Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari страница 10
Il suo morello, un cavallo scelto con cura, divorava la via con uno slancio straordinario, lasciandosi dietro di parecchi metri gli avversari.
Cavalcava cosí splendidamente, da suscitare un vero entusiasmo fra gli spettatori. Uomini e donne applaudivano fragorosamente quando passava davanti a loro, curvo sul collo del destriero, facendo ondeggiare la sua lunghissima piuma rossa. Il giovane cavaliere, giunse cosi addosso al primo gallo, con la velocità d’un uragano, si piegò verso terra, tenendosi con una mano ben fermo al collo del cavallo e, lesto come un cavaliere arabo, afferrato il primo volatile, lo strappò dalla sua buca e lo alzò trionfalmente.
Un grido di entusiasmo, partito dalla folla, salutò il colpo maestro del cavaliere. Uomini e donne sventolavano i fazzoletti ed agitavano bastoni ed ombrelli, come se avessero assistito ad una corrida de toros. Il giovane rosso in quel momento veniva acclamato come uno dei piú famosi espadas del circo di Siviglia o di Granata.
Il conte strozzò il gallo e lo gettò ad un gruppo di mendicanti; poi, giunto all’estremità della via, chiusa da uno steccato, fece fare al cavallo un fulmineo volteggio e riprese la corsa di ritorno.
I cavalieri che lo avevano seguito giungevano in quel momento quasi in gruppo serrato, ma tutti a mani vuote. Nessuno era stato fortunato, in quella prima corsa, ed i galli erano rimasti dentro la loro prigione.
– Che pessimi cavalieri! – mormorò il conte. – Che spetti a me accoppare tutti questi volatili? La cosa sarebbe noiosa, se la vittoria non valesse un bacio alla piú bella donna di San Domingo.
Allentò le briglie e riprese la corsa, spronando col piede destro il suo morello, e tenendo come prima il sinistro libero, per potersi curvare con maggiore comodità.
Poiché aveva sugli avversari un vantaggio di oltre trenta metri, ed era solo, mentre gli altri galoppavano in gruppo, il conte raggiunse in un lampo il secondo gallo e lo strappò.
Non un grido, ma un vero urlo entusiastico salutò il cavaliere.
– Viva il conte rosso! – aveva gridato la folla, battendo freneticamente le mani.
Gli altri cavalieri avevano avuto pure qualche fortuna, poiché due di loro avevano strappato un gallo ciascuno. La vittoria peraltro era rimasta al conte, il quale aveva fatto da solo un doppio colpo.
Scese da cavallo e s’avvicinò alla marchesa che lo guardava sorridendo, e le mise sulle ginocchia il volatile dicendo:
– Lo conserverete per mio ricordo, signora; cosí quando io sarò partito vi ricorderete qualche volta di me.
– Volete dunque partire? – chiese la bella vedova.
– È probabile che questa sera io non sia piú a San Domingo – rispose il conte.
– Allora voi accetterete di far colazione con me.
– Non rifiuto mai la compagnia d’una signora, specialmente quando è bella e amabile come voi.
– Ah, conte!…
Si era alzata. Fece con la mano un gesto d’addio ai cavalieri che stavano allineati dinanzi al palco scoperto, e salí lestamente il magnifico scalone di pietra, mentre la folla si disperdeva.
Il conte di Ventimiglia, l’aveva seguita insieme al maggiordomo e dalle donne di casa.
La marchesa gli fece attraversare parecchie sale riccamente decorate ed elegantemente ammobiliate, e infine entrò in un salotto da pranzo, non molto vasto, con le pareti coperte di cuoio rosso di Cordova e il soffitto dorato.
Nel mezzo una tavola era imbandita con posate e piatti d’oro e magnifici trionfi d’argento contenenti le piú svariate frutta dei climi tropicali.
Non vi erano che due poltrone l’una accanto all’altra.
– Signor conte, – disse la marchesa – vi avverto che oggi non ho invitati: cosí potremo parlare liberamente come due buoni amici.
– Vi ringrazio, marchesa, di questa delicata attenzione.
– E poi devo chiedervi qualche informazione.
– A me! – esclamò il corsaro con stupore.
– A voi! – rispose la marchesa di Montelimar, sulla cui bella fronte era apparsa una leggera ruga.
– E se vi dicessi che io desideravo vivamente rivedervi, prima di spiegare le vele, per chiedervi anch’io un’informazione, che cosa direste?
Questa volta fu la marchesa che fece un gesto di sorpresa.
– A me! – esclamò. – Mi conoscevate voi, conte, prima di gettare le vostre âncore in questo porto?
– No: avevo solamente udito parlare dei Montelimar.
– Di mio marito?
– No, d’un vostro cognato che molti anni or sono doveva coprire la carica di governatore di Maracaibo.
– Infatti mio marito aveva un fratello governatore.
– L’avete mai veduto quel Montelimar?
– Sí, due anni or sono feci la sua conoscenza a Portorico.
L’entrata di quattro servi negri, i quali portavano le vivande su dei larghi piatti d’argento cesellato e alcuni canestri contenenti polverose bottiglie, fece interrompere la conversazione.
– Facciamo colazione ora – disse la marchesa al conte. – Gli uomini di mare devono esser dotati d’un buon appetito e spero, signor de Miranda, che farete onore ai miei cuochi.
– Quando suona la campana del mezzodí i nostri stomachi sono sempre pronti, marchesa. Se vedeste i miei marinai che terribile assalto danno alle tavole!
– Mi piacerebbe assistervi.
– Se rimanessi ancora qualche giorno nel porto sarei onoratissimo di ricevervi sulla mia nave. Disgraziatamente dubito di essere ancora qui domani.
– Ma voi mi diceste che vi avevano mandato per proteggere la città da un assalto combinato fra filibustieri e bucanieri.
– Questo pericolo non c’è piú, ormai – rispose il conte con aria un po’ imbarazzata. – Mi avevano detto che parecchie navi sospette si erano vedute nelle acque di Jonaires, veleggianti verso il sud: stamane invece sono stato avvertito che si erano allontanate in direzione della Tortue. Andrò appunto a sorvegliare quei paraggi, per accertarmi della cosa.
– E per calare a fondo quelle navi?
– Sí, se mi sarà possibile.
– Sono formidabili quei filibustieri!
– Montano all’abbordaggio come diavoli, marchesa, e quando sparano una fucilata uccidono sempre.
Prese una bottiglia, che i servi avevano già stappata, ed empí due bicchieri dicendo:
– Alla vostra bellezza, marchesa!
– Alla vostra