Il processo Bartelloni. Jarro

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Il processo Bartelloni - Jarro

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che cantando.

      Gli uomini di scienza conoscono questo fenomeno.

      Dopo le prime note dell’organetto, Nello, invece di rispondere alla interrogazione del presidente, cominciò a cantare.

      Cantava a squarciagola nella sala, come quando si trovava nella Piazza Luna.

      Lì per lì tutti furono presi da stupore.

      Poi nacque un baccano indiavolato.

      Il pubblico si agitava.

      Gli auditori, l’Avvocato fiscale, il cancelliere si alzarono.

      L’avvocato Arzellini si accostò, anch’egli meravigliato, al suo cliente.

      Ma già Lucertolo aveva steso una mano e sbarrato la bocca al mentecatto.

      Nessuno capiva la vera ragione di quel canto improvviso.

      Neppure uno tra coloro, che si trovavano nella sala, dubitò di attribuire a impostura, a raffinata simulazione, quell’atto di demenza del disgraziato.

      – Impostore!

      – Ipocrita!

      – Birbante!

      – Assassino!

      Così il pubblico, e i birri, eccettuato Lucertolo, salutavano Nello.

      L’eccitazione era immensa.

      Specialmente dopo le risposte dell’inquisito, che avevano tanto aumentato, in apparenza, gl’indizii della sua colpabilità.

      – Silenzio! – gridò l’usciere.

      E tutti i birri rivolsero al pubblico le loro fisonomie accigliate.

      Lo zingaro continuava a suonare l’organetto.

      E Nello, appena Lucertolo gli ebbe lasciato la bocca libera, principiò di nuovo a cantare.

      Allora gli esecutori, ad un cenno del presidente, lo trassero fuori della sala.

      Ritornò due minuti dopo, tutto eccitato.

      Lo zingaro si era ormai allontanato nella direzione della piazza San Firenze e Nello non cantava più.

      Non rammentava anzi neppure di aver cantato.

      Il pubblico strabiliava, ma ormai nessuno osava più far mormorii o atti, che provocassero rigori, secondo gli ordini dati dal presidente.

      Il presidente fece a Nello un severo rabbuffo, gli spiegò come egli sempre più aggravava la sua condizione, tentando d’ingannare i giudici con mezzi tanto irrispettosi e grossolani, annunziandogli che, in separato giudizio, sarebbe stato chiamato a rispondere per schiamazzi, disordini nella sala d’udienza,

      – Persistete – riprese il presidente – nel dichiarare di non aver commesso voi l’omicidio nella persona del pittore Roberto Gandi?

      – Io dichiaro davanti a Dio, davanti ai giudici, davanti al popolo – disse Nello, in preda ad una singolare esaltazione – che qualcun altro ha commesso l’assassinio: io sono innocente… innocente… innocente…

      E si mise a piangere.

      – Signor presidente! – disse alzandosi l’avvocato Arzellini. – Credo anch’io – proseguì commosso – che il vero assassino non sia dinanzi alla Rota…

      – Signor avvocato?

      – Credo insomma che l’Attuario, che il Fisco abbiano troppo precipitato…

      – Le ripeto!…

      – Voglio far intendere, come spiegherò più ampiamente nella difesa, che altra mano versò il sangue dell’illustre artista Gandi… che sia opportuno rivolgere all’inquisito una domanda, che è stata negletta in tutta l’inquisizione.... cioè se egli abbia sospetti su colui, che può aver tentato di assassinare il signor Gandi.

      – Signor avvocato! – rispose il presidente – non è questa domanda, che io creda strettamente necessaria, pure… per massima deferenza alla difesa, io la farò.

      Ed il presidente formulò la domanda.

      Lucertolo ascoltava ansioso.

      Egli aveva indirettamente suggerito più volte a Nello di accusare il Carminati.

      Aspettava dunque la risposta con impazienza.

      III

      Il birro era sui carboni ardenti.

      Ma Nello restò muto.

      I suoi occhi si erano posati sopra un tavolino sul quale si trovavano i corpi del delitto: il pugnale, l’orologio, la catena, lo spillo, trovati sotto il materasso di Nello.

      Egli ora guardava quegli oggetti con avidità; la vista di quei metalli luccicanti lo occupava, lo distraeva.

      – Vede.... signor avvocato – osservò il presidente, rivolto all’avvocato Arzellini – l’inquisito non dà alcuna risposta.

      – Prego V. S. di voler rinnovare la domanda.

      Il presidente aderì.

      L’inquisito fece un lieve moto con le labbra.

      Tutti credevano che questa volta avrebbe parlato.

      Ma non gli uscì di bocca un solo accento e continuò a guardare i metalli.

      Sullo stesso tavolino erano gettati da un lato le vesti, il cappello del pittore Roberto Gandi, le vesti di Nello, e sotto il tavolino, in una cassetta, erano ammonticchiati i sozzi e sucidi panni insanguinati, che a Nello servivano di coperte nel suo giaciglio e fra’ quali era stato trovato ravviluppato, dagli esecutori nella notte del delitto.

      Il presidente rivolse altre domande all’inquisito, ma questi rispose in modo subdolo, indeterminato.

      Fu concordato, con l’assenso del difensore, che poteva ormai considerarsi l’interrogatorio come esaurito.

      – Il signor Avvocato Fiscale ha la parola! – disse il presidente, voltandosi verso il banco al quale sedeva il primo magistrato del Fisco.

      Il magistrato si alzò, e appoggiando le mani all’orlo del banco, protendendo la persona alquanto in avanti, pronunziò, con vibrato accento, e con voce sonora le seguenti parole:

      /* «Signori, presidente e auditori! */

      «Nei molti anni, dacchè esercito l’alto mio ministero, di rado mi fu dato studiar causa nella quale apparissero più chiari indizi della colpabilità dell’inquisito.

      «La pubblica discussione ha sempre più messo in evidenza l’esattezza dei precedenti atti processuali.

      «Giammai la mia coscienza è stata più tranquilla nel chiedere la esemplare punizione di un reo.

      «Vindice della società offesa, io ho il dovere di parlare con severità. Il delitto sul quale voi, esimii signori, dovete dare il vostro onorando iudicato,

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