La rivicità di Yanez. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La rivicità di Yanez - Emilio Salgari страница 7
Era un uomo di statura alta, magro come tutti i bramini ed i fakiri, dalla tinta piuttosto fosca ed i lineamenti energici, resi piú duri da una lunga e folta barba nera.
Era tutto vestito di bianco. Solamente alle reni portava una larga fascia di seta gialla, abbastanza in cattive condizioni.
I malesi lo afferrarono e lo spinsero, assai brutalmente, verso Yanez, il quale era illuminato da un’altra torcia tenuta da un dayako armato d’un kampilang luccicante.
– Gran sahib, – disse – mi riconosci? Io spero che tu non avrai dimenticato il mio nome.
– Tu sei Kiltar, l’uomo che io ho graziato – rispose il Maharajah. – Ti ho riconosciuto perfettamente.
«È la seconda volta che ti presenti a me come parlamentario. Che cosa vuoi? È Sindhia che ti manda?»
– Sí, gran sahib – rispose il bramino, fissando cogli occhi il luccicante kampilang del dayako che reggeva la torcia.
– Che cosa vuole quell’uomo?
– Che tu ti arrenda, gran sahib.
– Ah!… – fece Yanez, prendendo a Sandokan una sigaretta. – Quell’uomo è pazzo.
– Lo credo anch’io, gran sahib – rispose il bramino. – A Calcutta non lo hanno curato bene.
– Spiegati meglio, Kiltar.
– Ti consiglio, gran sahib, di non cedere. Dopo che tu hai ricevuto quei terribili uomini i quali hanno fatto una vera strage fra i rajaputi che un giorno erano al tuo servizio, il rajah è spaventato.
– Buono a sapersi – disse Sandokan, il quale, seduto su una mitragliatrice, guardava con viva curiosità il parlamentario.
– Tu mi sei debitore della vita – disse Yanez. – Te lo ricordi?
– Sempre, gran sahib. Si dice che i morti stanno benissimo nel nirvana che è tanto largo da accogliere tutte le anime degli indú, ma io sono contento di non esservi andato.
– Ti credo – rispose Yanez ridendo. – Almeno quando siamo vivi si può sapere quello che succede nel mondo.
– Non so che cosa sia il mondo – rispose il bramino. – Io non conosco che l’India.
– Insomma, che cosa vuoi? Noi non abbiamo tempo da perdere.
– Potremo riprendere questo discorso domani o fra una settimana, gran sahib, se cosí ti aggrada.
– Ritornerai qui?
– No, io non tornerò piú, perché se portassi a Sindhia la notizia che tutti voi vi rifiutate di arrendervi, mi farebbe schiacciare la testa da uno dei suoi elefanti.
– Suoi?… Miei!… – urlò Yanez.
– È vero. I rajaputi te li hanno rubati tutti.
– Vile gentaglia!… – esclamò Sandokan. – Risparmierò dei paria, risparmierò dei bramini, dei fakiri, ma non quei mercenari. Quanti cadranno nelle nostre mani li fucileremo, e le nostre grosse carabine di mare non sbaglieranno.
– Ne ha perduti nessuno? – chiese Yanez con un impeto di rabbia.
– Tre o quattro nell’assalto di Gauhati – rispose il bramino.
– Quanti uomini ha?
– Forse quindicimila, perché la colonna, che è corsa in tuo aiuto, ha fatto dei veri massacri con certe armi che non conoscevamo prima. Era un fuoco infernale che si succedeva senza tregua e rovesciava gli assalitori a centinaia e centinaia.
– Ha paura anche Sindhia di quelle armi?
– Trema quando ode quel sinistro crepitío.
– Anche questo è buono a sapersi – disse Sandokan, il quale aveva accesa la sua pipa, incrostata di zaffiri orientali e col bocchino d’oro. – Quest’uomo è veramente prezioso.
Yanez continuava a fumare la sua sigaretta, colla fronte aggrottata, accarezzandosi la barba. Pareva che pensasse intensamente.
– Tu non vuoi ritornare? – chiese finalmente.
– No, gran sahib, questa volta mi ucciderebbe.
– Eppure tu dovrai rivedere Sindhia.
Il bramino divenne livido ed i suoi occhi si allargarono di spavento.
– Tu vuoi la mia morte, gran sahib, – disse. – È vero che mi hai donata la vita.
– Tu non tornerai al campo di Sindhia solo – disse Yanez. – Ti darò un compagno e sarà un uomo bianco.
– Un uomo bianco!… – esclamò il bramino.
Sandokan si era alzato ed aveva vuotata la pipa.
– Che cosa mediti tu, fratellino! – chiese a Yanez, il quale conservava sempre il suo sangue freddo meraviglioso.
– Tu mi hai portato un uomo bianco che si propone di distruggere tutte le bande di Sindhia in pochi giorni.
«Ebbene, io lo metterò alla prova.»
– Chi? il signor Wan Horn?
– Sí, e ci farà provare la potenza delle sue bottiglie.
– E ci credi tu?
– Io ho piú fiducia nella mia carabina – rispose il portoghese. – Pure a certi scienziati si deve credere.
– Se lo dici tu è affare finito. E vuoi mandarlo da Sindhia?
– Certamente.
– Ti ha detto che voleva andarci?
– Sí, con un paio di bottiglie piene di bacilli di colera.
– Che cosa sono?
– Sono delle piccole bestie che tu non conosci.
– E se Sindhia lo fucilasse?
– Un uomo bianco? Oh, non l’oserebbe di certo!
– Che cosa dici, tu, bramino? – chiese Sandokan a Kiltar.
– Che accompagnato da un uomo bianco tornerei nel campo di Sindhia.
– Che cosa decidi allora, Yanez? – chiese la Tigre della Malesia.
– Di mettere alla prova i famosi microbi del tuo amico olandese. Credi che accetterà di recarsi al campo di Sindhia come parlamentario?
– È un uomo che ha del coraggio e perciò non si rifiuterà. E che cosa vuoi che vada a dire a quel rajah?