Gli Isopodi Del Tempo. Angel Martinez

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Gli Isopodi Del Tempo - Angel Martinez

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      «Che secolo è questo?»

      «Ventitreesimo, sciocco. No, mi dispiace». Cirrus gli riprese la mano e ripartì al suo ritmo affrettato. «Non è giusto. Lei non lo sa al momento. Non si preoccupi. Resterò con lei e se non passerà entro un paio d’ore la porterò a un centro di cura. Senta, non ha un contatto di emergenza nei suoi impianti da qualche parte?»

      «Impianti?»

      «Sono stati approfonditi, glielo concedo. Dovrò scambiare qualche parola con la sua troupe quando la troviamo». Cirrus gli rivolse un altro snervante sorriso Kyle-esco prima di trascinarlo verso quella che sembrava essere una solida lastra di vetro.

      Vikash si impuntò, tirandosi indietro fino a quando la mano e la spalla di Cirrus non furono passate attraverso la barriera. «Come…?» Ma come sapevi che era una porta sembrava una domanda troppo ridicola da fare, perciò rimase in silenzio, preferendo osservare. Se in qualche modo era davvero scivolato in avanti nel tempo, doveva apprendere in fretta, aggrapparsi alle piccole cose familiari, o impazzire.

      La stanza in cui Cirrus lo tirò era fortemente illuminata, con colorati mosaici astratti che coprivano pareti incurvate in nicchie, grotte e caverne in miniatura. C’erano persone radunate attorno a sottili piedistalli con sopra quelli che sembravano essere fiori sgargianti con lunghi pistilli fallici. La maggioranza degli occupanti, a prescindere dall’età, indossavano poco o niente. Nessuno nascondeva i rotolini o gli afflosciamenti dovuti all’età, tutti erano del tutto a loro agio indipendentemente dal tipo di fisicità. Vikash si ritrovò acutamente in imbarazzo e incerto sul fatto che fosse o meno educato fissarli. Finì col guardarsi le scarpe.

      Cirrus lo rimorchiò verso un piedistallo floreale non occupato. «Il prot saporito è il migliore qui, ma anche quello speziato è buono. O preferirebbe un veg?»

      «Uh?»

      «È piuttosto sicuro che stia avendo un crollo nutritivo». Cirrus gli diede una pacca sulla mano e osservò lo strano fiore color cannella e chartreuse davanti a loro. «Uno di ognuno, penso. Qual è il suo nome, bell’uomo?»

      «Vikash».

      «Carino. Molto insolito».

      Con le dita sotto l’estremità di uno dei pistilli, che a Vikash sembravano tutti identici, Cirrus rimase immobile mentre l’apertura espelleva una pastosa sostanza arancione dando forma a un cubo perfetto. Il processo venne ripetuto con sei pistilli diversi: cubi rosso, verde, blu, viola, giallo fluorescente e a strisce arcobaleno si unirono a quello arancione. Cirrus posizionò ogni cubo su un vassoio rotondo di ceramica, poi offrì l’intera selezione a Vikash. Lui prese il vassoio, cercando di non restare a bocca aperta, anche se una cauta occhiata attorno a sé gli mostrò altre persone che mangiavano quelle cose. A quanto pareva, quello era cibo del ventitreesimo secolo.

      Prese il cubo arancione, forse quello che si avvicinava di più al colore di cibo vero, e ne morse un angolo. La consistenza era strana, un incrocio tra una mousse e un macaron, ma c’erano accenni di mandorla e sesamo, cardamomo e zenzero. Il resto andò giù in due morsi ansiosi.

      «Buono, eh? Meglio della roba che si ha da Serra». Cirrus si tolse la veste, rivelando un tanga rosso mela candita al di sotto. Petto piatto, longilineo, Vikash ancora non era sicuro.

      «Mi dispiace. Non voglio essere maleducato, ma che pronomi usi?»

      «Pronomi?» Cirrus ottenne un cubo blu e se lo mise in bocca intero.

      «Lui? Lei?»

      «Oh, ora sta solo lucidando i poligoni per divertimento».

      Vikash mordicchiò il cubo blu, traendone accenni di frutta anche se non avrebbe saputo dire di che genere. «Non ho idea di che significhi».

