Cantico di Natale (Illustrato). Charles Dickens
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Il commesso non si seppe tenere dall’applaudire dal fondo della sua cisterna; ma, subito accortosi del marrone, si diè ad attizzare il fuoco e riuscì ad estinguere l’ultima scintilla.
- Un altro di cotesti rumori dalla vostra parte - disse Scrooge - e ve lo darò io il Natale con un bravo benservito. Sei davvero un parlatore coi fiocchi - sopraggiunse volgendosi al nipote. - Mi sorprende che non ti ficchino in Parlamento.
- Non andate in collera, zio. Orsù, vi aspettiamo domani sera a pranzo. -
Scrooge rispose che piuttosto lo volea vedere all’inf... Sì davvero, la disse tutta la parola. Allora, forse, avrebbe accettato l’invito.
- Ma perché? - esclamò il nipote. - Perché?
- Perché diamine ti sei accasato? - domandò Scrooge.
- Perché ero innamorato.
- Perché eri innamorato! - grugnì Scrooge, come se cotesta fosse l’unica cosa al mondo più ridicola di un allegro Natale. - Buona sera!
- Ma voi, zio, non siete mai venuto a trovarmi prima. Perché mo’ vi appigliate a cotesto pretesto?
- Buona sera, - disse Scrooge.
- Niente voglio da voi; niente vi chiedo: perché non dobbiamo essere amici?
- Buona sera, - disse Scrooge.
- Mi fa pena, proprio, di trovarvi così ostinato. Tra noi non ci sono mai stati dissapori, ch’io ci abbia avuto colpa. Ho voluto fare questa prova in onore di Natale, e il mio buonumore di Natale lo serberò fino in fondo. Buon Natale dunque zio mio!
- Buona sera, - disse Scrooge.
- E buon principio d’anno per giunta!
- Buona sera, - disse Scrooge.
Il nipote se n’andò.
Né il nipote si lasciò sfuggire di bocca una sola parola dispettosa. Andò via tranquillo e si fermò un momento alla porta esterna per fare i suoi auguri al commesso, il quale, gelato com’era, aveva però addosso più calore di Scrooge, perché cordialmente li ricambiò.
- Eccone un altro - borbottò Scrooge che l’aveva udito: - il mio commesso, con quindici scellini la settimana, moglie e figliuoli, che parla di buon Natale. Mi chiuderò nel manicomio. -
Cotesto lunatico intanto, facendo uscire il nipote di Scrooge, aveva introdotto due altre persone. All’aspetto ed ai modi erano gentiluomini: si cavarono il cappello e s’inchinarono a Scrooge. Avevano in mano fogli e quaderni.
- Scrooge e Marley, credo? - disse uno de’ due guardando a una sua lista. - Ho io l’onore di parlare al signor Scrooge o al signor Marley?
- Il signor Marley - rispose Scrooge - è morto da sette anni. Morì sette anni fa, proprio questa notte.
- Non dubitiamo punto - riprese a dire quel signore, presentando le sue credenziali - che la sua liberalità abbia nel socio sopravvivente un degno rappresentante. -
Così senz’altro doveva essere; perché i due soci erano stati come due anime in un nocciolo. Alla malaugurosa parola "liberalità" Scrooge aggrottò le ciglia, crollò il capo e restituì le credenziali.
- In questa gioconda ricorrenza, signor Scrooge - disse quel signore, prendendo una penna, - è più che mai desiderabile il raccogliere qualche tenue soccorso per la povera gente sulla quale ricade tutto il rigore della stagione. Ce n’ha migliaia che mancano dello stretto necessario; centinaia di migliaia cui fa difetto il menomo benessere.
- Non ci sono prigioni? - domandò Scrooge.
- Molte anzi - rispose l’altro posando la penna.
- E gli Ospizi? gli hanno chiusi forse?
- No davvero; così si potesse!
- Sicché il mulino de’ forzati e la legge su’ poveri son sempre in vigore?
- Sempre, ed hanno anche un gran da fare.
- Oh! io avevo temuto alle vostre prime parole, che qualche malanno avesse rovinato coteste utili istituzioni, - disse Scrooge. - Mi fa piacere di sentire il contrario.
- Mossi dal pensiero che esse non procacciano alla moltitudine un qualunque benessere cristiano di anima o di corpo - rispose quel signore - alcuni di noi si danno attorno per raccogliere un tanto da comprare ai poveri un po’ di cibo e un po’ di carbone. Scegliamo quest’epoca, come quella in cui il bisogno è più acuto e l’abbondanza rallegra. Per che somma volete che vi segni?
- Per niente! - rispose Scrooge.
- Vi piace serbar l’anonimo?
- Mi piace non essere disturbato. Poiché lo volete sapere, signori miei, ecco quel che mi piace. Per conto mio, non mi do bel tempo a Natale, né voglio fornire ai fannulloni i mezzi di darsi bel tempo. Pago la mia brava quota per gli stabilimenti che sapete: costano di molto: chi non sta bene fuori, ci vada.
- Molti non possono, e molti altri preferirebbero la morte.
- Se così è, si servano pure - disse Scrooge; - scemerebbe di tanto il soverchio della popolazione. In fondo poi, scusatemi, io non ne so niente.
- Non vi riuscirebbe difficile di saperlo - osservò l’altro.
- Non è affar mio - ribatté Scrooge. - È già molto che ci si raccapezzi negli affari nostri, senza immischiarci in quelli degli altri. I miei mi pigliano tutta la giornata. Buona sera, signori! -
Vista l’inutilità di ogni altra insistenza, i due gentiluomini si accomiatarono. Scrooge si rimise al lavoro, molto contento del fatto suo e di più lieto umore che mai non fosse stato.
Intanto la nebbia e le tenebre si facevano così fitte che degli uomini armati di torce correvano per le vie, profferendosi a far da guide alle carrozze. La vecchia torre di una chiesa, la cui campana arcigna pareva guardare a Scrooge dall’alto della sua finestra gotica, divenne invisibile e prese a suonare le ore e i quarti nelle nuvole con un certo prolungato tremolio come se i denti le battessero. Il freddo infierì. Alla cantonata alcuni operai, intenti a restaurare i tubi del gas, avevano acceso un gran fuoco in un braciere, e intorno a questo una mano di uomini e di ragazzi cenciosi s’era raccolta: si scaldavano le mani e battevano le palpebre alla fiamma, beati. La fontanina, abbandonata a sé stessa, s’incoronava malinconicamente di ghiacci. I lumi delle botteghe, dove i ramoscelli di agrifoglio crepitavano al calore delle fiamme, facevano rosseggiare le facce pallide dei passanti. Le mostre dei pollaioli e dei salumai erano mostre davvero; e così splendide, da parere