La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

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La favorita del Mahdi - Emilio Salgari

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la torcia in terra, si sedette su di un mucchio di rottami, trasse di saccoccia il suo scibouk, lo riempì e accesolo aspirò tre o quattro boccate di fumo con una flemma che avrebbe fatto invidia ad un Inglese.

       Tu mi chiedevi il perchè ti seppellii in quest’inferno, diss’egli, calcando su ogni parola. Se vuoi che te lo dica schiettamente, una donna è la causa di tutte le tue disgrazie.

      Abd-el-Kerim indietreggiò fino al muro e sentì un freddo sudore imperlargli la fronte. Un timore, un presentimento sinistro l’assalì.

       Una donna!… balbettò. Una donna!

       Conosci tu un’almea che si chiama Fathma?

       Fathma! Fathma tu hai detto? Che vuol dire? Per Allàh, tu mi schianti l’anima!…

       È proprio per schiantarti l’anima che io sono sceso in quest’inferno, disse beffardamente lo sceicco.

       Ah! sciagurato! urlò il povero arabo facendo atto di saltargli addosso.

       Non muoverti, per mille saette! gli intimò lo sceicco ripigliando il pistolone con gesto minaccioso. Sta in guardia, ti ripeto.

      Abd-el-Kerim si cacciò disperatamente le mani nei capelli e mugghiò come un toro.

       Ma che ti feci io, assassino? che vuoi da me? chiese.

       Odimi, ma non muoverti, se vuoi che ci lasciamo da buoni amici. Io sono lo sceicco Fit Debbeud ed amo alla follìa la donna che tu ami.

       Chi?… Fathma?…

       Sì, amo Fathma, ma l’amo, come ti dissi, alla follìa. Io seppi che tu l’amavi e che ella ti corrispondeva, e giurai in cuor mio di togliere l’ostacolo che mi sbarrava il cammino. Ebbi la fortuna di pigliarti e ti seppellii quaggiù per farti crepar di gelosia e sopratutto di fame.

       Non è possibile!… Non è possibile!… urlò Abd-el-Kerim. Fathma non ama che me, mi ha giurato che sarà mia, e mia sarà.

       È ben perchè ha giurato che sarà tua, che io ti spedisco all’altro mondo. Morto te, mi amerà voglia o non voglia.

       Ah! Cane!…

       Zitto, giovanotto mio. Se vuoi vi è un mezzo per riscattare la libertà.

       Quale? chiese l’arabo che ebbe un raggio di speranza.

       Quello di recarti da Fathma e di sputarle in volto in segno di supremo disprezzo.

       Taci, miserabile, taci!… Io ti sbrano co’ miei denti!

       Addio, giovanotto, disse il beduino alzandosi. Oggi stesso partirò per Chartum con Fathma e tu rimarrai seppellito in questa tana che sarà anche la tua tomba.

      L’arabo cacciò un urlo disperato e si gettò sul bandito, ma questi stava in guardia. Si trasse prontamente da un lato e gli scagliò su un fianco un sì terribile pugno che il prigioniero cadde come morto.

       Addio, giovanotto, ripetè lo sceicco sogghignando.

      Lasciò cadere una manata di datteri, spense la torcia e se ne andò tranquillamente, sbarrando la porta dietro alle spalle.

      Per dieci minuti lo sventurato Abd-el-Kerim non fu capace di muoversi tanto era stato forte il pugno scagliatogli dal bandito, poi con uno sforzo disperato si rizzò in piedi e si precipitò innanzi, colla speranza d’arrivare alla porta. Ma le tenebre erano profonde ed andò ad urtare contro un muro umido viscido al quale contatto rabbrividì.

       Aiuto!… Aiuto! urlò egli con voce semi-spenta.

      L’eco del sotterraneo solo rispose alla disperata invocazione. Egli si mise a correre all’intorno come un pazzo, urlando e bestemmiando, chiamando Fathma che ormai credeva perduta, incespicando ad ogni istante, cadendo e risollevandosi. Trovò la porta, vi cozzò furiosamente contro cercando di scassinarla, ma non riuscì nemmeno a scuoterla. I capelli gli si rizzarono sulla fronte, la disperazione lo prese e per un istante gli balenò in mente l’idea d’infrangersi il capo contro le pareti.

       Aiuto! Aiuto, Fathma! urlò ancora lo sventurato.

      Retrocesse barcollando come un ubbriaco e tese gli orecchi. Al di fuori tuoneggiava fortemente e s’udiva il vento urlare nel corridoio; un tuffo impetuoso d’aria umida giunse fino a lui.

       Dove sono? si chiese egli con una voce che più nulla aveva d’umano. Che è successo? Perchè mi han rapito? Dov’è Fathma, la mia povera fidanzata, la mia disgraziata almea? Sono in preda forse ad un terribile incubo?…

      Si stropicciò gli occhi, e si persuase d’essere proprio sveglio e prigioniero in quell’orrido sotterraneo. Allora si risovvenne delle parole dettegli dallo sceicco Fit Debbeud.

       Dio!… Dio!… esclamò egli con profondo terrore. Sarebbe mai possibile che quell’uomo fosse mio rivale? Sarebbe mai possibile che egli avesse a rapirla deludendo la sorveglianza di Hassarn?… Fathma! Fathma!… che farò io abbandonato in questa spaventevole prigione, senza speranza d’aprirmi un varco, senza un’arme per tentare la fuga, solo, isolato nel mezzo delle foreste del Bahr-el-Abiad?… Ho paura, ho paura, io divento pazzo!…

      Due lagrime gli solcarono le brune gote; si lasciò cadere a terra, nascose la faccia fra le mani e pianse. Le ore passarono lente, lente, ma nessun uomo scese nel sotterraneo, nè alcun rumore s’udì fuorchè gli urli della tempesta che continuava a imperversare.

      Quanto tempo passò? Egli non lo seppe mai, ma probabilmente più giorni scorsero.

      Aveva già perduta ogni speranza e s’era accoccolato in un angolo della prigione, fiaccato dalla fame e dalle angoscie, rassegnato a morire, quando un fischio repentino lo tolse dalla sua disperazione.

      Si alzò dopo incredibili sforzi e si guardò d’attorno. Un vago chiarore trapelava da una piccola screpolatura, aperta fra le umide pareti. Vi si trascinò sotto e raccogliendo tutte le sue forze chiamò aiuto.

      Udì un nuovo fischio poi una voce, quella del bandito Debbeud, gridare:

       Olà! Saltate su, che Elenka è in vista!

      Abd-el-Kerim gettò un ruggito d’ira; la benda gli cadde dagli occhi, comprese tutto. Egli si slanciò come una tigre verso la fessura, ma le forze gli vennero meno e cadde a terra sfinito, coi pugni minacciosamente chiusi e la schiuma alle labbra.

      Proprio in quell’istante la sorella di Notis arrivava alle ruine d’El-Garch.

      CAPITOLO IX. Elenka

      Elenka, chiamata la bella greca, era la più affascinante e nel medesimo tempo la più ardente creatura che potesse incontrare in tutta la regione dell’alto Egitto. Poteva avere diciott’anni a giudicarla dalle forme assai pronunciate; era di statura alta piuttosto che bassa, dalla vita flessuosa, dal portamento altero, superbo come era superba e altera nel gesto e nella parola. Aveva capelli nerissimi a riflessi metallici, che le cadevano come vellutato mantello sulle spalle, una fronte piccola come quella delle statue greche, due occhi scintillanti che parevano talvolta accendersi, ombreggiati da sopracciglia di un nero assoluto e di una regolarità

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