I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio
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– Perchè svegliarmi? – esclamò egli. – Facevo un sogno così bello! Figurati; sognavo che il tuo Collini era venuto, con un cuor da leone, tutto armato di feroci propositi. Ma vedo bene che bisognerà notare di falsità il detto di Omero.
– Qual detto? – chiese Lorenzo, in quella che ambedue, seguiti dal taciturno Michele, si avviavano verso la viottola di San Nazaro.
– Non sai? nel primo libro dell'Iliade, dove Achille dice che «__da Giove anco il sogno procede__». Ora il mio è stato un sogno inspirato da Momo, il Dio dello scherno. Il Collini non è venuto; andiamo noi.
– __Tu dixisti__, – rispose il Salvani, imitando la burlesca gravità di Giorgio Assereto. – Soltanto ti prego di studiare il passo, perchè la viottola è lunga, e mancano appena otto minuti alle cinque. —
A mezza strada trovarono la loro vettura, svegliarono il loro medico, che russava beatamente nel fondo; pigliarono le spade, e poi giù a passo di corsa fino a San Nazaro.
Il sole non era anche spuntato dallo scoglio di Portofino, dove i primi Genoati credevano che stesse a dormire; ma i primi colori dell'aurora dipingevano timidamente il cielo e le digradanti costiere ligustiche. Il rancio, il rosato e il verdognolo, magnifici colori che l'alba tiene in serbo nella sua tavolozza d'estate e d'autunno, cedevano qui il luogo ad una tinta pallida, tra turchiniccia e cenerognola, unico segno della mattutina risurrezione del creato.
Sul ripiano davanti alla chiesuola stavano quattro persone aspettando. Il marchese di Montalto, con un lungo pastrano nero abbottonato fino al collo, stava con le mani in tasca appoggiato al muro. Il medico guardava il mare, dando le spalle ai nuovi arrivati. Il marchese Pietrasanta e il conte Nelli di Rovereto, colla sua divisa di capitano e con la sua cappa cenericcia sulle spalle, guardavano verso lo sbocco della viottola.
Lorenzo e l'Assereto si fecero innanzi, salutando con molto garbo, e gli altri risposero del pari. Il Montalto non fece altro che metter la mano al cappello, e stette nella medesima postura di prima.
– Signori, – disse Lorenzo, – io spero che non ci ascriveranno a colpa lo averli fatti aspettare.
– Mai no; – rispose il Pietrasanta, – sono le cinque in punto.
– Questo so bene, signor marchese, – soggiunse il Salvani, – ma a noi duole di essere giunti dopo le Signorie loro al ritrovo. —
Gli altri si strinsero nelle spalle, quasi volessero dire: che ci abbiamo a far noi?
Lorenzo intese la mimica, ma finse di non addarsene.
– Signori, – soggiunse egli, con un sorriso malinconico, da cui trapelava l'angustia dell'animo, – aspettavamo il signor Collini. Ma, a quanto sembra, egli è stato trattenuto in città da altre faccende, che avrà reputate più urgenti. —
Un altro sorriso, ma di ineffabile disdegno, fu quello che sfiorò le labbra del marchese di Montalto. Gli altri si contentarono di tacere, aspettando la fine del discorso. Infatti Lorenzo, per nulla turbato proseguì:
– Siamo stati ad attenderlo fino all'ultimo. Egli ha mancato alla sua fede, e noi siamo venuti qua, per significare alle Signorie loro tutto il nostro rammarico. —
Il marchese di Montalto sorrise da capo. I suoi padrini si volsero a lui per vedere che cosa dicesse; ed egli allora, levatosi con piglio di noncuranza dalla sua prima postura, e cavandosi il cappello, pronunziò queste poche parole:
– Francava la spesa di alzarsi così per tempo, per riuscire a ciò!.. —
Il sangue si rimescolò tutto nelle vene al Salvani, e una vampa di fuoco gli corse alla fronte; tuttavia si contenne:
– Signori, – ripigliò a dire, – non avevo finito. Io ed il mio onorevole collega Giorgio Assereto significavamo alle Signorie loro il nostro rammarico, perchè questo era debito nostro. Siamo stati a recare un cartello di sfida al marchese Aloise di Montalto da parte del signor Ernesto Collini. Questi mancando al ritrovo, a noi correva obbligo di far loro le nostre scuse. Dopo di che, io, come primo padrino del signor Collini, mi metto a disposizione del marchese di Montalto. —
Il Pietrasanta e il Nelli, sebbene prevedessero questa fine, non poterono rattenersi da un senso di meraviglia, cagionato forse dall'accorto e cortese giro di frasi con cui il giovane Salvani l'aveva preparata. Essi lo guardarono in viso; era pallido, ma non del pallore della paura, poichè gli occhi suoi scintillavano per l'interno corruccio che egli durava fatica a frenare. L'Assereto, a cui le ultime parole del Montalto non avevano fatto minor senso, si era posto accanto all'amico, con un cipiglio da vecchio __hidalgo__ spagnuolo.
