Lo assedio di Roma. Francesco Domenico Guerrazzi

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi страница 33

Lo assedio di Roma - Francesco Domenico Guerrazzi

Скачать книгу

ne ricusarono il prezzo. Che più? Gli appaltatori delle feste religiose informati come per penuria di pecunia pubblica il Senato stesse per sospenderle, si proffersero continuarle a proprie spese col patto, che al termine della guerra ne sarebbero soddisfatti; ed anco a cotesti tempi per mercadanti parve avessero toccato le colonne di Ercole della liberalità.

      Nè altrove come a Roma tu avrai esempi del modo col quale la uguaglianza civile con tutte le potenze dell’animo si prosegua, e del modo feroce onde si punisce chi la insidia. Genuzio Cepione pretore mentre esce da una porta percosso da non so quale prodigio consulta gli auguri, che lo chiariscono lui destinare i fati a re di Roma ove mai ci ritornasse: da tanta scelleraggine aborrendo ci si condanna a perpetuo esilio. I Romani in memoria del fatto ed in laude dell’uomo su cotesta porta ponevano la sua immagine condotta in bronzo; però la porta ebbe nome di Raudusculana, chè in antico il bronzo si chiamava raudera. – Spurio Cassio Vescellino sendo tribuno della plebe propone primo la legge agraria per gratificarsi il popolo nel pravo intento di assoggettarselo poi. Cessato lo ufficio il padre Cassio convoca il consiglio di famiglia di parenti, e di amici, e lui accusa e convince d’insidia alla libertà della Patria; da tutti dannato ordina il padre si uccida con le verghe; il suo peculio consacra a Cerere; e Plinio ricorda avere veduto ai suoi tempi il simulacro di Cerere fatto col danaro di Spurio Cassio. Bruto ammazza Cesare senz’altro rito, che con ventitrè pugnalate. Questi i tiranni pallidi di paura urlano essere atti feroci, e meritamente; costoro fanno il loro mestiere; ed è ragione, che lo ripetano a coro i complici della tirannide. Diversi noi, consideriamo che pigliare un giudice e mutatolo in mannaia mozzartene il capo, ovvero la legge e convertitala in corda stringertene il collo, o i figli del popolo ed avventarli soldateschi mastini alla gola del popolo, troppo più rimescola sottosopra il consorzio civile che non il pugnale immerso nel cuore al tiranno. Rotta, che sia una volta la legge sottentra la violenza, per la quale cosa non si conosce con che diritto si presuma che altri ti faccia la guerra a modo tuo, e non in quello, che altri giudica per ottenere su di te vittoria facile e intera. Strana cosa! Un dì altari inalzaronsi ai trucidatori dei tiranni, e si ebbero il pregio di eroi, e di semidei; andarono lungamente celebrati nei peana argivi Pelopida, Timoleone, Trasibulo, Armodio e Aristogitone e simili: oggi, se antichi riverisconsi, e nelle scuole rammentatisi modello alle giovani menti, se moderni si dannano agli Dei infernali. Che gl’imperatori moltiplichino affannosi i delitti di lesa maestà, e affermino capitale delitto il negato saluto alla propria immagine provandolo poi a suono di scure, bene sta; e’ sì arrabattano a fare il loro mestiere, ed anco s’intende che per paura rabbiosi, o per cupidità convulsi lo vadano ripetendo i satelliti che tengono dintorno, e da loro ricavano infamia, pane, e ardire; ma che altresì lo bandiscano uomini che presumono avere a cuore la Libertà non s’intende, molto più che così non la intendeva nè anco Marco Aurelio imperatore, il quale consegnando la spada emblema della sua carica al Prefetto del palazzo gli diceva: «piglia questa e se impero retto difendimi, se iniquo uccidimi.»

      Roma con le sue rovine ti ammaestra che pari fato attende quel popolo il quale recandosi a tedio il lavoro stende le mani alla elemosina dei cittadini, e più funesto assai ai doni dei re. La dovizia lasciata dal re Attalo al popolo romano fu proprio la camicia di Nesso, ond’ei rimase incenerito. Benefattore della umanità è quegli, che appresta lavoro alle mani, e scienza allo intelletto del popolo: ricordi sempre costui come quando il cozzone intende saltare sopra le groppe del puledro gli presenta blando nel cavo della palma la biada, e Cesare mentre con le larghezze del suo testamento pare liberale al popolo romano porge la cima della catena di cui lo ha avvinto al successore Ottaviano: il popolo corrotto la celebrò bontà di amico, e fu libidine di tiranno che nè anco per morte si attuta.

