Tornanti. Pamela Fagan Hutchins
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«Darò a Mildred un antidolorifico prima di esaminarla e farle una radiografia alla zampa», spiegò Patrick.
Entrò nel trailer, trovandosi con Tater e la sua cavalla. Mildred girò immediatamente le orecchie all’indietro e si mise a scalciare contro l’interno del rimorchio con gli zoccoli posteriori.
«Buona, Mildred.» Patrick le si avvicinò. «Va tutto bene, ragazza.»
«Forse dovremmo portarla fuori di qui, dottor Flint», suggerì Tater.
«Buona idea.» Patrick aveva bisogno di spazio per muoversi.
Tater tirò il nodo della lunghina di Mildred. «Diavolo. Ha tirato e l’ha stretto così tanto che non possiamo slegarla.»
Patrick estrasse il suo coltello tascabile con la scritta segaossa e lo mostrò. «Sì?»
«Sicuro. Io la tengo ferma e lei velocemente taglia la corda dove c’è il nodo. Sarà ancora lunga a sufficienza.»
Patrick lo fece, poi rimise il coltello in tasca.
Wes intervenne: «Con quel coltello di Minnie mica ci saresti riuscito, vero?»
Patrick sorrise.
Tater portò Mildred fuori dal trailer senza che si facesse ulteriormente male, grazie all’eccellente stecca che qualcuno le aveva fissato alla zampa. Poi legò la corda a un’assicella laterale. Patrick le si avvicinò di nuovo per farle una puntura sul collo. Il cavallo reagì fulmineo come un serpente a sonagli e affondò i denti nel suo petto.
«Aah!» gridò. Si incurvò e piegò le ginocchia. «Figlia di un’esca di una poiana!»
Tater colpì Mildred sul fianco, ma la puledra mantenne la presa per due atroci secondi prima di lasciar andare Patrick, che si allontanò rapidamente. L’animale agitò la coda.
Wes incrociò le braccia. «Figlia di cosa?»
Patrick non rispose. Si strofinò il petto. La pelle non si era rotta. Però il giorno dopo avrebbe avuto una bella irritazione.
Tater accarezzò il naso della sua cavalla. «Scusi, dottor Flint. Mildred è un po’ irascibile.»
Avrebbe voluto che Tater glielo avesse detto prima di arrivare a portata dei suoi denti.
«E io che pensavo che tutti ti amassero, Doc», ironizzò Wes.
Patrick gli lanciò un’occhiataccia. Chiese a Tater: «Hai mai fatto una puntura a un cavallo?»
«Una o due volte.»
Patrick gli porse la siringa. «Accomodati pure, allora.»
Wes tossì nella propria mano, ma sembrava molto più una risata.
Un rumore di passi affrettati e una voce senza fiato fecero trasalire Patrick. «Dottor Flint, abbiamo ricevuto una chiamata.» Era Kim. Kim non correva mai.
«Cosa c’è?» Si allontanò da Mildred per tenere se stesso e Kim fuori portata.
«Un vice sceriffo. Attaccato da un detenuto. Lo stanno trasportando qui.»
Patrick poteva trasferirsi in capo al mondo, ma il peggio di cui l’essere umano era capace lo avrebbe seguito ovunque. Il suo cuore crollò. Conosceva i vice sceriffi della zona. Uno era suo vicino di casa. «Contea di Johnson?»
«Big Horn.»
Non conosceva nessuno dei vice sceriffi della contea di Big Horn. Ma ciò non minimizzava la tragedia. «Quanto ci metteranno ad arrivare?»
«Quarantacinque minuti.»
«E i pazienti all’interno?»
«I loro parametri vitali sono coerenti con l’assunzione di anfetamine. Nessun altro indicatore.» «E la coppia più anziana?» «Lei è diabetica e si è dimenticata di far rifornimento di insulina.»
Patrick chiuse gli occhi per un lungo secondo. «Va bene, allora. Cinque milligrammi di Valium per i nostri consumatori di psicofarmaci e tenerli sotto osservazione. Controllare il livello di glucosio della nostra paziente diabetica. Sistemeremo Mildred e poi verrò a controllare tutti e a firmare le prescrizioni. Dovremmo aver finito prima che arrivi l’ambulanza. Grazie, Kim, e fammi sapere se ci sono dei cambiamenti.»
«D’accordo.» L’infermiera annuì e rientrò nell’ospedale.
Al suo posto apparve un uomo robusto con un cane da montagna dei Pirenei tra le braccia. La testa del cane era sopra la sua spalla, voltata dalla parte opposta rispetto a Patrick. Una zampa era appoggiata sulle braccia dell’uomo. Patrick rimase senza parole. Fai che sia solo una zampa finita in una trappola per orsi.
L’uomo chiese: «Lei è il dottore che sostituisce il veterinario?»
Patrick avrebbe voluto negarlo, ma rispose: «Sì», e pensò: sarà una lunga, interminabile notte.
DUE
BUFFALO, WYOMING
18 settembre 1976, ore 10 di mattina
Susanne
Susanne sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma non si sentiva tale.
Trish stava ancora ronfando e Perry era parcheggiato davanti alla TV a guardare il college football. Dette un’occhiata a suo figlio. Stava a pancia in giù sul tappeto marrone a pelo lungo, con indosso solo le mutande di Superman. Il mento tra le mani, le ginocchia piegate, i piedi che dondolavano nell’aria. Un mini Burt Reynolds sul suo tappeto di pelle d’orso, pensò, e ridacchiò. Nessuno dei due figli era pronto per la partenza. Nessuno dei due aveva preparato i bagagli. Nemmeno lei, se era per questo.
Sorseggiò una tazza calda di quella che Patrick chiamava la sua “acqua color caffè”. Erano le dieci di mattina ed era seduta al tavolo della cucina con indosso un caftano rosso vivo che si era fatta lei stessa. Un programma radiofonico locale che promuoveva vendite di seconda mano stava offrendo cuccioli, forniture per recinzioni e finimenti per cavalli da tiro. Rivaleggiava con la TV nell’altra stanza e il russare di Ferdinand, il loro levriero irlandese trovatello che mangiava come una betoniera e puzzava perennemente come se si fosse rotolato sopra un cane della prateria morto. Attraverso la finestra panoramica in fondo al soggiorno e sala da pranzo, Susanne poteva vedere le foglie autunnali dorate sui pioppi nel cortile posteriore, che brillavano con il sole e la brezza. Nonostante l’incalzare del ticchettio dell’orologio, non si mosse. Sentiva una tremenda mancanza di sua madre e di sua sorella, che la paralizzava. Aveva già esaurito il suo budget mensile per le chiamate interurbane parlando con loro nelle prime due settimane del mese. Le lettere sarebbero anche andate bene, ma ne riceveva solo una su tre che inviava loro. Le capiva. L’una aveva l’altra e la propria famiglia, gli amici e la comunità. Era lei quella a essere sola.
Perché Patrick aveva dovuto farli