Sta Scherzando, Padre?. Marco Fogliani

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Sta Scherzando, Padre? - Marco Fogliani

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raccontato e fatto verbalizzare tutto, aggiunsi che avevo dei sospetti su chi poteva avermi derubato e riferii che secondo me era stato un tipo strano con in testa un cappello rosso e verde.

      “Uno col cappello rosso e verde? Giovenale?”, e rendendosi conto che non potevo conoscerne il nome, mi fece vedere una sua fotografia. Sì, era lui.

      “Vede… questo ragazzo, povero disgraziato, non ha mai fatto male a una mosca. È un po’ il portafortuna del paese, una specie di attrazione turistica. E a parte la nomea di possedere poteri paranormali, per cui comunque nessuno si metterebbe mai contro di lui, è molto amato dalla gente”. Dopo una pausa di riflessione, aggiunse: “Ma su quali elementi, precisamente, basa i suoi sospetti su di lui?”

      “Mi ha aggredito verbalmente. A tal punto che ho temuto seriamente che volesse alzare le mani su di me.”

      “Qualcun altro ha assistito a questa scena, e può confermarlo?”

      No, non potevo portare nessuno come testimone di quello che era accaduto.

      “E sia, verbalizzerò ugualmente; ma guardi che su queste basi non possiamo prendere alcun provvedimento ufficiale nei confronti di Giovenale. Magari possiamo andargli a parlare, chiedere se sa qualcosa, questo sì…”

      Beh, cosa potevo aspettarmi di diverso? Storicamente le forze dell’ordine sono sempre state asservite agli interessi del clero. Ce l’hanno nei cromosomi, secondo me. Quindi non rimasi stupito più di tanto di quella reazione. Rimasi molto seccato invece quando, per concludere, l’appuntato aggiunse (quasi a farmi capire che dubitava in toto di quanto gli avevo raccontato):

      “Comunque stasera, al suo ritorno a casa, controlli bene anche lì: a volte capita…”

      “…che per caso invece dei miei documenti abbia infilato nel marsupio un rametto di fiori? Non credo proprio”, risposi polemicamente, e me ne andai.

      Al ritorno a casa, ciliegina sulla torta di quella giornata per me così poco entusiasmante, dovevamo passare dalla mamma di Debora. Era tardi e buio ed ero stanco, anche se nel viaggio di ritorno ero riuscito a dormicchiare. “Spero che sia già addormentata, così ci sbrighiamo subito”, pensavo mentre Debora girava la chiave nella toppa di casa di sua madre. Si sentiva un rumore di passi: probabilmente l’infermiera ci stava aspettando sveglia. Ma quando aprimmo la porta vedemmo sua madre che, da sola e aiutandosi con le stampelle, ci veniva incontro.

      “Mamma! … ma ti sei alzata?!”, esclamò stupita Debora al vederla. Le andò incontro a sorreggerla, un po’ preoccupata che potesse perdesse l’equilibrio.

      “Stai tranquilla, ce la faccio. Ce la farei anche senza le grucce, se volessi, ma è meglio non esagerare: è la prima volta dopo tanto tempo. Oggi mi sono sentita proprio bene, e ho provato ad alzarmi. L’infermiera dice che potrebbe essere il cambio di stagione, ma io sono sicura che è stato il Santo che ha fatto un miracolo. Anzi, lo avete fatto voi, che siete andati a trovarlo. Ancora non riesco a crederci.”

      Già. Stentavo a crederlo anche io. Non so quante volte quel giorno mi ero chiesto chi me lo avesse fatto fare, ed avevo ripetuto a me stesso che in vita mia non avrei fatto più niente che somigliasse anche lontanamente ad un pellegrinaggio.

      Le due donne si misero sedute e si abbracciarono. Vidi Debora che, in silenzio, non riusciva a trattenere le lacrime per la commozione e la felicità.

      “Grazie soprattutto a te”, mi disse sua madre, “so che sicuramente ti è pesato molto. E grazie dei fiori: così in alto non puoi essere stato che tu a metterli. Li ho visti solo oggi che mi sono alzata.”

      Caddi dalle nuvole. Quali fiori?