      Nella città eterna imparerai a parlare come Aulo Cesellio il quale interrogato che mai gli desse balìa a riprendere acerbo come faceva le iniquità dei Cesariani rispose: i molti anni, ed i punti figliuoli; ovvero come Marco Castricio, il quale negava gli ostaggi commessi alla sua fede a Cneo Carbone, ed a costui, che presumeva atterrirlo con le parole: «bada ch›io ho molte armi;» egli mansueto diceva: «ed io molti anni.» Ed anco piglierai norma di onesto e forte vivere da quel Caio Blosio amico di Tiberio Gracco e della sua fama, non già della sua fortuna, che interrogato da Lelio per ordine dei Senatori a fine, che esecrando il male condotto amico con le nuove parole si procurasse perdono della colpa antica ei repugnò come da azione abominevole; e quante volte gli domandavano: «ma se Gracco ti avesse ingiunto di sovvertire il tempio di Giove l›avresti tu fatto? E se Gracco ti avesse comandato di appiccare le fiamme a Roma l›avresti tu arsa?» Ed altri cosiffatti vituperii, tante ei rispose: «Tiberio Gracco non era capace di ordinare scelleraggini.» Aborrendo lo inclito uomo menomare la reverenza alla memoria dello amico anco con silenzio onesto, o con prudente sermone: – -imparerai, cosa anco più difficile, a tacere, nè di questa qualità fondamento oltre la comune aspettativa di ogni virtù cittadina ti fornirà esempio solo M. Perpenna legato a Genzio re degl›Illirici, il quale stretto con blandizie, e con terrori a rivelargli i segreti del Senato accostò il dito indice alla fiammella della lucerna che gli stava dinanzi, e ce lo tenne fermo finchè non lo ebbe tutto arso, dimostrandogli in quella guisa, che i tormenti non valevano sopra di lui; delle carezze non importava dire; gli esempi ti verranno altresì dalle donne come sarebbe Porcia, la nobile consorte di M. Bruto, che cela, e tace la ferita, che si è fatta per chiarire il marito se si sentisse bastevole a tenere il segreto intorno ai disegni, ch›egli agitava nella mente; – e non pure da matrone, bensì dalle femmine, che il mondo cerca e disprezza, registrando le storie il memorabile fatto di Epicari cortigiana, la quale per non essere sforzata dai tormenti a rivelare la congiura contro Nerone con le proprie mani accosciatasi giù in ginocchioni si strangolava. Sopra tutto Roma t›insegnerà a morire, più della vita rendendoti desiderabili le cause del vivere; di Catone si tace, e di Arria maestra di generosa morte al marito, e di Porcia, che impedita a troncare il vivere suo co› mezzi ordinari non rifugge uccidersi trangugiando carboni ardenti, e di Sempronia la sorella dei Gracchi, che invano spaventata dal popolo, e dal senato furenti nega il bacio ad Equizio supposto figliuolo di Tiberio, perchè il decoro della famiglia con la turpe agnazione non si vituperasse; giovi ricordare Quinto Metello Scipione suocero di Pompeo magno, che, ruinate le fortune del genero mentre naviga nella Spagna, vista assalita e presa la nave dai Cesariani si ritira a poppa e quivi si ferisce a morte, donde, sentendo i nemici domandare ansiosi: «dov›è Scipione?» rispondeva: «Scipione sta bene, e vi saluta.» Indi a breve moriva. – E moriva Trasea Peto, ed altro non potendo, col sangue grondante dalle aperte vene propinava a Giove liberatore.

      Qua in Roma studia la faccia multiforme della tirannide, onde altra mai non possa più abbindolarti, e di ora in poi capitandotene in mano qualcheduna delle nuove tu possa, dopo brancicatola alquanto, dire: «il vivagno v›è ricucito di fresco, ma il panno è antico.»

      Augusto rappresenta la tirannide che s›instilla nel popolo come raggio di sole blando, e inevitabile; le dà sembianza di legge, l›orna con lo splendore delle lettere, la rende gioconda di agiatezza e di comodi; trova Roma di mattoni la lascia di marmo; ed anco ai dì nostri la tirannide, giusta il detto della Scrittura, s›industria ingrassarti il cuore, onde non ci entri, o ci esca senso di dignità. Finchè non si recarono a tedio i lari pudibondi, e lo studio della spola e dell›ago crebbe la gloria delle donne latine che partorirono gli Scipioni, e i Gracchi; adesso predicano il lusso necessità degli umani consorzi, e piglia la più pericolosa di tutte le facce, quella della scienza, con inane consiglio, a parere mio, dacchè solo, che tu distingua se le ampliate comodità si affanno ai bisogni veri della vita procurando più ferma salute, o giorni meno duri, e tu accettale in casa come ospiti amiche; se poi per assillare il genio vanitoso delle femmine, o la obliqua irrequietudine dei figli, o la tua stessa superbia chiudi loro la porta in faccia; meglio sarebbe tu l›aprissi alla volpe. Bada, il tiranno prima ti empie di vanità, e poi ti compra. – Tiberio rappresenta la tirannide che penetra nelle carni del popolo con gli artigli dell›uccello di rapina, odiato odia, e perchè lo desiderino egli attende a lasciarsi successore un›uomo di cui le atrocità valgano a fare dimenticare le sue, e vi riesce; però che egli fosse tiranno astuto, Caligola matto, Claudio imbecille, Nerone, Caracalla, Costantino immani, e parricidi; Galba e Vespasiano rappresentano la tirannide avara, Vitellio la tirannide da taverna, Massimino la briaca, Tito la ippocrita, Domiziano la bestiale, Procolo ed Eliogabalo la infame di

Скачать книгу