Decameron. Giovanni Boccaccio

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Decameron - Giovanni Boccaccio

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per terra andando, onesta cagione avesse di dovere andare la marchesana a vedere, avvisandosi che, non essendovi il marchese, gli potesse venir fatto di mettere a effetto il suo disio. E secondo il pensier fatto mandò a essecuzione: per ciò che, mandato avanti ogni uomo, esso con poca compagnia e di gentili uomini entrò in cammino; e, avvicinandosi alle terre del marchese, un dì davanti mandò a dire alla donna che la seguente mattina l’attendesse a desinare.

      La donna, savia e avveduta, lietamente rispose che questa l’era somma grazia sopra ogn’altra e che egli fosse il ben venuto. E appresso entrò in pensiero che questo volesse dire, che uno così fatto re, non essendovi il marito di lei, la venisse a visitare: né la ’ngannò in questo l’aviso, cioè che la fama della sua bellezza il vi traesse. Nondimeno, come valorosa donna dispostasi a onorarlo, fattisi chiamar di que’ buoni uomini che rimasi v’erano, a ogni cosa oportuna con lor consiglio fece ordine dare, ma il convito e le vivande ella sola volle ordinare. E fatte senza indugio quante galline nella contrada erano ragunare, di quelle sole varie vivande divisò a’ suoi cuochi per lo convito reale.

      Venne adunque il re il giorno detto e con gran festa e onore dalla donna fu ricevuto. Il quale, oltre a quello che compreso aveva per le parole del cavaliere, riguardandola, gli parve bella e valorosa e costumata, e sommamente se ne maravigliò e commendolla forte, tanto nel suo disio più accendendosi quanto da più trovava esser la donna che la sua passata stima di lei. E dopo alcun riposo preso in camere ornatissime di ciò che a quelle, per dovere un sì fatto re ricevere, s’appartiene, venuta l’ora del desinare, il re e la marchesana a una tavola sedettero, e gli altri secondo le loro qualità a altre mense furono onorati.

      Quivi essendo il re successivamente di molti messi servito e di vini ottimi e preziosi, e oltre a ciò con diletto talvolta la marchesana bellissima riguardando, sommo piacere avea; ma pur, venendo l’un messo appresso l’altro, cominciò il re alquanto a maravigliarsi conoscendo che quivi, quantunque le vivande diverse fossero, non pertanto di niuna cosa essere altro che di galline. E come che il re conoscesse il luogo, là dove era, dovere esser tale che copiosamente di diverse salvaggine avervi dovesse, e l’avere davanti significata la sua venuta alla donna spazio l’avesse dato di poter far cacciare, non pertanto, quantunque molto di ciò si maravigliasse, in altro non volle prender cagion di doverla mettere in parole se non delle sue galline; e con lieto viso, rivoltosi verso lei disse: «Dama, nascono in questo paese solamente galline senza gallo alcuno?»

      La marchesana, che ottimamente la dimanda intese, parendole che secondo il suo disidero Domenedio l’avesse tempo mandato oportuno a poter la sua intenzion dimostrare, al re domandante baldanzosamente verso lui rivolta rispose: «Monsignor no, ma le femine, quantunque in vestimenti e in onori alquanto dall’altre variino, tutte per ciò son fatte qui come altrove.»

      Il re, udite queste parole, raccolse bene la cagione del convito delle galline e la vertù nascosa nelle parole, e accorsesi che invano con così fatta donna parole si gitterebbono e che forza non v’avea luogo; per che così come disavedutamente acceso s’era di lei, saviamente s’era da spegnere per onor di lui il male concetto fuoco. E senza più motteggiarla, temendo delle sue risposte, fuori d’ogni speranza desinò; e, finito il desinare, acciò che il presto partirsi ricoprisse la sua disonesta venuta, ringraziatala dell’onor ricevuto da lei, accomandandolo ella a Dio, a Genova se n’andò.

      NOVELLA SESTA

      Confonde un valente uomo con un bel detto la malvagia ipocresia de’ religiosi.

      Emilia, la quale appresso la Fiammetta sedea, essendo già stato da tutte commendato il valore e il leggiadro gastigamento della marchesana fatto al re di Francia, come alla sua reina piacque, baldanzosamente a dir cominciò.

      Né io altressì tacerò un morso dato da un valente uomo secolare a uno avaro religioso con un motto non meno da ridere che da commendare.

