I gatti di Sallustio. Salvatore Algieri
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Cicerone era nato nel 106 a.C. ad Arpino, una cittadina della Ciociaria. Questa regione al sud-est di Roma, da dove proveniva anche mia madre, ha preso il suo nome odierno dalle “cioce”, le calzature che i contadini portavano ancora qualche decennio fa. (Le “cioce” consistono in una suola di cuoio, o anche ritagliata da copertoni di pneumatici, fissata al piede e alla gamba da lacci). Cicerone lottò per tutta la vita per un ideale classico della repubblica, una repubblica come la sognavano parecchi romani ma che non è mai esistita nella realtà. Le sue ambizioni politiche gli procurarono a volte importanti incarichi (fu console nel 63) ma un’influenza duratura sulla politica non l’ha avuta.
Cesare invece veniva da tutt’altro mondo. Era un rampollo della famiglia dei Julii, un’antica stirpe patrizia che si vantava di discendere da Enea. L’istinto politico e la spregiudicatezza di Cesare sono diventati proverbiali; già al principio della sua carriera aveva scoperto le due chiavi per ottenere e mantenere il potere: soldati e denaro. In tutte le sue attività politiche e nelle campagne militari la sua preoccupazione era di mettere insieme un esercito forte e leale fino alla morte e di arraffare quante più ricchezze possibili. Neanche le suppellettili e le statue dei templi potevano considerarsi al sicuro. Aveva bisogno di somme immense per mantenersi la lealtà delle truppe e per oliare gli ingranaggi a Roma. Lo storico Cassio Dione analizza dettagliatamente la filosofia cesariana del potere:
Faceva tutto questo non per malevolenza ma perché doveva finanziare spese ingenti e voleva assicurarsi i mezzi per le sue legioni, i trionfi e tutto quello che serviva a soddisfare il suo orgoglio. In breve: diventò un arraffatore di denaro. Egli si giustificava dicendo che ci sono due cose che garantiscono la conquista e il mantenimento del potere: soldati e denaro e le due sono interdipendenti; infatti un buon approvvigionamento della truppa mantiene la lealtà e viene assicurato dalle armi. Se manca uno dei due fattori anche l’altro si dilegua.
….egli metteva le mani su quanto denaro e ricchezze poteva, in parte come regalie, in parte come “prestiti”, come lui diceva. Infatti usava questa espressione “prestiti” per tutti quegli accaparramenti di denaro per i quali non si poteva trovare una parola più blanda. E dichiarava che egli aveva speso il suo patrimonio personale per il bene comune e perciò doveva ricorrere a prestiti. Per questo, quando il popolo lo supplicò di concedere una moratoria dei debiti, non si lasciò intenerire e rispose: “Anch’io sono pieno di debiti”.
Sallustio è noto per le sue opere storiche La congiura di Catilina , La guerra contro Giugurta e i frammenti delle Historiae ma ha raccontato poco di se stesso. Invece il suo rivale Cicerone ha lasciato una larga scia d’informazioni con le sue quasi ottocento lettere e innumerevoli orazioni dove ci informa non solo sugli avvenimenti politici del primo secolo avanti Cristo ma anche sulla sua vita e i suoi sentimenti, sull’arredamento e sulla biblioteca della sua villa al Tuscolo, sulle sue preoccupazioni per l’amata figlia Tullia o per il fratello Quinto. I biografi di Sallustio non hanno un compito così facile anche perché parecchie informazioni che ci sono giunte su Sallustio derivano da opere che sono, con molta probabilità, dei falsi. Una “invettiva” contro Sallustio è presentata come un`orazione di Cicerone davanti al senato ma è probabilmente un falso; per questo l’ignoto autore viene indicato come “Pseudo-Cicerone”. Era uso che i retorici si esercitassero componendo un`orazione come se fosse stata pronunciata da un avvocato famoso, per esempio Cicerone. Ciò non significa però che le informazioni contenute in questa invettiva siano false; per lo meno riflettono quello che allora i Romani pensavano di Sallustio. L’“Invettiva contro Sallustio” è probabilmente una risposta ad un`altra invettiva, questa volta di Sallustio contro Cicerone. Alcuni passaggi di queste “invettive” riportano fatti realmente accaduti e così queste fonti ci danno un quadro generale della vita di Sallustio anche se non affidabile al cento per cento.
