Luna Piena. Ines Johnson
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Gli occhi di Pierce sfrecciarono su quelle lunghe gambe e sull'orlo della gonna. Quando tornò al suo viso, sapeva di essere stato scoperto. Spalancò il suo sorriso più vincente. Lo stesso che gli aveva procurato una A nella classe di chimica della signorina Peckham, anche dopo aver fallito sia l'esame intermedio che quello finale. Le fate cadevano in ginocchio davanti a quel sorriso. Diavolo, anche una strega era caduta sotto il suo incantesimo. Pierce lo spalancò verso la lupa di fronte a lui.
Prima che lui potesse pronunciare una parola, lei aprì la bocca per parlare. Poi deglutì. Si strofinò la mano sull'addome piatto. Infine, si sporse in avanti, vomitando sul suo grembo.
Alla faccia della partita della sua vita.
Capitolo Due
Viviane si era spruzzata dell'acqua in faccia per la terza volta, ma il sapore della bile le restava ancora sulla lingua. Come si era messa in quella situazione? Appoggiò la testa contro la superficie fredda dello specchio mentre il dondolio del treno continuava a stuzzicare il suo stomaco inquieto.
Si guardò allo specchio. Aveva le borse sotto gli occhi per aver pianto tutta la notte e per non aver dormito fino all'alba. Non si era mai considerata una donna debole, né una damigella di nessun tipo. Non nella famiglia da cui proveniva. Apparteneva ad un ceppo che avrebbe tenuto testa a qualsiasi uomo, anche se fosse stato alto tre metri e largo il doppio. Ma era stato un uomo medio che l'aveva portata così in basso. Non c'era un’arma, non c'era forza, non c'era argomento che potesse usare per batterlo.
Viviane prese un fazzoletto di carta e si asciugò il viso. Gettò l'asciugamano ed uscì dal bagno. Guardando fuori dalla finestra, notò che il paesaggio cominciava a sembrarle familiare. Un cactus Saguaro alto più di dieci metri si ergeva nel cielo notturno. Le sue braccia si allungavano come i rami di un albero per darle il benvenuto a casa.
Oh, Dea. Era solo a un'ora da casa sua.
Il panico aumentava mentre il treno si avvicinava sempre più a Sonora. Le venne l'istinto improvviso di scendere subito, girarsi e correre nella direzione opposta. Ma non aveva altro posto dove andare. Non poteva tornare a Sequoia e affrontare i suoi occhi indifferenti e pietosi. Una volta tornata a casa, la sua famiglia avrebbe saputo del casino in cui si era cacciata, e l'avrebbe sicuramente intimata ad andarsene.
O peggio. Sua madre avrebbe insistito per farla restare, e allora sarebbe iniziata la vera tortura.
Il treno sobbalzò e Viviane dovette appoggiarsi ad un sedile per stabilizzarsi. Il suo stomaco vuoto protestò con un gemito. Solo quando stava tornando al suo posto si ricordò del ragazzo a cui aveva rovinato la serata offrendo il suo ultimo pasto. Non era al suo posto quando lei tornò. Probabilmente si era spostato in un vagone completamente diverso dopo essersi ripulito.
Si sentì malissimo per quello che aveva fatto ai suoi pantaloni. Ma, in sua difesa, lui era stato il classico uomo. Interessato solo a quello che c'era sotto la sua gonna. Non a quello che c'era nella sua testa, o a quello che usciva dalla sua bocca. Non appena lei aveva mostrato di avere dei pensieri nella sua bella testa, lui si era girato ed era scappato, proprio come qualsiasi uomo medio. La rabbia sostituì la bile mentre lei era ferma nel corridoio a guardare il suo posto vuoto.
"Ehi, tesoro, perché non vieni a sederti con noi."
Viviane si voltò per vedere un branco di ragazzi umani dall'altra parte del vagone. Sembrava che fossero appena saliti. Altrimenti l'avrebbero guardata male insieme al resto dei passeggeri che avevano sentito l'odore della sua performance precedente.
