I gatti di Sallustio. Salvatore Algieri

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I gatti di Sallustio - Salvatore Algieri

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vennero alla luce resti di un edificio ovale con colonne di marmo giallo e alabastro. Il figlio, Flaminio, si ricordava nell’anno 1594 che in un fondo, dove si dice gl’Orti Salustiani suo padre

       cavandoci trovò una gran fabbrica di forma ovata, con portico attorno ornato di Colonne gialle, longhe palmi diecidotto…

      Fin nel secolo ventesimo si credeva che questo edificio fosse proprio il tempio di Venere Ericina (Fig. 7). Questi resti sono oggi scomparsi: il cardinale di Montepulciano acquistò le colonne per la sua cappella e fece rilavorare le parti di alabastro in lastre che regalò al re del Portogallo. Ma il regalo non arrivò mai a destinazione: in una tempesta le lastre affondarono insieme alla nave che le trasportava.

      Fig. 7 – Pianta che si ritiene raffiguri la costruzione trovata nella Vigna Vacca.

      Ancora nel 1888 l’archeologo Lanciani era convinto che l’edificio scoperto dal Vacca fosse il tempio di Venere Ericina o Venere degli Horti Sallustiani (anche se la pianta a cui si riferiva era di forma rotonda e non ovata!). Sulla localizzazione del tempio esistono ancora dubbi: i resti di terrazze e sale con colonne rinvenute sotto via Sicilia sul lato nord della valle potrebbero essere un indizio, anche perché in questa zona si trovarono diverse sculture che potrebbero essere in relazione con il culto di Venere, tra queste il famoso Trono Ludovisi con un bassorilievo della nascita di Venere (Fig. 8-8c). Quest’opera fu scoperta nell’estate del 1887 durante i lavori nella villa Ludovisi per la costruzione del nuovo quartiere. In questo caso, come in altri che vedremo, ci sono incertezze sull’esatto luogo del ritrovamento perché questo potrebbe determinare se la scultura apparteneva ai Boncompagni-Ludovisi o al comune: infatti Rodolfo Boncompagni-Ludovisi, la Società Generale Immobiliare e il comune avevano firmato un accordo secondo il quale la città avrebbe finanziato soltanto la costruzione delle arterie principali, via Boncompagni e via Veneto, tutto il resto doveva essere finanziato dagli altri due contraenti. Ma ciò significava anche che solo gli oggetti ritrovati sotto le due strade sarebbero appartenuti alla città.

      Fig. 8 – Trono Ludovisi (dal lato posteriore), Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps

      L’archeologo Carlo Ludovico Visconti descrive così la scoperta:

       Un monumento singolarissimo, non meno per la forma che per le rappresentanze e per lo stile, è stato di recente diseppellito nella villa Ludovisi;….Si tratta di una specie di sponda o parapetto (peristomion) cavato in un sol pezzo di marmo, il quale si compone di una fronte, e di due lati….

      Egli ringrazia i Boncompagni-Ludovisi che gli hanno permesso di pubblicare una foto nel Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma e riporta che l’opera verrà esposta nella famosa collezione di Villa Ludovisi. Apparentemente Visconti riteneva che il “trono“ fosse stato trovato sotto il terreno per il quale erano responsabili i Boncompagni-Ludovisi. Di più non si chiese; cinque anni più tardi Eugen Petersen, il direttore dell’Istituto Archeologico Tedesco, rivelò che egli aveva appreso da due persone “che erano presenti al momento della scoperta” il luogo esatto: il blocco tra via Piemonte/via Boncompagni/via Abruzzi/via Sicilia ma

      ….era una domenica in estate e per questo nessun ispettore era presente.