      Cirrus scosse la testa, la splendida fitta chioma di capelli che faceva da contrappunto alla sua incredulità. «Non possono aver… Hanno davvero bloccato tutto? Insomma, questo è portare il realismo nelle produzioni un po’ troppo oltre».

      «Non so cosa mi sia successo. Per favore. Io penso… Non so niente».

      «Spero che quelle droghe non abbiano effetti residui permanenti. Poverino». Cirrus ruotò un polso e premette appena sotto il palmo. «Ecco».

      Un’immagine olografica apparve, caratteri gialli che fluttuavano sopra la pelle pallida. Vikash distinse il nome in cima, Cirrus Fairmount-Forty. La riga successiva avrebbe potuto essere un indirizzo, non poteva esserne certo, poi un altro nome, Agate Fishtown-Thirtynine. L’ultima riga era una designazione numerica di nessun aiuto, A-15-1. La sua espressione dovette aver mostrato la sua confusione, perché Cirrus spiegò le informazioni con attenzione: nome completo, abitazione, contatto di emergenza.

      «E la mia definizione di genere sessuale». Cirrus sorrise, indicando quell’A-15-1. «Niente? Non significa niente per lei?»

      «No. Mi dispiace».

      Cirrus agitò una mano. «È solo interessante, le cose che una persona dà per scontate. La A è la mia designazione biocromosomica. Quindi io sono XY e ho solo organi riproduttivi maschili. B sarebbe XX con organi femminili. C è XXY con soli organi femminili e così via. Il quindici è il numero del mio neurogenere. Quindici su trentadue. Le mie scansioni cerebrali mostrano tratti sia maschili sia femminili, ma leggermente più maschili. Perciò preferisco lui, ma per le situazioni formali è vre, ovviamente».

      «Ov… viamente». A Vikash girava la testa per il solo numero di generi presenti nel futuro. «L’uno? Alla fine?»

      «Oh, quella è la designazione della sessualità. Io sono pan, quindi è un uno. Ma ho un tipo». Lo sguardo abbassato e il piccolo sorriso timido di Cirrus non potevano che essere un tentativo di flirtare. «Alto, magro e confuso».

      Vikash riuscì a emettere una risatina strozzata, anche se l’umorismo non lo calmò come avrebbe fatto con Kyle. Vorrei che lui fosse qui. Se proprio dovevo avere un’allucinazione così, perché il mio cervello non poteva portare il vero Kyle al posto di questo doppione? Spero finisca presto, così potrò tornare a casa. Ma se non fosse stata un’allucinazione? E se Vance avesse avuto delle allucinazioni prima dell’effettivo trasporto temporale? E se fosse finito nel Giurassico? Fisicamente, adesso? Allora forse anche Vikash era stato trasportato, per mezzo di qualche strano meccanismo paranormale, passaggio, wormhole, portale. E se non avesse mai potuto tornare a casa?

      «Sei diventato di nuovo velato», stava dicendo Cirrus, massaggiandogli la schiena. «Andrà tutto bene. Posso portarti a un centro di cura se non ti senti bene. O preferiresti andare a scopare? C’è una bottega del sesso due porte più avanti. Potrei aiutarti a rilassarti. Sono certificato per il sesso sia terapeutico che d’emergenza».

      «No. Grazie. Dell’offerta». Ritrarsi dietro una maschera di educazione rendeva più facile rispondere, ma lo shock di una simile offerta disinvolta, a voce alta, in pubblico, lo fece sentire come un adolescente imbarazzato. Forse se avesse potuto stendersi da qualche parte e andare a dormire, avrebbe potuto risvegliarsi a casa. O forse doveva morire nell’allucinazione. Non lo aveva letto in una storia una volta? Che posso fare?

      Doveva averlo sussurrato a voce, perché Cirrus gli mise le braccia attorno per abbracciarlo forte. «Povero dataset perduto. Finisci il pranzo e ti porterò alla Clinica Centrale. Diramerò un’allerta per vedere quale ditta di produzione ti ha messo fuori posto. Dovrebbero davvero sospendere la loro licenza storica».

      Vikash

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