Tre storie di santità femminile tra parole e immagini. Mattia Zangari

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Tre storie di santità femminile tra parole e immagini - Mattia Zangari Orbis Romanicus

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al dotto biografo: il domenicano Raimondo da Capua (1330-1399). Espressioni caratteristiche della letteratura latina, desunte dai più celebri autori, fanno bellamente capolino in questo nostro testo. Particolarmente evidenti sono i richiami alle biografie di Cornelio Nepote, dal quale sembrano estrapolate alcune aretalogie.

      Un’altra prospettiva critica adottata nel capitolo è la relazione della biografia di Agnese con i testi delle mistiche europee. La pista di analisi suggerita da Romana Guarnieri sarà applicata nuovamente quindi, nel tentativo di capire, ancora una volta, se i testi delle mistiche presentino corrispondenze oppure no. Ci si soffermerà sulle immagini con le quali il testo «dialoga»; in particolare si analizzerà una visione in cui la Madonna, con in braccio Gesù Bambino, appare a sant’Agnese, che tenta di afferrare il piccolo, dando luogo quindi a una curiosa contesa fra la mistica e la Vergine. Il che farà vedere che le visioni delle donne mistiche si diversificano, dando forma ad esiti più o meno solenni – come la visione del sangue in Lutgarda, che ha valore martiriale e salvifico –, o più o meno naïf – come nel caso del certamen fra sant’Agnese e la Madonna.

      Ancora una volta i testi confermano come le mistiche – e i biografi – considerassero le immagini parte integrante di un «processo» contemplativo, che può dare luogo ad esiti inattesi e interessanti, come le visioni, condite dalla vena sanguigna e passionale di chi, devotius, prega davanti all’immagine.

      Questo libro è il risultato di una tesi dottorale discussa nel dicembre 2016 alla Scuola Normale Superiore di Pisa in co-tutela con la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Desidero ringraziare, in questa sede, quanti hanno contributo alla messa a sistema di questo lavoro. Anzitutto i relatori, i Proff. Lina Bolzoni e Bernhard Teuber, che mi hanno letto e ascoltato con dedizione, illuminandomi con il loro talento e i loro consigli. Ringrazio la commissione internazionale davanti alla quale ho discusso e dunque Isabella Gagliardi, Giovanna Rizzarelli, Florian Mehltretter e Albrecht Berger per il paziente lavoro di lettura. Devo grazie poi ai tanti interlocutori che hanno contribuito, ognuno a proprio modo, a dare una forma alle mie idee; un ringraziamento particolare va ad Anna Benvenuti, un’anima grande, che mi ha sempre incoraggiato a studiare le sante donne con uno stile che fosse il mio; un grazie sincero a Chiara Frugoni, per i consigli inerenti al rapporto testo-iconografia; altrettante grazie a Grado Giovanni Merlo, per la delicatezza di pensiero, senza la quale non avrei capito quanto forse ho capito dei testi francescani. Altrettanto importanti sono stati Massimo Vedova, per la perizia filologica che mi ha messo a disposizione e alla quale non ho attinto abbastanza; Rosanna Alhaique Pettinelli, per gli straordinari consigli di lettura inerenti al romanzo cortese e al romanzo cavalleresco; Alessandra Bartolomei Romagnoli per la disponibilità al dialogo sulle mistiche; Francesco Bausi per aver letto uno dei miei primissimi lavori su Angela da Foligno, ai tempi della mia tesi di Laurea magistrale; Mariateresa Horsfall Scotti, per il sostegno morale indefesso; il compianto Thomas Ricklin, per alcune generose osservazioni in merito al mio approccio alla mistica femminile; Claudia Märtl e Georg Strack per avermi accolto fra i dottorandi del ZMR (Zentrum für Mittelalter- und Renaissancestudien) della Ludwig-Maximilians-Universität München. Infine vorrei ringraziare padre Luigi Marioli, che mi ha beneficato a lungo con la sua finezza intellettuale; suor Maria Costanza Iannone, madre e sorella «in spirito»; i colleghi e gli amici della Normale, con i quali mi sono spesso interfacciato traendo sempre grande beneficio.

      Questo libro è dedicato alle mie sorelle ai miei genitori, per me via maestra nel percorso «tra le stelle e il profondo».

