Le figlie dei faraoni. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Le figlie dei faraoni - Emilio Salgari страница 6
Né Ounis, né Mirinri parlavano: parevano entrambi immersi in profondi pensieri.
Solo il primo, di quando in quando, alzava gli occhi verso la cometa, fissandola intensamente. Il secondo sembrava invece che seguisse cogli sguardi qualche cosa che gli fuggiva dinanzi, forse la fanciulla che gli aveva fatto battere forte il cuore per la prima volta da che era nato.
Avevano percorso già così parecchie miglia, sempre avanzandosi nel deserto, quando Ounis appoggiò famigliarmente una mano sulla spalla del giovane, chiedendogli a bruciapelo:
«A che cosa pensi, Mirinri?»
Il figlio dei Faraoni trasalì bruscamente, come se fosse stato improvvisamente destato da qualche dolce sogno, poi rispose, esitando: «Non so: a molte cose.»
«Al potere sconfinato che tu raccoglierai in Menfi?»
«Può darsi.»
«O alla vendetta?»
«Anche questo può essere vero.»
«No: tu m’inganni. Io ti osservo da quando abbiamo lasciata la nostra dimora. Non è né il potere, né l’ambizione, né l’odio che turba il cervello ed il cuore del figlio del grande Teti, il fondatore della dinastia. «disse Ounis, con una certa amarezza.»
«Che cosa ne sai tu?»
«I tuoi occhi non hanno guardato nemmeno una volta la stella caudata che segna il tuo destino e il tuo cammino.»
«È vero,» rispose Mirinri con un lungo sospiro.
«Tu pensavi alla fanciulla che hai salvato dalla morte, sulle rive del Nilo.»
«A che negarlo? Sì, Ounis, pensavo a lei.»
«Ti ha dato dunque da bere qualche filtro misterioso, costei?»
«No.»
«Come puoi amarla così tanto da dimenticare la grandezza suprema, che tutti i mortali t’invidierebbero?»
Mirinri rimase alcuni istanti silenzioso, poi volgendosi con uno scatto improvviso verso il sacerdote, che si era fermato e che lo guardava tristamente, gli disse:
«Io non so se gli altri uomini siano eguali a me, perché in tanti anni io non ho veduto che le acque del Nilo, le grandi palme che lo circondano, le sconfinate dune di sabbia e le belve che le abitano. Io non ho udito fino ad oggi che la voce tua, quella del vento quando strappava le foglie piumate o torceva i rami, ed il mormorìo delle acque, colanti dai misteriosi laghi dell’interno. Come potevo io, giovane, rimanere insensibile ad un essere diverso da me e da te e che parlava una lingua armoniosa, più dolce del sussurrìo della brezza notturna? Tu mi dici che io l’amo. Non so veramente comprendere questa parola, io che sono vissuto sempre lontano dalle terre abitate e mai seppi che cosa possa significare. La malìa gettatami nel cuore da quella fanciulla potrà chiamarsi così. Io so che quando penso a lei mi vedo brillare sempre dinanzi, sia di giorno o di notte, quei grandi occhi neri ripieni d’una infinita tristezza e che provo entro di me una sensazione strana, che non saprei spiegarti e che prima non avevo mai sentito, né ascoltando il mormorìo delle acque, né i sibili del vento, né l’urlo delle fiere affamate vaganti pel deserto».
«Una sensazione pericolosa, Mirinri, che potrebbe esserti fatale e fermarti nel tuo glorioso cammino. Toglie le forze ai guerrieri, addormenta i forti, spegne le energie e rende talvolta l’uomo perfino vile. Guardati! La tua grande impresa non ha bisogno di quel fremito.»
«Rende perfino vili!» esclamò il giovane, colpito da quella parola.
«Sì, vili.»
«Ebbene guarda se io potrei diventarlo.»
Si era voltato guardando le dune di sabbia che si estendevano dietro di loro, interrotte qua e là da qualche cespuglio intristito.
Un’ombra gigantesca, che Ounis non aveva prima osservata, ma che non era invece sfuggita agli sguardi del giovane, era comparsa sulla cima d’uno di quei minuscoli monticelli di sabbia, guatando i due egiziani.
«Lo vedi?» chiese Mirinri, senza che nella sua voce si sentisse alcuna alterazione.
«Un leone!» aveva esclamato il sacerdote, trasalendo.
«È da qualche poco che ci spia.»
«E non mi hai avvertito?»
«Se è vero che io ho nelle vene il sangue dei guerrieri, perché dovevo preoccuparmi della sua presenza? Mio padre non sarebbe fuggito, lui che ha vinto, come mi hai narrato, le sterminate falangi dei Caldei.»
«Che cosa intendi di dire e di fare?» chiese Ounis, guardandolo con ansietà.
«Accertarmi se io sono veramente un Faraone, innanzi a tutto, e poi provarti che se anche quella fanciulla ha gettato una malìa su di me, non sarei capace di diventare un vile.»
La corta spada di bronzo brillò nella destra del giovane.
«A me, leone!» gridò. «Vedremo se sarà più forte il re del deserto od il futuro re dell’Egitto!»
Come se la formidabile fiera avesse compresa la sfida gettatagli dall’audace giovane, aprì le fauci e fece rintronare le dune d’un ruggito poderoso, che parve un colpo di tuono.
Ounis aveva afferrato con ambe le mani il braccio armato, dicendo:
«No, tu non puoi esporti contro quella belva. Io sono vecchio e non ho alcuna missione da compiere al mondo, lascia quindi che l’affronti io se verrà ad assalirci. Non ho bisogno che tu mi dia una prova del tuo coraggio. Mi basta veder brillare nei tuoi occhi il lampo fiero che animava quelli del grande Teti.»
Il giovane, con una brusca mossa, si svincolò e mosse intrepidamente verso la fiera, che ruggiva sordamente, sferzandosi i fianchi colla coda.
«Quando un Faraone getta una sfida non retrocede!» gridò Mirinri. «Vince o muore! Il leone l’ha accettata: a noi due!»
Il sacerdote non aveva più cercato di trattenerlo. D’altronde la belva, che doveva essere affamata, non avrebbe tardato ad assalirli egualmente.
«Prode come suo padre,» mormorò il sacerdote che lo seguiva, tenendo in mano la spada e che lo guardava muovere diritto verso la fiera, con un misto d’angoscia e d’orgoglio. «L’avevo giudicato male: ha nelle vene il mio…»
Si morse le labbra per non lasciarsi sfuggire il seguito di quelle parole, e allungò il passo onde porgere aiuto al giovane Faraone.
Il leone che fino allora era rimasto accovacciato, vedendo avanzarsi la preda che credeva di abbattere con un solo colpo delle sue poderose zampe, si era alzato, scuotendo la sua folta criniera.
Era un superbo animale, di taglia grossa e robusta, dal pelame fulvo e la criniera nerastra come quella dei leoni delle montagne dell’Atlante, che rappresentano oggidì la razza più bella di quei terribili carnivori.
Mirinri, punto spaventato dall’aspetto imponente del suo avversario, né dai suoi ruggiti, che