Altri spezzoni di biografia possiamo ricavarli dagli scritti di altri storici come Cassio Dione, Appiano, Asconio e i padri della chiesa Eusebio e Girolamo. Da quest’ultimo apprendiamo che Sallustio era originario di Amiternum nella terra dei Sabini (oggi San Vittorino vicino l`Aquila) una regione montagnosa dove il clamore e il fasto di Roma giungevano molto smorzati. Le sue opere sono piene di moraleggianti ideali ma è per lo meno dubbio che egli ci si sia attenuto. Egli stesso ammette – anche se con una certa reticenza – di non esser rimasto sempre integro nel fosco ambiente della politica romana. Apprendiamo dallo “Pseudo-Cicerone” che egli dovette vendere la casa del padre, quando questo era ancora in vita, per pagare i debiti.
Sallustio si unì presto al partito dei populares al fianco di Giulio Cesare e così si trovò spesso in conflitto con Cicerone che rappresentava la frazione degli optimates. Negli anni tra il 62 e il 52 a. C. la politica a Roma fu caratterizzata dalla faida tra Cicerone e il tribuno Clodio. Sallustio, come rappresentante dei populares, favoriva Clodio contro Cicerone. L’inimicizia tra Publio Clodio Pulcro (della famiglia dei Pulchri, i Belli) e Cicerone cominciò nel 62 quando Clodio, travestito da donna, s’intrufolò nella casa di Cesare, dove le matrone romane, sotto la guida della madre di Cesare, celebravano i misteriosi riti della Bona Dea. A questi riti erano ammesse solo donne e così erano un po’ il contrappunto al culto di Ercole all’Ara Massima, dove erano ammessi solo uomini. Lo zelo “femministico” in questi riti arrivava al punto che si coprivano con veli perfino le immagini di animali maschi. Clodio aveva forse una relazione con la moglie di Cesare oppure voleva semplicemente permettersi uno scherzo ma fu scoperto da una serva e lo scandalo fu grande anche perché a quel tempo Cesare ricopriva la più alta carica religiosa, quella del pontifex maximus. Ci fu un processo, dove Cicerone testimoniò contro Clodio ma questo fece circondare la corte dalle sue bande armate e la sentenza dovette essere rimandata di due giorni. I giudici vennero corrotti con l’aiuto finanziario di Crasso e Clodio fu assolto. Lo scandalizzato Cicerone riporta:
Come suprema ricompensa per la loro corruttela vennero procurate (mio Dio che costumi!) per le notti di alcuni giurati certe matrone e alcuni nobili giovinetti. ….Ciononostante si trovarono venticinque giurati che preferirono rischiare la morte piuttosto che lasciar andare tutto in malora. Furono solo trentacinque quelli che si lasciarono guidare più dalla fame che dal loro onore.
Cesare voleva che tutta la faccenda fosse dimenticata e decise di non deporre; però ripudiò sua moglie. Da questa occasione deriva il detto: “La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”. Cesare pensò ovviamente che, dal momento che la sua fama era già pesantemente intaccata, non fosse il caso di aggiungervi altro materiale negativo a causa della moglie.
Nel 59 a. C. Clodio rinunciò al suo stato di patrizio e si fece adottare da un plebeo perché solo così poteva essere eletto a tribuno della plebe e acquistare una maggiore influenza sul popolo minuto. Clodio si rivelò un intrigante e un manipolatore di primo grado che, sostenuto dal favore popolare, voleva realizzare a tutti i costi i suoi fini politici, anche con la violenza. Gli riuscì di far esiliare Cicerone sotto il pretesto che, all’epoca dell’affare Catilina, Cicerone aveva fatto condannare a morte i congiurati senza un regolare processo. Le bande armate di Clodio misero a fuoco la casa di Cicerone che si era allontanato da Roma senza attendere una deliberazione finale e Clodio fece installare sul terreno una statua della Libertas, in modo da impedire a Cicerone, nel caso fosse tornato, di costruirsi di nuovo la casa su quel terreno “consacrato”. Nel 57 uno dei tribuni propose il ritorno di Cicerone ma Clodio fece di tutto per impedirlo. Con le sue bande di gladiatori ostacolava le riunioni del senato; alla fine di gennaio fece una carneficina nel foro e in quest’occasione il fratello di Cicerone, Quinto, si salvò per miracolo nascondendosi sotto i corpi degli uccisi. Cicerone descrive a fosche tinte:
il Tevere era pieno di cadaveri, le cloache rigurgitavano e il foro fu lavato con le spugne dal sangue.
Cicerone poteva contare sul sostegno dei tribuni Publio Sestio e Tito Annio Milone che però si servivano degli stessi metodi di Clodio e organizzavano bande armate