Michele, fermo a distanza legale, sorrideva ad uno de' suoi baffi, che andava tirando con molta compiacenza.
– Tanto meglio! – riprese il Montalto, rendendo con la superba esclamazione impossibile ogni mezzo di onesto componimento; poi, parlando a voce bassa coi padrini, soggiunse: – in verità, con questa gente non avrei sperato mai più di finirla così. —
Lorenzo, che aveva un udito finissimo, non perdette una sillaba di quel discorso fatto in disparte, ma stimò acconcio di tenerlo per sè.
Allora l'Assereto, il quale, per la deliberazione di Lorenzo Salvani, diventava egli il ministro plenipotenziario, fece il muso anche più arcigno di prima, ed invitò, con quella fredda cortesia che è l'arte somma dei padrini, la parte avversaria a misurare il terreno e a metter le condizioni.
Intanto Lorenzo era rimasto a guardare la marina, e si accendeva un sigaro. Aloise di Montalto, poco discosto da lui, ragionava di cose vane col suo medico.
Il terreno, dentro le mura della chiesuola fu in breve ora misurato e diviso. A Lorenzo toccava in sorte di dare le spalle all'ingresso; di guisa che, se il combattimento durava, egli avrebbe finito coll'avere il sole in faccia. Le spade, tratte a sorte, eran quelle di Lorenzo.
Furono fatti entrare i due avversarii, i quali si erano già cavati il pastrano, il soprabito e la sottoveste, rimanendo in maniche di camicia. Il conte Nelli di Rovereto prese il suo posto da un lato, e l'Assereto dall'altro, ambedue colla spada in mano. Mastro del combattimento fu nominato il Nelli, senz'altra formalità, perocchè Lorenzo aveva detto all'Assereto, che cedesse quell'ufficio, per abbondanza di cortesia, senza rimetterlo alla sorte.
I medici ed il Pietrasanta, che rimaneva fuor di quistione, si piantarono sulla porta. Michele aveva dovuto ritirarsi; ma, da quell'uomo di partiti che egli era, girando attorno alle mura, aveva trovato finalmente un buco, dal quale gli veniva fatto veder dentro a suo bell'agio; e potete immaginarvi che vi si mettesse con molta curiosità.
Come il Montalto e il Salvani si trovarono l'uno al cospetto dell'altro, il conte Nelli di Rovereto prese a parlar loro in questo modo:
– Signori, abbiamo deliberato che voi combattiate fino a tanto che uno sia ferito per modo da non poter più tenere la spada. Io, mastro di combattimento, vi darò il segnale di fermarvi quando mi paia che uno di voi sia toccato dalla punta dell'avversario, e il signor Assereto, dal canto suo, potrà fare lo stesso, quando si avveda di qualche ferita, che io, stando da questo lato, non potessi vedere per bene. —
L'Assereto s'inchinò in atto di assentimento. Il Nelli proseguì:
– Quando uno di voi scivolasse sul terreno, che mi pare un po' sdrucciolo per l'umidità del mattino, e si trovasse nel caso di dover indietreggiare fino ad una di quelle