Le Cacciatrici Di Mostri. Gemma Cates

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Le Cacciatrici Di Mostri - Gemma Cates

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Mark Jared mancava quel particolare promemoria per mostri.

      Aveva assunto la sua forma bestiale per attaccare, e quello voleva dire artigli e zanne. Ma aveva anche un coltello, quindi per me sarebbe stato un fottuto divertimento.

      Con un attacco a tre punte – zanne, artigli e coltello – avevo bisogno di distanza e di una pistola.

      Fortunatamente per me – fottuta fortuna, più che pianificazione – avevo una pistola con me. Non così fortunatamente; sebbene un licantropo in forma bestiale avesse riflessi più lenti dei miei, poteva coprire una distanza maggiore.

      Avevo estratto la mia arma mentre indietreggiavo, poi avevo fatto fuoco, ma ero riuscita soltanto a sparare tre colpi prima che lui fosse su di me e mi strappasse via l’arma, allontanandola.

      Tre colpi non letali. Avevo bisogno di un’arma da fuoco fottutamente più grossa.

      Avevo intrappolato vicino al suo corpo la mano con il coltello, ma potevo soltanto evitare per un po’ l’altra mano con l’artiglio e le zanne. Aveva un vantaggio su di me, di stazza e di forza.

      Stavamo facendo una danza, lui usando i denti, gli artigli e il coltello, mentre io evitavo tutti e tre e puntavo alle sue ferite, quando avevo sentito la voce di Barrett che aveva gridato, “Mark!”

      Con la bestia distratta per una frazione di secondo, ero riuscita a dargli un robusto colpo su una ferita gocciolante sul torso.

      Poi se n’era andato.

      Più interessato a fare a pezzi l’uomo che aveva cercato di aiutarlo che preoccupato di una come me.

      Con un occhio al confronto in corso soltanto a pochi metri da me, ero scattata verso l’auto per prendere l’arma di riserva.

      Ero riuscita a malapena a sbloccare la portiera quando lo avevo sentito. Il caratteristico suono scricchiolante di un collo spezzato.

      La vista e l’udito non erano d’accordo. Le prove fornite dai miei occhi e dalle mie orecchie erano in diretto conflitto l’una con l’altra.

      I miei occhi avevano visto il corpo umano intero di Barrett ancora in piedi. I suoi vestiti erano ancora intatti, e lui non sembrava ferito.

      E i miei occhi avevano visto il corpo floscio di Jared cadere a terra. Poiché era ritornato in forma umana, sapevo che era morto.

      Ma le mie orecchie avevano sentito il caratteristico suono scricchiolante di un osso che si spezzava. Un collo che si spezzava. Nient’altro avrebbe spiegato sia il suono sia il risultato finale della morte di Mark Jared.

      Ma quei pezzi di prova non si incastravano tra loro. Un maschio umano non poteva spezzare il collo pesantemente muscoloso di un licantropo in forma bestiale.

      La logica diceva che non era possibile.

      A meno che… Barrett non fosse umano.

      Sembrava umano, perché non aveva mai cambiato forma.

      La sua bestia restava nella gabbia.

      Lui era in piedi davanti a me – letteralmente, proprio di fronte a me – come un uomo. La sua fottuta camicia non era nemmeno sgualcita.

      Porca merda. Avevo appena visto un licantropo imbrigliare la forza della bestia sotto forma di uomo.

      Figlio di puttana. Quello era eccitante.

      Maledizione. Non potevo essere attratta da un mostro.

      Dopo un rapido controllo del mio corpo – capezzoli turgidi, battito accelerato, mutandine bagnate – sì, ero decisamente attratta… il che significava che quest’uomo non era un mostro.

      “Stai bene?” aveva domandato Barrett. I suoi occhi nocciola scaldavano.

      Avevo annuito.

      “Eccellente. Devo occuparmi di un corpo morto. Dammi un secondo.”

      Certo, che sarà mai? Capita che ci siano corpi morti. Fa parte del lavoro di un cacciatore di mostri.

      E proprio in quel momento mi ero sentita un po’ strana. Probabilmente a causa del mio sangue che scorreva verso sud.

      “Garage,” avevo detto alla sua schiena che si allontanava.

      Anche con un afflusso limitato di sangue al cervello, sapevo cosa fare con i corpi.

      Avevo mandato un messaggio a Eric con una richiesta di pulizia. Avevo incluso il luogo in cui si trovava il corpo e anche le circostanze, cosicché lui potesse far sì che la squadra di pulizia si assicurasse che non ci fossero testimoni che ci avessero visti lottare sul prato – e uccidere un tizio.

      Oppure, come la storia sarebbe girata, provare una scena di un film horror. Era quasi scioccante sapere a cosa poteva credere la gente applicando un po’ di magica persuasione.

      Portato a termine quel compito, avevo marciato fino alla porta e mi ero auto-invitata ad entrare.

      C’era un’altra cosa che dovevo fare prima di potermene andare.

      Meno di un minuto dopo, era entrato Barrett.

      Sesso con Barrett Miller. Quella era la cosa che dovevo fare.

      Rapido, sporco e fottutamente subito.

      “Allora, hai intenzione di scoparmi o cosa?” Perché ero più che pronta. Vederlo restare freddo sotto pressione? Così fottutamente eccitante. Vederlo controllare la bestia? Ancora più eccitante.

      Mi aveva lanciato un’occhiataccia, il petto gli si sollevava.

      Uh-huh, e tutta quella calma che aveva prima? Andata.

      Quest’uomo. Così. Fottutamente. Eccitante.

      Gli avevo rivolto la schiena e messo le mani sulla porta. Avevo girato la testa per accertarmi che avesse capito, poi avevo inarcato la schiena.

      Il suo sguardo era scivolato sul mio culo, poi lui si era messo dietro di me. Mi aveva sbottonato i pantaloni, li aveva tirati giù, mi aveva spinto le gambe allargandole di più e mi aveva tirato indietro i fianchi.

      Il fruscio di un preservativo, poi il distinto suono di una cerniera ed eccolo lì. Grosso e duro, che premeva alla mia entrata.

      Il rombo della sua voce era partito dal petto e aveva viaggiato con il solletico del suo respiro contro il mio orecchio. “Lo vuoi?”

      Lo scorrere dell’adrenalina per via del combattimento, guardarlo prendere il controllo, guardarlo gestire quel coglione bestiale che aveva cercato di farmi il culo, mi aveva resa così pronta, così bagnata.

      La mia passera si era contratta per il bisogno dolorante. “Cazzo, sì.”

      Con un ringhio, aveva infilato il suo uccello dentro di me.

      Avevo deglutito l’urlo che mi saliva alle labbra e avevo spinto all’indietro i fianchi. Lo volevo. Volevo tutto di lui. Proprio. Fottutamente. Adesso.

      Infilato

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