Anima Nera Anima Bianca. Patrizia Barrera
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L’Anima Nera
Il blues è fango. E’ l’aria polverosa e sporca delle paludi, è il senso di abbandono e di solitudine dello schiavo nato libero; ma, soprattutto, è l’anima Africana che grida nel silenzio e che, a dispetto del padrone bianco, riporta a casa chi ha perduto la strada. A differenza di ciò che è capitato ad altre popolazioni nate e cresciute in America, come gli indios al sud e i Pellerossa a nord, il cui passato è morto con loro, l' Afro-Americano non ha mai perso la propria tradizione e la propria identità. Malgrado i secoli di schiavismo, i padri hanno continuato ad educare i propri figli alla pratica del ricordo, che in Africa è scuola di vita. E paradossalmente in tale pratica hanno goduto dell’aiuto involontario degli stessi negrieri, che hanno continuato l’importazione degli schiavi anche quando non solo in America ma in tutto il mondo lo schiavismo era stato definito illegale. Essi, nella loro cupidigia, avevano sottovalutato il fatto che lo schiavo che arrivava direttamente dall’ Africa era guerriero, cacciatore, sciamano. Catturato nel fiore degli anni, maschio o femmina che fosse, aveva già passato le fasi di iniziazione atte a forgiarlo alla durezza della vita, ed era ormai edotto in tutte le pratiche della narrazione orale, del canto liberatorio dell’anima e della fierezza nelle proprie tradizioni. Se l’importazione fosse terminata agli inizi dell’800 piuttosto che continuare illegalmente fino quasi al 1875 il nero d’America forse avrebbe in parte dimenticato l'origine Africana, in quanto già integrato nella società padronale bianca in un paese in cui d’ altra parte era nato. Invece la continua mescolanza di individui nati liberi con altri nati schiavi, in un periodo storico di fermenti che erano sotto gli occhi di tutti, ha permesso e stimolato negli Afro-Americani la ricostruzione di una identità ormai dimenticata. Generalmente si fa risalire agli inizi degli anni ’20 la ”nascita del Blues“, con le prime registrazioni di Charlie Patton e in certa misura di “Blind” Lemmon, nell’area definita ”il delta del Mississippi“. Ma il blues c’è sempre stato: è un retaggio Africano di cui non si può stabilire un' esatta data di inizio, in quanto NON è un genere musicale: furono i bianchi a definirlo tale, in un periodo in cui le prime case discografiche tentarono di appropriarsene a scopo di lucro.
In realtà il BLUES è una ”pratica collettiva di liberazione“, una ”medicina dello spirito“ e una educazione al riconoscimento della propria individualità in stretto equilibrio con l’ambiente. Esso fa parte dell’ Africa dalla notte dei tempi e aveva inizio dal primo vagito del bambino, benedetto ed educato dal Griot.
A metà strada tra sciamano e menestrello, il Griot è una figura predominante nella cultura Africana. Depositario della saggezza degli anziani, esperto delle condizioni di trance e in continuo rapporto con gli spiriti, egli utilizzava la musica per raccontare le gesta degli antichi e tramandare alle nuove generazioni il sapore del passato.
La ritmica era la sua arma principale: attraverso il suono del tamburo egli ” lanciava in alto il suo cuore“, facendolo ricadere nella terra dei sogni. Figura emblematica, il Griot accompagnava la sua arte con due strumenti musicali, la KOR A e l’HALAM .
Si tratta di una sorta di ”antenati” del banjo, a cui i Griot solevano affidare le proprie composizioni.
In Africa tuttavia la musica non era atto di Creazione bensì un MEZZO per arrivare allo spirito: cantare equivaleva a liberarsi, poiché questa vita non è che un passaggio da una dimensione all' altra, e una prova per fortificare la nostra anima..
L’abbinamento tra musica e magia verrà in seguito come evoluzione naturale di questo pensiero..
Entrambi Sciamani, il Griot e il Bluesman utilizzano la musica per guarire dalle malattie dell’ anima, ma con un’unica differenza: il contesto ambientale e socio- culturale in cui si muovevano.
In Africa la musica è rituale, partecipa ai fenomeni naturali ed è intrisa di acqua e vento. Parla alla collettività veicolandone le emozioni attraverso la tecnica del ricordo ed è spesso affidata alle cure degli uomini anziani che in essa trasferiscono tutta la saggezza accumulata negli anni. E' fonte di insegnamento per le nuove generazioni ed è anche un modo semplice e immediato per imprimere il bagaglio culturale della Tradizione negli adolescenti.
Il Bluesman, invece, sradicato dalla sua terra e privato del balsamo del ricordo, riconduce tutto alla propria interiorità, alla quale chiede disperatamente di ritrovare la strada che riporta a casa. Il Griot racconta, il Bluesman grida. Entrambi si affidano ad uno strumento musicale, che ne diviene l’inseparabile compagno e sul quale operano un vero e proprio transfert. Malgrado ciò entrambi rimangono soli… Il Griot non è un essere sociale; egli vive isolato e si accompagna agli altri unicamente quando gli viene richiesto, diffondendo la storia degli avi e la sua saggezza.
Per il resto del tempo si rifugia nella sua capanna o sale su alte colline, portando con sé la Kora o l’Halam a cui confida la propria solitudine. Ama il proprio popolo ma è asceta per scelta, al fine di elevarsi dalle passioni quotidiane e divenire un essere puro, in grado di portare agli altri aiuto e insegnamenti imparziali.
Anche il Bluesman è solo, ma per motivi diversi. La schiavitù lo ha privato della propria individualità e quindi non ha diritti. Non ricorda più le favole della sua terra e quindi disperatamente ne inventa di nuove per convincersi di essere ancora un uomo. Anche lui si accompagna quotidianamente ad uno strumento a corde, che non è quello Africano ma uno strumento legato alla terra in cui è schiavo e che lui chiama Banjo.
Non avendo ricordi da raccontare canta se stesso e il proprio quotidiano, utilizzando la musica come arma contro la solitudine e balsamo per guarire dalla rabbia e dalla frustrazione. Un tentativo inconscio di guarire l’anima e di tornare a casa. Esperimento spontaneo per il quale vengono utilizzati simbolismi ed archetipi che vengono dall’ inconscio e che pongono il Bluesman in diretto contatto con una natura Africana che egli non sa di possedere.
Come il Griot, l’Afro-Americano conia una musica sul battito del proprio cuore.
Non c’è armonia nelle sue note ma solo senso ritmico, a cui egli aggiunge un eccezionale e personalissimo strumento: la sua voce. In Africa le distanze sono enormi. Ogni uomo