      Fig. 8a – Trono Ludovisi, fronte

      Fig. 8 b,c – Trono Ludovisi, lati sinistro e destro

      Bisogna crederci? L’archeologo Lanciani riferisce che questo “trono” fu offerto in vendita al conte Tyskiewicz, un intraprendente protagonista nel mondo antiquario di allora, per 300.000 lire ma, per fortuna dei romani, questa preziosa scoperta andò ad arricchire la famosa collezione di antichità che era stata fondata dal cardinal Ludovico Ludovisi nel secolo diciassettesimo e che forma l’oggetto di un prossimo capitolo. Questo “parapetto”, come lo chiama Visconti, è oggi noto come il Trono Ludovisi. L’opera sarebbe potuta finire a Copenaghen o Berlino ma, per fortuna, è esposta oggi al Museo Nazionale Romano (Sezione di Palazzo Altemps). L’archeologo Tedesco Wolfgang Helbig (su di lui ci sarà ancora da raccontare) aveva attratto nel 1891 l’attenzione del birraio e collezionista danese Carl Jacobsen su questo importante reperto ma Jacobsen non se ne interessò perché riteneva che la scultura sarebbe stata difficile da esporre perché richiedeva luce da tre lati. Anche Reinhard von Kekulè, direttore dei Musei Reali di Berlino, rifiutò un’offerta della famiglia Boncompagni-Ludovisi perché riteneva la scultura arcaica e non tanto interessante; ma anche i proprietari dell’opera non sapevano bene cosa farsene: nel 1891 la “balaustrata” serviva da deposito per bottiglie di vino vuote. Chi non vorrebbe avere un “trono” proveniente dai giardini di Sallustio in cantina per depositarvi le sue migliori annate!

      Ma qual’era la funzione di questo “trono”? La controversia dura ancor oggi; le dimensioni della base combaciano esattamente con l’apertura della fossa votiva del tempio di Afrodite a Locri. L’ipotesi che questo parapetto sia stato trasportato da un tempio di Venere a un altro è senz’altro allettante.

      Nel 1901 lo stato italiano comprò dai Boncompagni-Ludovisi i 104 pezzi più importanti della collezione – tra loro il Trono Ludovisi – che si trovano oggi a Palazzo Altemps.

      Un’altra simile scultura fu trovata nella stessa zona di via Sicilia/via Puglie, il cosiddetto “Trono di Boston”. Quest’opera finì prima in Inghilterra ed è esposta dal 1909 nel Museum of Fine Arts a Boston. Se sull’autenticità del Trono Ludovisi ci sono pochi dubbi, non così per il Trono di Boston: diversi archeologi ritengono che l’opera sia un falso attribuibile al gruppo Helbig/Martinetti/Jandolo. Ci ritorneremo su.

      Anche se il tempio di Venere Ericina è sparito, la dea vive ancora nella Roma di oggi: il suo specchio adorna lo stemma del nuovo quartiere Sallustiano (Fig. 9). (Più correttamente i quartieri all’interno delle Mura Aureliane vengono chiamati “rioni” – l’imperatore Augusto aveva originariamente diviso la Roma di allora in 14 “Regiones“).

      Fig. 9 – Lo specchio della Venere Ericina

      Nella zona di via Sicilia e via Puglie furono costruite all’inizio del 20° secolo diverse scuole. Proprio là dove sono oggi le scuole erano venute alla luce già nel 1710 avanzi di pavimenti in mosaico e importanti statue di stile egizio, come Tolomeo II e Arsinoe, oggi nei Musei Vaticani.(1)

      In via Puglie è ancora la scuola elementare nel cui cortile da bambini marciavamo in circolo cantando “Giovinezza” e altre canzoni fasciste. In via Sicilia è situato il Liceo-Ginnasio Torquato Tasso, dove io, subito dopo la guerra, ebbi i primi contatti con la lingua latina e con il tedesco e proprio nella zona della scuola si trovava la proprietà Vacca, dove nel 1551 venne alla luce quello che fu identificato come il tempio di Venere Ericina.

      Dopo la guerra, a causa del poco spazio disponibile le lezioni al ginnasio erano organizzate su due turni: una settimana la mattina e la seguente il pomeriggio. Venivano insegnate tre lingue straniere: francese, tedesco e inglese. Gli allievi vennero distribuiti, secondo qualche arcano criterio, in una delle tre sezioni A, B e C e a me toccò la sezione B col tedesco. Non pochi dei genitori dei “germanizzati” corsero alla direzione reclamando il trasferimento ad un’altra

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