"Andiamo." Uno dei ragazzi le si avvicinò. Era di altezza media con la pelle chiara, i capelli castani e gli occhi marroni. Non era bellissimo, ma nemmeno poco attraente. Sembrava... un tipo nella media. "Noi non mordiamo. Ma sembra che tu lo faccia."
Dov'era il suo stomaco ribollente quando ne aveva bisogno? Questi erano i tipi perfetti a cui vomitare addosso. Ma il suo stomaco sembrava essersi ricordato che lei era fatta di roba più forte. Era una Veracruz. Incrociò le braccia sul petto e si preparò a mandare a quel paese gli uomini, proprio come avrebbe fatto qualsiasi donna Veracruz.
"Lasciatela stare."
Lo sguardo di Viviane si alzò per vedere il suo compagno di posto arrivare dietro i ragazzi della confraternita.
"Non ho sentito la donna dire di non volere sedersi con noi, " disse il capo della confraternita.
"Non ho sentito la donna dire di sì," disse il lupo.
Viviane passò lo sguardo dal maschio alfa al lupo alfa, perché ora si rese conto che il suo ex compagno di sedia era decisamente un lupo e decisamente alfa. Lui si era ripulito, ma lei poteva ancora avvertire il sentore di vomito sui suoi pantaloni.
"Mi scusi, ma la donna può parlare da sola," disse lei.
"Beh, vieni qui, cucciola," disse il ragazzo della confraternita.
"Cucciola?" Lei stropicciò il naso all'odore di pulito dell'umano. "I mutaforma e i cani non sono la stessa specie. La stessa classe, sì. Ma non la stessa famiglia."
Il ragazzo della confraternita la guardò con aria assente. Viviane si sentiva sicura di aver identificato correttamente la sua classificazione biologica nella gerarchia tassonomica. Classe dei fraternalis. Famiglia dei Greci. Una specie idiota.
Il coglione le afferrò il gomito. "Lascia che ti presenti una nuova razza divertente."
La sua battuta furba non cambiò la stima che Viviane aveva di lui. Era un maschio umano medio, dalla pelle sottile. Dove aveva preso tutta questa spavalderia? Da dove prendeva la sua infondata sicurezza uno qualsiasi di questi uomini medi che davano risposte mediocri a domande complesse? Aveva passato due anni in un campus con loro. Per due anni aveva sgranato gli occhi di fronte alle loro risposte sconsiderate. Per due anni aveva cercato, senza riuscirci, di chiudere la bocca di fronte alle loro nozioni e soluzioni idiote.
Ed ecco un altro maschio mediocre che traboccava di convinzioni infondate. Come donna e come lupo, doveva lavorare il doppio per guadagnare la metà del suo valore. Ed era stata comunque calpestata e usata da un uomo come quello. Viviane guardò le sue mani tozze sul suo gomito. "Mi lascerai andare," disse lei dopo aver fatto un respiro profondo.
Il ragazzo strinse la presa e le diede uno strattone nella direzione in cui voleva che andasse. "Oh, andiamo, piccola. Ho sentito che a voi puttane cagne piace farlo in modo violento. Userò anche i miei denti."
È vero, 'cagna' era il termine scientificamente corretto per classificarla, e Viviane amava tutte le cose scientifiche e concrete. Ma c'era qualcosa nel fatto che un uomo chiamasse una donna di qualsiasi razza 'cagna'. Aprì e chiuse le dita cercando di avere pazienza. Il suo lupo ululava per uscire e sbranare quella piccola bestia. Ma non poteva farlo uscire. Non per i prossimi nove mesi.
Sentì un basso ringhio. Era sorpresa che non provenisse da lei. Era il lupo alfa. I suoi occhi lampeggiarono, e raggiunse il ragazzo. Quindi il braccio del ragazzo si allontanò dalla lupa. Il piccolo idiota strillò come un maiale.
"Ehi, ehi," piagnucolò il ragazzo. "Mi dispiace."
Gli altri ragazzi della confraternita, il lupo alfa e i passeggeri fissarono Viviane. Avevano guardato con diffidenza quando i ragazzi la stavano molestando. Nessuno era venuto in sua difesa, tranne il lupo. Ma probabilmente