Sono ancora sulla Terra?»
La risata successiva fu interrotta da un’esclamazione sconvolta. «È serio, non è vero?» Cirrus gli rigirò la mano, accarezzando con cautela la pelle del suo polso. «Ha preso qualcosa di nuovo oggi? Non dovrebbe davvero accettare droghe dagli sconosciuti».
«No…» Vikash notò la gente che passava oltre in fretta, alcuni in vesti semplici come quella della sua guida, altri con nulla più dell’equivalente di un lucido tanga brasiliano. «Io credo di essere stato… dislocato in qualche modo. Philadelphia. È lì che mi trovavo prima».
«Questa è Philadelphia». Cirrus socchiuse gli occhi. «Scommetto che so di che si tratta. Sta facendo una rappresentazione storica. Ventesimo, ventunesimo secolo magari? E hanno delle nuove pillole di pelle che ti mandano completamente nel personaggio. Ma si è allontanato dalla sua troupe. Poverino. Non mi meraviglia che sia