Anima Nera Anima Bianca. Patrizia Barrera

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      Patrizia Barrera

      Anima Nera Anima Bianca

Il vero volto del BLUES

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      Copyright Patrizia Barrera 2021

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      E' fatto divieto di utilizzare il contenuto di questo libro, in forma integrale o parziale, senza l'autorizzazione scritta dell'autore e dell'editore.

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      Prefazione

      Quando si parla di cultura Americana inevitabilmente si cammina sul sangue di uno sterminio. Un eccidio di massa che è perdurato per ben tre secoli, partendo dal sud e culminando nel nord, iniziato nelle Americhe di Colombo intorno al 1500 coi Conquistadores Spagnoli e abbracciando infine tutta l’Europa.

      L’America dei primi tempi era sicuramente un paese duro, spaccato a metà tra le grandi praterie, le assolate piantagioni e le città nascenti, in un clima ingrato e sconosciuto dove chi c’era avrebbe preferito non esserci, e chi c’è rimasto spesso si è perduto. I primi colonizzatori erano fuorilegge, ladri, stupratori e mercenari, abbacinati dal miraggio dell’oro che sembrava galleggiare nei fiumi dorati, e dove gli scassinatori di banche erano considerati un èlite.

      Inglesi, ma anche Irlandesi, Olandesi, Spagnoli, Portoghesi, Norvegesi, Svedesi, Francesi e Italiani, che arrivavano in quella terra selvaggia con l’unico scopo di possederla. Gente della peggior specie che non si fermava davanti a niente, neanche all’omicidio. Gli Indigeni del luogo, i cosiddetti Pellerossa, sparsi per tutto il territorio in centinaia di tribù e idiomi diversi, furono sterminati, ingannati e spogliati della loro dignità, come prima era avvenuto con gli indigeni delle Americhe del sud. Condannati alla fame e spogliati di tutto, i Nativi morivano, portando nella tomba anche la loro atavica cultura. E questa aberrazione si fuse al traffico bisecolare degli schiavi Africani, colonna portante della neonata America.

      La cultura Americana è nata così, in una mescolanza di sangue e di lingue che non ha paragone in nessuna parte del mondo, una eccezionalità della storia che non ha precedenti. I primi bianchi si erano ormai perduti: e se inizialmente era gentaglia che spadroneggiava su quelle terre desolate creandosi il proprio regno, quelli venuti dopo erano ex galeotti, contadini, operai e prostitute, povera gente che non sapeva dove andare per affrancarsi dalla fame e, complice il Governo Americano che li affascinava con la promessa della terra, sperava di trovare nel nuovo continente un posto in cui rifugiarsi. Fu così che popoli ed etnie completamente diversi tra loro e che in condizioni normali non si sarebbero mai sognati di frequentarsi, si trovarono a lavorare gomito a gomito per sopravvivere. E tutti, guardandosi attorno, non trovavano traccia del proprio passato, nessun appiglio a cui aggrapparsi, nessun ricordo da mantenere.

      Era DAVVERO un nuovo mondo, pieno di idiomi, di fermenti, di novità e di esperienze, ma anche di emarginazione, di rabbia e di sangue che si fusero in una MUSICA bambina che racchiudeva TUTTO: il Blues.

      Fu sulla matrice africana che s’innestarono le suggestioni europee: le ballads Inglesi, il folk Irlandese, i grandi compositori Italiani, il tango Argentino, la chitarra Spagnola e non ultima la magia Cubana, già pratica di mescolanze tra sacro e profano con la sua Santeria. E tutto venne a sua volta rielaborato e rimescolato al passo strascinato dei galeotti e al ritmo infernale della frusta nelle prigioni Statali, dove il Blues raggiunse vette di liricità assoluta poco prima di spegnersi. Un canto del cigno nel quale palpita tutta l’essenza della sua doppia anima: quella Nera e quella Bianca.

      Questa è la sua storia, dalle origini alla sua morte, avvenuta in un’anonima stanza di una piantagione di cotone, quando Robert Johnson esalò da solo il suo ultimo respiro.

