I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 1 - Barrili Anton Giulio

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qual cosa significa, – proseguì egli voltandosi ai profani, – che non c'è sfogo d'aria e che il polmone non ha ricevuto la visita del ferro. E nemmeno è lesa l'arteria intercostale, come possono vedere dalla pochezza del sangue spicciato dalla ferita.

      – Non è dunque altro che una ferita leggiera? – chiese il Pietrasanta.

      – Leggiera! Intendiamoci; – soggiunse il chirurgo; – per me non ci sono ferite leggiere, tranne le scalfitture; ed anco queste ci hanno i loro malanni, secondo i luoghi. Questa poi è una ferita bella e buona, e se fosse consentito dalle regole d'arte esplorarla con uno specillo, mi riprometterei di misurarvela profonda di sei centimetri o sette. Il marchese di Montalto si metta in riposo, e lasci fare a me ed alla natura, quella gran medichessa che ne sa dieci volte più di noi tutti.

      – Potete immaginarvi, caro dottore, – disse Aloise, – che io seguirò i vostri consigli. Io non ho nessuna voglia di morire, e sono molto lieto di non avere in corpo quel tal personaggio greco di cui parlavate poco anzi.

      – Ah, volete dir l'__enfisema__? Certamente gli è un personaggio fastidioso; – rispose il Mattei, che stava molto volentieri alla celia, – ma se egli non è venuto ora, non vien più di certo. —

      Le parole del medico e la buona cera di Aloise avevano rasserenato la comitiva. Ma appunto allora, e in quella che i due medici stavano intenti a riunire le labbra della ferita con alcune strisce di sparadrappo ed una acconcia fasciatura, fu notata la presenza di due personaggi, i quali assistevano in disparte alla scena.

      VII

      Di un'alzata d'ingegno che fece l'uomo dai capelli rossigni, e di quello che poscia ne avvenne.

      Quella apparizione improvvisa scosse un tal po' la brigata; ma ebbero da strabiliare addirittura quando videro chi fosse l'uno dei due nuovi venuti.

      Era il dottore Ernesto Collini, che stava sulla soglia con gli occhi bassi e le braccia penzoloni. Accanto a lui era un ignoto personaggio, vestito di nero dal capo alle piante, che non mostrava nemmeno i solini della camicia. Con aria tra l'umile e lo sfrontato, se ne stava là, a spalle un po' chine, ma con gli occhi fisi su quel crocchio di giovani, senza punto scomporsi, e quasi senza addarsi del senso d'ingrata meraviglia che la presenza del Collini e la sua avevano destato negli astanti.

      Il primo a rompere il silenzio fu Lorenzo Salvani, a cui come primo padrino del Collini e per cagion sua costretto ad incrociare il ferro col marchese di Montalto, si spettava più che ad altri il parlare.

      – Voi qui? – diss'egli, con accento da cui trapelava tutto lo sdegno dell'anima. – E che cosa venite a fare? —

      Il Collini, di smorto che era nel viso, si fece livido senz'altro; alzò la fronte verso Lorenzo, ed al fiero corruccio balenante dagli occhi del giovine rispose con uno sguardo sottile e freddo che pareva volesse passarlo fuor fuori; ma quello sguardo fu un lampo, e gli occhi del Collini si levarono subito al cielo, con aria contrita, in quella che la voce diceva, con accento da pulpito:

      – Il mio dovere!

      – Il vostro dovere? È già stato fatto; – gridò il Salvani. – Guardate; per cagion vostra due galantuomini, i quali non avevano sdegno o rancore di sorta l'uno contro l'altro, sono stati ad un pelo di uccidersi.

      – Il Cielo mi è testimone che io mi dolgo amaramente di quanto è avvenuto testè, – disse il Collini, alzando gli occhi al cielo, come per offrirgli il suo calice di amarezza; – credevo che tra il marchese di Montalto e i miei padrini non dovesse accader nulla. Se manca uno degli avversarii (e permettetemi di usare questa parola per farmi intendere, sebbene non sia intesa più dal mio cuore), i suoi padrini, dissi tra me, non hanno a far altro che dar atto della sua assenza, comunque ella possa venir giudicata da animi preoccupati. Io dunque sono condotto a credere che se, dopo un fatto simile, si è trovato il modo di fare un duello, ciò debba ascriversi a feroce desiderio di sparger sangue, e non ad altra cagione. —

      Lorenzo era fuori di sè per lo sdegno; gli altri tutti erano meravigliati, stupefatti da tanta audacia. Pure nessuno fiatò.