      Guardai in alto e vidi, all’ultimo ripiano della libreria, un vaso pieno di bellissimi fiori bianchi e rosa. Sarà stata l’infermiera, pensai. Era una signora filippina molto disponibile e piena di dignità, ed evidentemente molto razionale se quel giorno, nonostante fosse anche lei molto religiosa, non aveva gridato anche lei al miracolo. Magari era salita con la scala. “Forse per i fiori devi ringraziare Eliana, la nuova infermiera”, dissi. “A proposito: dov’è adesso?”

      “L’ho mandata a dormire”

      Guardai ancora i fiori. Sembravano lo stesso tipo di fiori che quel giorno mi ero trovato nel marsupio. Possibile? Mi avvicinai per vedere meglio. Salii su una sedia. Sì, erano gli stessi fiori. E sul vaso… ma guarda, non sapevo che la mamma di Debora ne avesse uno così. C’era l’effigie del Santo. Lo stesso tipo di vaso che quel giorno avevo visto in vendita nelle bancarelle davanti alla Basilica. Guardai con più attenzione. Vicino al vaso c’era qualcosa. Allungai la mano e sentii tra le dita un telefonino. Era il mio. Vicino c’erano anche un portafoglio, le chiavi e il portamonete, tutto quanto ero convinto che mi avessero rubato. Senza dire niente misi ogni cosa al suo posto nelle mie tasche, riflettendo su cosa potesse essere successo.

      “Come vedi ci sono occasioni in cui la fede può più di qualunque altra cosa. Persino del denaro”, mi disse Debora. Già, il denaro. Non avevo controllato se nel portafoglio c’era ancora tutto. I documenti e le carte di credito c’erano ancora, ma il contante era sparito.

      Di quel misterioso ritrovamento non dissi niente a nessuno, né allora né mai. A malincuore, nonostante la sparizione dei contanti, il mattino dopo chiamai i carabinieri per dire che avevo ritrovato tutto, e ritirai la denuncia.

      Riflettei molto su quanto era successo. Ero molto indeciso su diverse ipotesi. Forse uno scherzo da prete ai miei danni, ben organizzato da Debora con la collaborazione di sua madre e dei parrocchiani; o forse un furto da parte dell’insospettabile Eliana, donna dalla doppia personalità o forse addirittura tripla: infermiera ladra e guaritrice. Ma se veramente era una guaritrice, allora quei soldi se li era meritati e non potevo certamente definirla ladra.

      Restava il fatto, innegabilmente positivo, dell’improvvisa guarigione della mamma di Debora, per cui anche l’ipotesi del miracolo non poteva essere esclusa. Ed era una ipotesi che, benché distruggesse tutta la mia filosofia e la razionalità del mio modo di pensare, tutto sommato poteva anche non dispiacermi. In quest’ultima ipotesi, però rimaneva il mistero della sparizione dei soldi, che il Santo mi avrebbe sottratto forse per farmi un dispetto o forse per aumentare i miei dubbi: perché se invece di soldi ne avessi trovati di più, al miracolo ci avrei creduto più facilmente.

      LA GITA AL SANTUARIO

      È successo quasi un anno fa, il 29 settembre. Io e Paolo eravamo fidanzati ufficialmente già da anni, tanto che ormai iniziavo a pensare che lo saremmo stati per tutta la vita. Tra noi stava cominciando a prevalere l'abitudine, ed anch'io stavo rischiando di assuefarmi all'assenza del vero slancio dell'amore, immaginato e sognato evidentemente solo da parte mia nei primissimi tempi in cui c'eravamo conosciuti.

      Sì, al nostro rapporto mancava decisamente qualcosa. E allora ben venisse quella gita, che si prospettava davvero importante per noi. Lui che finalmente mi veniva incontro in uno dei miei desideri più grandi e più agognati: andare insieme a visitare il santuario della Madonna del Pineto.

      Paolo - che figuriamoci, non dico che fosse ateo ma la religione ed i santi non erano proprio i suoi argomenti preferiti - era ben consapevole di quanto quel luogo fosse davvero sacro ed importante anche per me, oltre che per i miei genitori: i quali proprio al Pineto, oltre trent'anni prima, si erano dichiarati il loro amore, chiamando la Vergine a loro testimone e protettrice.

      “Beh, in fondo se ci sposeremo in chiesa è molto probabile che lo faremo là, e quindi è bene che prima o poi lo vada a vedere per farmene un'idea”, mi aveva spiegato proponendomi

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