Tornanti. Pamela Fagan Hutchins

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Tornanti - Pamela Fagan Hutchins

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faceva più paura della voce di suo padre quando era arrabbiato. Trish rabbrividì, ma Susanne non aveva paura di Patrick.

      «Io sì. Potrei prendermi una pausa.»

       Bello, mamma. Ti voglio bene.

      Poi udì Brandon: «Senti... ciao.» Aveva un tono sorridente.

      Trish sentì calore al viso. Non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di chiamarlo. Non aveva mai chiamato un ragazzo prima. Dimenticò completamente il litigio dei genitori. «Senti, ciao a te.»

      «Come butta?»

      Con Brandon, Trish si sentiva così fuori moda. Andava matta per il modo in cui parlava. Come se fosse californiano o qualcosa del genere, anche se era nato e cresciuto a Buffalo. «Mio padre ci porta a caccia con l’arco. Per i cervi, sai, no?»

      «È lontano.»

      Trish valutò se dire che era d’accordo con lui. Brandon era un vero fusto e più grande di lei, due anni più avanti a scuola. Piaceva a tutte le ragazze. Era piuttosto sicura di piacergli, ma l’aveva chiamata solo poche volte e non le aveva mai chiesto di andare con lui da qualche parte né altro. Le sue amiche ritenevano che fosse importante lasciare i ragazzi parlare di se stessi e comportarsi come se si amassero le stesse cose che facevano loro. Ma Trish non era molto brava a fingere, e questo poteva rovinare le cose.

      «Non lontano. Ma ci farà perdere la scuola e tutto il resto.»

      «“Miss voti perfetti” rischia di prendere un otto?»

      Trish udì un clic sulla linea telefonica. «Qualcuno ha appena preso su la cornetta?»

      «Non credo», rispose Brandon. «Pronto, pronto, c’è qualcuno?»

      Non ci fu risposta.

      Trish ruotò la sedia verso la finestra e parlò più piano. «Anche mia madre non vuole andarci, ma lascia che mio padre mi ci porti. È tipo complice di un rapimento. Dovrei scappare e basta.»

      «Esatto. Non lasciare che l’uomo ti metta i piedi in testa.» Trish udì una risata nella sua voce.

      «Mi stai prendendo in giro?»

      «Sì, un pò. Rilassati. Sarà un bel viaggio. Che culo.»

      «Cioè, se lo dici tu.» Si sentiva stupida a cercare di parlare come lui, e non era nemmeno sicura di farlo bene.

      «Dove andate?»

      «Non lo so. Da qualche parte vicino ad Hunter Corral è quello che ha detto a mia madre.»

      «Vi portate tutto con lo zaino?»

      «A piedi?»

      «No, a cavallo, scema.»

      «Oh. Sì. A cavallo. E poi ci accampiamo.»

      «Ganzo.»

      «Forse dovresti andarci tu al posto mio.»

      «O potrei semplicemente venire lassù per un saluto.»

      «Quello sarebbe una figata.» Una vampata di calore le fece arrossire di nuovo le guance.

      La voce di suo padre tuonò dal fondo delle scale. «Trish, perché la tua borsa non è vicino alla porta? Bisogna che tu venga fuori immediatamente.»

      «Devo andare, Brandon.» Si fermò, quasi trattenendo il respiro, sperando che lui si dichiarasse e rendesse le cose ufficiali tra loro. Sarebbe valso qualche secondo in più e l’ira di suo padre.

      Tutto quello che disse fu: «Vai, che vai alla grande.»

      Parte dello sballo che aveva provato parlando con lui evaporò. Se fosse tornata e avesse scoperto che stava uscendo con Charla Newby, non avrebbe mai perdonato suo padre. Charla. Le faveva venire il vomito. Capelli neri lunghi e ricci, e grandi occhi scuri. Prima classificata nel barrel racing al rodeo giovanile di quell’anno. Charla poteva avere tutto quello voleva, e ultimamente Trish aveva sentito dire che voleva Brandon. «Ehm, sì. Ci becchiamo poi.»

      Riappese e affrontò il genitore infuriato, che ora era davanti alla porta della sua camera. Però non appariva così minaccioso con la carta da parati a fiori blu come sfondo.

      «Eri al telefono?»

      «Scusa. Dovevo parlare con un’amica perché si faccia dare i compiti per me. Visto che sto perdendo le lezioni.»

      «Datti. Subito. Una mossa.»

      Si fece coraggio e disse tutto d’un fiato: «Papà, se la mamma non viene, non ci vengo nemmeno io».

      «Oh sì che ci vieni, signorina.»

      «Ma non mi piace cacciare.»

      Era vero. Non le dispiaceva sparare ai bersagli. Suo padre pensava che saper sparare fosse un’abilità necessaria nella vita e le aveva insegnato a farlo quando aveva undici anni. Perry aveva cominciato ancora prima. «Tutto parte dalla sicurezza, e la sicurezza inizia con la conoscenza», aveva detto. Le aveva fatto caricare e manovrare una carabina, una rivoltella e un fucile, tutto da sola. Sua madre aveva insistito sul fatto che, se voleva insegnare loro a sparare, avrebbe dovuto insegnare anche a difendersi in altri modi. Il padre, allora, aveva organizzato vere e proprie lezioni, con tappetini sul pavimento del soggiorno e i suoi tre allievi, contando anche la madre, di fronte a lui. Li istruiva per bene. «Qualunque cosa vi faranno fuori da qui sarà sempre peggio di quello che vi farò io qui. Quindi lottate, lottate, lottate.» Poi li addestrava sulle mosse di autodifesa. Dita negli occhi. Colpi di testa al naso. Calci all’inguine.

      Onestamente, suo padre era piuttosto violento. E un super fanatico.

      In definitiva, non le piaceva combattere. Ma sparare era divertente ed era brava in quello. Le piaceva di più la pistola. Non le rinculava contro la spalla. Negli ultimi tempi, l’ossessione di suo padre era il suo nuovo arco compound e lei e Perry si erano esercitati con lui.

      Ma poi l’aveva fatta andare a caccia di antilopi con lui l’anno prima. Non aveva voluto sparare da sola, così il padre si era messo dietro di lei e l’aveva aiutata a tenere il fucile. Aveva persino messo il proprio dito sopra il suo sul grilletto. Il loro primo colpo in tandem aveva colpito l’animale, ma, probabilmente grazie a lei, non l’aveva ucciso. Suo padre gli aveva allora dato rapidamente il colpo di grazia per porre fine alle sue sofferenze. Il pensiero di aver ferito un animale e che avesse sofferto, anche solo per un secondo, a causa sua? Era stato orribile. Aveva pianto tanto. Dopo che si era calmata, avevano dovuto eviscerarlo. Suo padre le aveva fatto guardare tutto il processo. Disgustoso. Disgustoso e triste. E ci era voluta un’eternità. Poi avevano dovuto trascinarlo e caricarlo sul pick-up e portarlo a casa. Che schifo! E per settimane avevano mangiato solo antilope. Il gusto era buono, ma aveva finito per stufarla, e le ricordava come era morto l’animale a ogni singolo pasto.

      Suo padre stava ancora parlando. «Non è necessario che ti piaccia cacciare. Vieni lo stesso.»

      «Non voglio.»

      «Non ti ho chiesto se volevi.» La

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