      – E tuttavia, – proseguì il Collini col medesimo acuto e senza guardare in volto nessuno degli astanti, – io me ne dolgo come se fosse un male avvenuto per cagion mia. Ora, o signori, lasciatemi dire il perchè non sono venuto al ritrovo, e poi mi giudicherete.

      – Sono curioso davvero di saperlo; – borbottò il dottor Mattei, daccanto ad Aloise di Montalto, il quale stava ancora seduto sul terreno, aspettando il fine della fasciatura.

      – Sapevo che il battermi era un male; – disse Ernesto Collini. – Son cristiano, cattolico, e me ne vanto. Cedendo la provocazione del marchese di Montalto, io ho obbedito ad un sentimento di vanità mondana, che ora detesto. E notate, o signori; io m'ero talmente ostinato in questo pericoloso sentimento, che fui per ricusare il sacrifizio di me stesso, perfino alle strazianti preghiere di un vecchio venerando…

      – Che altra storiella ci racconta costui? – interruppe l'Assereto.

      – Lasciatelo dire, signor Assereto; – soggiunse il capitano; – il suo racconto mi diverte non poco.

      – Vi diverta, o no, – ripiccò il Collini, voltandosi improvviso e rizzando il capo come un serpe a cui sia stata calpestata la coda, – io debbo andar fino all'ultimo. Sì, o signori, quel vecchio venerando mi mandò iersera a chiamare, e mi chiese se fosse vero di quella sfida che avevo mandata al marchese di Montalto, ed io non potei nascondergli il vero, che egli del resto conosceva per filo e per segno. Egli mi pregò, mi scongiurò allora, che mi ritenessi da quella prova di sangue, e non gli valsero preghiere, nè scongiuri. La mia ostinatezza giunse a tale da consentire che egli scendesse dal letto, sul quale è inchiodato da più mesi, e trascinare sul pavimento la sua onorata canizie. Egli tremava per il grave scandalo e per me, ma più ancora per la vita del suo nipote…

      – Ah! ah! mio nonno! – interruppe Aloise. – Non avrei pensato mai più che egli ci avesse un cuor così tenero.

      – Sì, o signor marchese di Montalto. Vostro nonno vi ama, checchè possiate pensarne voi. Quel buon vecchio, al quale con le mie cure assidue vo prolungando la vita, io sono stato al punto di ucciderlo con la mia ostinazione vanitosa. E ci volle la intromissione di parecchi savi personaggi, perchè io vedessi il danno che recavo a quel povero vecchio, e l'offesa che facevo alla santità della morale. Infine, signori che vi dirò? Ho raccolto il capo nelle palme, ho pianto come un fanciullo, e in quelle lagrime tutta la mia superbia si è stemperata. E allorquando ebbi rinunziato al duello, avreste dovuto, com'io, vedere il suo giubilo. Figliuol mio, mi disse egli, io vi sarò grato di questo sacrifizio fino a tanto che io viva, ed eccovi la benedizione di un povero vecchio…

      – Per ora; – interruppe da capo Aloise, – e più tardi potrà anco lasciarvi il rimanente.

      – Signor marchese, potreste supporre?..

      – Tutto. Non vi ha egli chiamato suo figlio? Badate a me, e consolatevi. I vecchi sono pozzi di verità.

      – Insomma, signor di Montalto, comunque vogliate portar giudizio di me (e debbo fare anche questo sacrifizio) credete pure che ci vuol più coraggio a parlarvi come io vi ho parlato adesso, che ad incrociare una spada col più valente schermidore del mondo.

      – Avete ragione, messer Collini; – interruppe a sua volta Lorenzo, il quale non poteva frenarsi più oltre, – e penso che ci voglia più pazienza ad ascoltar voi per dieci minuti, che a marcire nel fondo di una prigione. Colà, almeno, non si ode altro che lo strepito delle proprie catene;

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