La favorita del Mahdi. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La favorita del Mahdi - Emilio Salgari страница 22
Fit Debbeud, nel mentre che galoppavano in gruppo serrato, si chinò su Abd-el-Kerim che teneva stretto fra le braccia e lo toccò in volto colla punta del suo jatagan, facendogli uscire una goccia di sangue. L’arabo aprì gli occhi e lo guardò fissamente.
— Bravo arabo, disse lo sceicco sorridendo. Si vede che tu sei di buona razza, formato tutto di ferro di buona tempra. Mi conosci tu?
— Aspetto che tu mi dica chi sei, rispose Abd-el-Kerim freddamente.
— Mi chiamo Fit Debbeud, ma nel Dongola mi si conosce meglio per la Jena del Sudan. È probabile che tu oda questi nomi per la prima volta.
— Mi vanto di non aver mai udito questi nomi che puzzano da bandito a una giornata di cammino.
— Come sai tu che io sono un bandito? Sono lo sceicco di questi beduini.
— Per venire al campo, assalirmi a tradimento e portarmi via non bisogna essere che briganti o figli di quel cane di Mahdi. Queste piastre vuoi pel mio riscatto?
— Si vede che hai dello spirito, cane di un arabo. Voglio vedere se ne avrai altrettanto quando porrò sulla tua bruna pelle certe bestioline.
— Quale scopo hai per rapirmi? chiese sprezzantemente Abd-el-Kerim.
— Fra poco lo saprai, rispose lo sceicco.
Chiuse la bocca al prigioniero con un pugno che gli fe’ sanguinare i denti, poi rizzandosi sulla gobba del mahari gridò:
— Dritti alle ruine d’El-Garch, ragazzi miei.
La banda era allora giunta sul limitare delle grandi foreste del Bahr-el-Abiad, i cui alberi si curvavano con mille scricchiolii e con mille gemiti sotto i soffi del simun.
Fit Debbeud spinse il suo mahari sul sentieruzzo stretto e tortuoso e s’arrestò dinanzi a El Garch, le cui ruine si alzavano come fantasmi fra la profonda oscurità.
— Alto là! comandò egli, volgendosi verso la sua banda.
Fece inginocchiare il mahari con un semplice: khh! khh! sospirato, si gettò sulle spalle Abd-el-Kerim e dopo averlo avvolto strettamente nel suo taub lo consegnò ai suoi satelliti.
— Lo condurrete nel sotterraneo, gli disse. Se oppone resistenza torcetegli i polsi fino a snodarli.
Entrò nella sua tenda dove il greco sonnecchiava fra un monte di tappeti. Con un fischio lo fece saltare in piedi.
— Eccomi tornato, mio padrone.
— Ah! esclamò Notis, sei qui finalmente? Come andarono le cose?
— Il colpo è riuscito pienamente, rispose Fit Debbeud. Ho perduto tre uomini ma tu me li pagherai con sei cammelle.
— È in tua mano adunque? Mille tuoni!…
— Sì e senza essere stato avariato dagl’jatagan.
— Ah! cane d’un rivale! gridò il greco con gioia feroce. Se non vi fosse Elenka di mezzo, vorrei farti, sotto questa tenda e in mia presenza, uscire tutto il sangue che hai in corpo.
— Se vuoi che glielo faccia uscir io mi divertirò immensamente.
— No, non lo posso per mia disgrazia. Morrebbe, e a me interessa che non muoia.
— Si potrà fargliene uscire mezzo, incalzò lo sceicco.
— Odimi prima, disse il greco con voce collerica. Un dì, quell’uomo fu il fidanzato di mia sorella, e l’amò furiosamente e ne fu contraccambiato, poi vide Fathma, si dimenticò della prima per amare la seconda.
— Ciò vuol dire essere spergiuri e traditori, ragione di più per farlo morire lentamente e fra i più atroci tormenti.
— E mia sorella?… Elenka lo ama, e forse più di prima.
— La faccenda diventa imbarazzante. E che vuoi fare adunque?
— Fra due o tre giorni Elenka sarà qui e bisogna che prima del suo arrivo schiacci o meglio svelga dal cuore dell’arabo l’amore che ha per Fathma.
— Non trovo altro mezzo che quello di strappargli addirittura il cuore, disse tranquillamente il bandito.
— Ti ripeto che non deve morire.
— Aspetta un momento. E se io mi spacciassi per un amante di Fathma?
— Ebbene?
— Lascia pensare a me o tu vedrai che gli farò perdere ogni speranza di rivedere Fathma e gli farò comparire Elenka come una salvatrice. Il Profeta stesso non potrebbe fare di più.
— Se vi riesci compero da te Fathma a peso di talleri.
— Non chiedo di più. Ora andiamo a trovare il mio rivale e poniamo in opera i nostri progetti.
Lo sceicco s’inumidì le labbra con una tazza di merissak, accese un ramo d’albero resinoso, uscì dalla tenda e guadagnò l’entrata di un corridoio che aprivasi sotto una specie di piramide smussata e che si sprofondava tortuosamente sotto terra.
Vi entrò camminando con precauzione fra rottami d’ogni sorta e s’arrestò, pochi minuti, dopo dinanzi ad una porticina ferrata e bassa. Tese l’orecchio: al di fuori s’udiva brontolare il tuono e ruggire il vento sotto le grandi foreste e nel sotterraneo s’udivano le bestemmie e i lamenti del prigioniero. Un satanico sorriso apparve sulle labbra dello sceicco.
— Il mio prigioniero si trova a disagio nel sotterraneo, mormorò egli beffardamente. Lo faremo diventare idrofobo.
Aprì la porticina ed entrò in una specie di cantina umidissima e tanto fredda da gelare le membra. In un canto scorse subito Abd-el-Kerim, addossato alla parete, coi pugni chiusi, la faccia contratta dalla collera e dal dolore e gli occhi fuori dalle orbite che schizzavano fiamme. Fit Debbeud emise un grande scroscio di risa che l’eco ripetè più volte.
— Che fate, giovanotto mio? chiese egli, sghignazzando.
L’arabo scattò in piedi come una belva e lo guardò torvamente.
— Miserabile! urlò con voce strozzata, facendoglisi addosso colle braccia tese.
Lo sceicco trasse flemmaticamente un pistolone e puntandolo verso di lui, disse duramente:
— Se tu alzi una mano verso di me, ti faccio scoppiar la testa.
— Sei un brigante! urlò l’arabo furibondo.
— Si vede che tu conosci bene gli uomini. Non ti sei ingannato qualificandomi per un bandito.
Abd-el-Kerim lo guardò sorpreso.
— Ma che vuoi fare di me? Perchè mi hai rapito? Che ti ho fatto io per cacciarmi in quest’inferno? Chi te l’ordinò? Chiese