      Dopo di allora l’oblio? No, certo. Perché il blues è storia. E’ la linfa vitale che scorre nelle vene del jazz, è la rabbia urlante del rock, è il ricordo sempiterno del linguaggio universale che ci accomuna tutti e dal quale dovremmo prendere esempio, per mantenere integra la nostra umanità.

      E’ il battito del nostro cuore. E’ lì che si è nascosto il blues.

      Patrizia Barrera, 2021

      Alle radici del Blues

      Le Origini

      Dura la vita per uno schiavo nero a cavallo tra la seconda metà dell’800 e l’inizio del nuovo secolo! Non che precedentemente fosse facile. Gli schiavi, in ogni tempo e in ogni luogo, hanno sempre vissuto in condizioni disumane. Tuttavia in America la Guerra di Secessione non solo non aveva risolto il problema della schiavitù ma addirittura ne aveva creata un'altra, ancora più tremenda in quanto sommersa e istituzionalizzata. L’intera economia degli Stati del Sud si era basata per almeno due secoli sulla manovalanza degli schiavi i quali, tranne dovute eccezioni, si erano infine integrati nella realtà quotidiana costruendosi delle famiglie, e il rapporto col padrone bianco non era molto diverso da quello che OGGI l’intero universo industrializzato e fiorente stabilisce con gli extracomunitari, sottopagati e iper-sfruttati.

      Finita la Guerra, immensi territori apparivano distrutti, le piantagioni bruciate e le proprietà confiscate: il Sud era in ginocchio e la povertà dilagava, tra i bianchi quanto tra i neri.

      Ne va da sé che il capro espiatorio di tutta questa faccenda fossero appunto gli Afro-Americani, visti come la ragione prima della disperazione e della miseria collettiva. Benché gli stati del Nord li accogliessero benevolmente, sulla scia della politica del momento, pochissimi riuscivano ad abbandonare i luoghi natali: espatriare era una faccenda difficile, necessitavano soldi e viveri, e le famiglie abbondavano di donne e bambini che non potevano affrontare un pericoloso viaggio di intere settimane, con soli mezzi di fortuna! Accadde così che l’emigrazione interessò i pochi maschi che riuscirono a farlo, in genere padri di famiglia che speravano di sistemarsi al nord per poi chiamare presso di sé i propri cari. Un’utopia, un miraggio. Gli schiavi del sud superavano i 4 milioni di individui e il rapporto tra bianchi e neri era di un bianco ogni 50 neri: anche volendo, non ci sarebbe stato modo di sistemarli tutti. La maggioranza degli ex schiavi rimasero nelle terre poi messe all’asta dagli Stati dell’Unione e vendute al migliore offerente: vale a dire ai nordisti e a quei pochi sudisti che durante la guerra erano riusciti ad arricchirsi sulla pelle altrui. I neri, liberi e quindi abusivi a tutti gli effetti, furono tenuti come affittuari delle terre e, giacché non potevano pagarne l’affitto col denaro lo avrebbero fatto col lavoro. Ma non basta: su di loro fu caricato il pagamento del noleggio degli attrezzi agricoli, delle sementi e di tutto ciò che abbisognava per la cura delle nuove piantagioni. Debiti su a debiti che venivano saldati con l’accaparramento da parte del padrone del 70% dei frutti. Una nuova schiavitù che non aveva speranza di affrancarsi, in quanto perfettamente legalizzata: l'ex schiavo, malgrado non ancora cittadino Americano, godeva tuttavia di diritti civili pari a quelli degli altri uomini liberi e, come tutti, aveva il dovere di assumersi la responsabilità dei propri debiti. In questi casi, si sa, la Legge è sempre bianca. Ci si chiederà come sia possibile, almeno per consistenza numerica, che il nero non abbia deciso di ribellarsi, di affrancarsi da uno stato di cose che alla lunga lo avrebbe di certo annientato. La risposta risiede nella stessa natura dell’uomo di colore, capace di adattarsi e piegarsi come nessun altro, nella propria concezione della vita, nella sua ignoranza, nel forte credo religioso che lo avrebbe in seguito portato al vero riscatto e, purtroppo, alla nascita del Ku Klux Klan. Questa ignobile organizzazione nacque già nel 1865 per volere di ex ufficiali dell’esercito confederato come ”reazione e opposizione” al governo centrale, che si era

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