La rivicità di Yanez. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La rivicità di Yanez - Emilio Salgari страница 5
– Ah!… – fece Yanez, battendosi con una mano la fronte. – E la tua amica olandese?
– È sempre la mia fedele amica – rispose il pirata di Mompracem con un leggero sorriso. – To’, io mi dimenticavo di presentarti un suo parente, un professore, che si dice goda molta fama in Europa, e che ci aiuterà validamente a distruggere le bande di Sindhia.
– Qual professore? – chiese Yanez, con tono un po’ ironico, alzando la voce poiché le mitragliatrici facevano un chiasso infernale.
– Ti rammenti quel Demonio della guerra che con una certa macchina elettrica poteva far esplodere, a distanza, i depositi di polvere delle navi?
– Per Giove, se me lo rammento!… E sono quasi certo che se quella granata, caduta proprio nel momento in cui stava per lanciare la terribile scintilla elettrica, non avesse ucciso lui distruggendo nel medesimo istante il suo misterioso apparecchio, molte navi di Sir Moreland sarebbero saltate.
– Ed allora Sir Moreland non sarebbe diventato mio genero – disse Tremal-Naik. – Se tutto saltava, doveva ben andare in aria anche lui coi suoi marinai.
– Tu hai ragione – disse Sandokan. – La tua Darma non si sarebbe sposata col figlio di Suyodhana.
– Ma dov’è questo professore? – chiese Yanez.
– Sul secondo elefante. È probabile che si sia addormentato poiché soffre di sonno.
– Ha anche lui qualche scintilla elettrica per fare esplodere le polveri? – chiese Yanez.
– No, ha una cassa piena di bottiglie ben sigillate.
– E crederebbe, quel pacifico professore che viene dalla brumosa Olanda, di sterminare…
– Sterminare, hai detto? Pretende e si tien sicuro di distruggere tutti gli sciacalli di Sindhia con quelle misteriose bottiglie.
– Che cosa contengono dunque?
– Io non ho capito gran cosa, e poi non sono un europeo per sapere che cosa sono i microbi.
– I microbi?… Che diavolo!… Ha la peste ed il colera rinchiusi dentro quelle bottiglie?
– Che cosa vuoi che ne sappia io? – rispose Sandokan. – Io non mi intendo che di prahos, di carabine, di parangs e di kampilangs. Lui ti spiegherà meglio.
Prese ad un malese una torcia, la sbatté per terra, ed essendo in quel momento cessate le scariche delle mitragliatrici e delle grosse carabine da mare, s’avvicinò al secondo elefante, il quale stava vuotando avidamente un mastello che il cacciatore di topi aveva riempito alla sorgente e gridò:
– Signor Wan Horn, vi presento il Maharajah dell’Assam!
CAPITOLO II. IL PARLAMENTARIO
L’europeo dalla pelle rosea, i capelli biondi e gli occhi azzurri difesi da un paio di occhiali montati in oro, a quella chiamata fu pronto a svegliarsi ed a discendere dall’houdah.
– Altezza, – disse levandosi l’elmo di tela bianca e facendo un profondo inchino. – Vi conosco già assai per fama, e sospiravo il momento di vedervi.
– Voi siete olandese? – chiese Yanez, dopo avergli dato una stretta di mano.
– Sí, Altezza.
– Un professore forse?
– Un medico che ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio dei bacilli.
– E perché siete venuto insieme col mio amico?
– Per aiutarvi, Altezza, – rispose l’olandese con voce pacata. – Esperimenterò la potenza dei miei bacilli sui vostri avversari.
– Veramente non capisco bene, signor Wan Horn.
– Lo credo: non avete ancora veduto le mie bottiglie entro le quali coltivo quei microscopici animaletti cosí terribili da scatenare la peste, il colera, il tifo ed altre malattie.
– Yanez – disse Sandokan interrompendo – tu credi proprio che la volta non cadrà anche se calcinata dal fuoco?
– Ti ho detto che non vi è alcun pericolo.
– Allora, finché voi discuterete di cose che io, uomo quasi selvaggio, non posso comprendere, vi lascio per recarmi verso la foce del fiume fangoso. Voglio vedere coi miei occhi come vanno le cose laggiú.
«Pare che gli sciacalli di Sindhia si siano fitti in capo di entrare qui malgrado il fuoco delle mitragliatrici. Ah, la vedremo!…»
Chiamò due malesi, prese un’altra torcia e si allontanò rapidamente seguendo la larga banchina, mentre dei colpi di fuoco continuavano a rimbombare verso l’estremità della grand’arcata.
– Dunque vi dicevo – riprese l’olandese, a cui piaceva assai parlare, a quanto pareva, quantunque sia cosa piuttosto rara in un olandese – che io sono riuscito a coltivare una quantità enorme di bacilli, bastanti per distruggere anche cento milioni di persone in pochi giorni.
– Possibile? Sareste voi il fratello del Demonio della guerra? – esclamò il Maharajah.
– No, Altezza – rispose l’olandese, sorridendo. – Conosco già la storia di quel disgraziato inventore.
E poi io non sono un inventore. Non sono che un coltivatore, ma invece di piantare fagiuoli e patate, racchiudo i bacilli piú terribili dentro delle bottiglie che invece di acqua pura contengono un brodo assai nutriente, ottenuto con siero di vitello e di fegato glicerinato.
– È un po’ difficile capirvi, signor Wan Horn. Io non sono uno scienziato.
– Capirete subito, Altezza.
Quantunque verso il fondo della grande cloaca continuassero a rombare le grosse carabine, l’olandese si arrampicò agilmente sull’hauda, aprí una cassa, prese a casaccio qualche cosa e ridiscese con infinite precauzioni.
– Che cos’è questa? – chiese a Yanez.
– Una bottiglia che mi pare piena d’un liquido color dell’ambra, ma che io non vuoterei, ve lo assicuro, dottore.
– No, è un vivaio. Entro questo vetro ho coltivato i bacilli della tubercolosi.
– Ma io non vedo alcun insetto agitarsi dentro quel brodo!
– Come sarebbe possibile? I vostri occhi non sono dei microscopi. Pensate, Altezza, che i bacilli della tubercolosi, per esempio, che hanno la forma di asticciuole rosse, sono cosí piccoli, che mille, messi l’uno dietro l’altro, raggiungono appena la lunghezza d’un millimetro.
Calcolate poi che occorre un milione di quei terribili esseri per coprire solamente un millimetro quadrato.
– Sicché io non posso vederli.
– Nemmeno se possedeste gli occhi delle aquile.
– E quanti ve ne sono rinchiusi in quel vivaio?
– Tanti