      Catanzaro, 20 luglio 2019. Mattia Zangari

      «Hoc speculum cotidie intuere»: le «Vitae matrum» e la «fabula depicta» di Lutgarda d’Aywières (1182-1246)

      Questo nostro percorso prende le mosse da una raccolta di vite di donne, le Vitae matrum, scritte dal domenicano Tommaso di Cantimpré (1200?-1272) fra il 1231 e il 1248. Si tratta di un florilegio composto dal Supplementum alla Vita della beghina Maria d’Oignies (†1213) – che era stata scritta dal teologo Giacomo de Vitry (†1240) – e dalle biografie di altre tre religiose: Cristina di St. Trond (†1244), Margherita d’Ypres (†1234) e Lutgarda d’Aywières (†1246). Caratterizzando le protagoniste dello spicilegio tramite la vocazione alla vita ascetica, alla stregua dei padri del deserto,1 come vedremo, l’intento di Tommaso è quello di offrire un quadro esemplare, un modello di comportamento rivolto alle donne e per realizzare questo modello egli illustra vita, mors et miracula di queste quattro religiose belghe. Se fino ad allora gli agiografi avevano rivolto la loro attenzione solo alle nobili regine (si pensi, ad esempio, all’agiografia ottoniana)2, ora sono donne «comuni» (seppur caratterizzate da un’intensa esperienza mistica) come Maria, Cristina, Margherita e Lutgarda a rappresentare dei «prototipi» comportamentali. La nostra attenzione sarà rivolta segnatamente all’ultima delle Vitae: quella dedicata alla monaca Lutgarda d’Aywières, mistica e profetessa. In primo luogo analizzeremo la tradizione del testo; in secondo luogo indagheremo il rapporto fra testo e immagini, a partire da una mappatura delle visioni che il testo registra. Adotteremo in seguito tre prospettive critiche; la prima di esse è quella delle tecniche mnemoniche: si sottolineerà infatti la presenza di alcune immagini (come la figura mentale del quadrato) che servivano tanto a delineare un percorso esemplare, quanto a fissarlo nella memoria dei lettori. Rispetto agli studi di Giovanni Pozzi, di Claudio Leonardi, di Caroline Walker Bynum (e veniamo alla seconda prospettiva) cercheremo di dimostrare che alcuni motivi letterari e iconografici hanno una tradizione più antica di quanto si pensasse, sottolineando il fatto che esista una circolazione di motivi e immagini che accomuna i Paesi del Nord con l’Italia: in questo contesto la Vita di Lutgarda rappresenta un punto nodale. I testi saranno infine analizzati dal punto di vista dei generi letterari: la Vita di Lutgarda appare infatti debitrice, oltre che al genere biografico, alla tradizione del romanzo cortese.

      Si cercherà quindi di capire che tipo di messaggio voglia filtrare quest’opera delle Vitae matrum prendendo in esame la biografia di Lutgarda per due ragioni. Morta Lutgarda, la badessa del monastero di Aywières dispone che il cantipretano, il quale aveva dato prova del suo talento di biografo scrivendo le agio-biografie di Maria, di Cristina e di Margherita, metta a sistema la Vita di Lutgarda, monaca che le altre religiose del monastero, rilassate nei costumi,3 avrebbero dovuto emulare.4 Estensore della biografia di santa Lutgarda, come vedremo, Tommaso può essere considerato uno dei primi agiografi a doversi porre5 il problema di come «trans-mittere» la vita di una monaca, creando un ideale, un exemplum nel quale le monache brabantine, avrebbero dovuto rispecchiarsi, sì che la comune monialis liegese potesse guardare al racconto della mater di Tommaso – letto? Ascoltato attraverso il medium dei predicatori come Tommaso? – , come termine di paragone, sì « (…) che ce se vedeva tucta, come quasi in uno specchio».6 Insomma: si può affermare che questa biografia ha valore particolarmente didascalico perché va considerata alla stregua di vademecum della monaca di allora.7 L’altro motivo per il quale abbiamo scelto di soffermarci sulla Vita Lutgardis, preferendola così alle altre, è il continuo dialogo fra testo e iconografia, al punto che si potrebbe pensare a questa Vita come a una fabula depicta. Tantissime le occorrenze figurative all’interno di questo libercolo e riposti i significati di questi punti di incontro fra dimensione testuale, figurativa e scritturale. Essendo persuasi dall’idea secondo la quale questa prossimità fra testo e iconografia è finalizzata a istituire la connivenza di un linguaggio pensato, sulla scia di chi ha dimostrato l’impossibilità di scindere il significato del leggibile e del visibile,8 vorremmo provare a leggere questa Vita Lutgardis alla luce della probabilità di rinvenirvi uno sviluppo articolato nei termini di un linguaggio doppio, con dei fini affatto particolari. Da un lato il linguaggio scritto, dall’altro quello figurato cooperano bellamente nel tentativo di trasmettere la speciale missione affidata agli Ordini nei confronti della comunità ecclesiale, missione sulla quale non indagheremo perché la nostra ricerca ha obiettivi strettamente legati all’analisi dei testi, anzi saranno proprio i testi (l’agiografia di Lutgarda, così come le opere letterarie con le quali questa Vita è interconnessa) a consegnarci dei «mattoni», attraverso

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