      Fu dunque, o care giovani, non è ancora gran tempo, nella nostra città un frate minore inquisitore della eretica pravità, il quale, come che molto s’ingegnasse di parer santo e tenero amatore della cristiana fede, sì come tutti fanno, era non meno buono investigatore di chi piena aveva la borsa che di chi di scemo nella fede sentisse. Per la quale sollecitudine per avventura gli venne trovato un buono uomo, assai più ricco di denar che di senno, al quale, non già per difetto di fede ma semplicemente parlando forse da vino o da soperchia letizia riscaldato, era venuto detto un dì a una sua brigata sé avere un vino sì buono che ne berebbe Cristo. Il che essendo allo ’nquisitor rapportato, e egli sentendo che li suoi poderi eran grandi e ben tirata la borsa, cum gladiis et fustibus impetuosissimamente corse a formargli un processo gravissimo addosso, avvisando non di ciò alleviamento di miscredenza nello inquisito ma empimento di fiorini della sua mano ne dovesse procedere, come fece. E fattolo richiedere, lui domandò se vero fosse ciò che contro di lui era stato detto. Il buono uomo rispose del sì e dissegli il modo.

      A che lo ’nquisitore santissimo e divoto di san Giovanni Barbadoro disse: «Dunque hai tu fatto Cristo bevitore e vago de’ vini solenni, come se Egli fosse Cinciglione o alcuno altro di voi bevitori, ebriachi e tavernieri: e ora, umilmente parlando, vuogli mostrare questa cosa molto esser leggiera. Ella non è come ella ti pare: tu n’hai meritato il fuoco, quando noi vogliamo, come dobbiamo, verso te operare.»

      E con queste e con altre parole assai, col viso dell’arme, quasi costui fosse stato Epicuro negante la eternità dell’anime, gli parlava. E in brieve tanto lo spaurì, che il buono uomo per certi mezzani gli fece con una buona quantità della grascia di san Giovanni Boccadoro ugner le mani (la quale molto giova alle infermità delle pistilenziose avarizie de’ cherici, e spezialmente de’ frati minori, che denari non osan toccare) acciò che egli dovesse verso lui misericordiosamente aparare. La quale unzione, sì come molto virtuosa, avvegna che Galieno non ne parli in alcuna parte delle sue medicine, sì e tanto adoperò, che il fuoco minacciatogli di grazia si permutò in una croce; e, quasi al passaggio d’oltremare andar dovesse, per far più bella bandiera, gialla gliele pose in sul nero. E oltre a questo, già ricevuti i denari, più giorni appresso di sé il sostenne, per penitenza dandogli che egli ogni mattina dovesse udire una messa in Santa Croce e all’ora del mangiare davanti a lui presentarsi, e poi il rimanente del giorno quello che più gli piacesse potesse fare.

      Il che costui diligentemente faccendo, avvenne una mattina tra l’altre che egli udì alla messa uno evangelio, nel quale queste parole si cantavano «Voi riceverete per ognun cento e possederete la vita eterna», le quali esso nella memoria fermamente ritenne; e secondo il comandamento fattogli, a ora di mangiare davanti allo inquisitor venendo, il trovò desinare. Il quale lo ’nquisitor domandò se egli avesse la messa udita quella mattina.

      Al quale esso prestamente rispose: «Messer sì.»

      A cui lo ’nquisitor disse: «Udistù, in quella, cosa niuna della quale tu dubiti o vogline dimandare?»

      «Certo» rispose il buono uomo «di niuna cosa che io udissi dubito, anzi tutte per fermo le credo vere. Udinne io bene alcuna che m’ha fatto e fa avere di voi e degli altri vostri frati grandissima compassione, pensando al malvagio stato che voi di là nell’altra vita dovrete avere.»

      Disse allora lo ’nquisitore: «E quale fu quella parola che t’ha mosso a aver questa compassion di noi?»

      Il buono uomo rispose: «Messere, ella fu quella parola dello evangelio la qual dice: “Voi riceverete per ognun cento”.»

      Lo ’nquisitore disse: «Questo è vero: ma perché t’ha per ciò questa parola commosso?»

      «Messer,» rispose il buono uomo «io vel dirò. Poi che io usai qui, ho io ogni dì veduto dar qui di fuori a molta povera gente quando una e quando due grandissime caldaie di broda, la quale a’ frati di questo convento e a voi si toglie, sì come soperchia, davanti; per che, se per ognuna cento ve ne fieno rendute, di là voi n’avrete tanta, che voi dentro tutti

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