Lutezia. Barrili Anton Giulio

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Lutezia - Barrili Anton Giulio

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ripeto, in questa esposizione italiana, e pare anche meglio quando si è data una corsa in altre sezioni industriali; che non tutte possono avvicinarsi per merito alla Francia, all'Inghilterra, al Giappone, al Belgio, all'Austria-Ungheria, alla Cina. Nuovi in tante arti e mestieri, o scaduti per colpa non nostra dall'antico primato, non possiamo far miracoli in tutto, e a questi lumi di luna. Si aggiunga, per molti industriali italiani, la poca voglia che avevano di mandare i saggi delle loro manifatture in paese lontano; si badi alla ristrettezza del luogo assegnato all'Italia; non si dimentichi la sonnolenza proverbiale di chi avrebbe dovuto e potuto dare a tanti oggetti una migliore collocazione, e si converrà facilmente che, date tante circostanze contrarie, l'esito non è stato infelicissimo. Ma io, dopo tutto, sostengo e dico che se, in parecchie cose, anzi in molte, si poteva dicevolmente restare in terza e in quarta fila, almeno in talune non dovevamo restar secondi a nessuno, e in una di queste secondi a noi stessi, che è peggio.

      Vi sembrerà un indovinello, ma non lo è. Dico che ci fa torto di esser rimasti secondi in pittura, poichè nessuno dei nostri grandi pittori ha mandato un palmo di tela; dico che ci fa torto di non aver fatto meglio in scoltura, e di apparire i primi, sì, ma inferiori alla nostra fama del 1867.

      Sia lodato il cielo, esclameranno gli ottimisti; in qualche cosa abbiamo il primato. Sicuramente, ma perchè ad altri non è ancora balenata l'idea di strapparcelo, battendoci colle nostre medesime armi. La Francia, verbigrazia, la Francia che ci ha raggiunti da cinquant'anni nel campo della pittura, perchè ci ha oltrepassati da venti? Perchè, impadronitasi dei meccanismi dell'arte, ha avuto il coraggio di rifarsi dallo studio del vero, aggiungendovi poi tutte le grazie della modernità, tutti i lenocinii del pennello. Ora, lasciate che essa intenda nella scoltura tutti i meccanismi dell'arte e tutti i lenocinii dello scalpello; anzi, fate che voglia andar per le spiccie, a pigliarsi a cottimo un centinaio dei nostri bravi finitori, di quei tali che fanno i capegli, i pizzi, i rasi, le sete, i velluti, e vedrete che non tarderà molto a raggiungerci. Non ci oltrepasserà, lo capisco; non ci oltrepasserà, perchè la scoltura non è come la pittura, che sembra contentarsi solamente del vero, ma vuole anche dell'altro, cioè l'idealità, la grandiosità, la magnificenza, compagne inseparabili di un'arte essenzialmente monumentale, e perchè, grazie al cielo, ci sono ancora in Italia degli scultori giovani, che, non disdegnando di fare la mammina, il bambino, il cagnolino (esemplari eccellenti per le terre cotte, che un giorno o l'altro vinceranno la mano a questo genere di scoltura da salotto), sentono ancora e mantengono il culto dell'ideale, del grandioso, del magnifico, a cui l'arte divina s'informa.

      Disgraziatamente, all'odierna esposizione di Parigi, gli artisti di questa fatta son pochi, o bisogna dire che quasi tutti si sono contentati di entrare in lizza con lavorucci di poco momento. C'è qui in abbondanza l'arte piccina, l'arte da salotto, la roba da vendere. L'arte grande, l'arte monumentale, l'arte che mira alla gloria, si è fatta viva con pochi e direi quasi timidi saggi. Che cosa ha esposto il Monteverde? Lo Jenner, bellissimo, pieno di verità, ma non certo rispondente all'ideale dell'arte; l'Architettura statua destinata al monumento Sada, opera magistrale, ma che bisognerà giudicare messa a posto, mentre qui non è altro che una donna seduta. Il modello in gesso del monumento Massari col suo angelo poggiato sulle palme al sarcofago, non finisce di contentarmi. Anche lasciando da parte quello sconcio di due linee che s'incontrano ad angolo retto (l'angelo e il morto), che cosa significa quell'appoggiarsi dell'angelo, a cui, per star ritto, dovrebbero bastare le ali? Si dirà che il vero vuol proprio così, ed io non son qui per negarlo. Ma allora, perchè le ali, che non son vere, fuorchè per gli uccelli e per le nottole? A concepimento ideale mezzi ideali; è la regola dell'arte greca, che ha sentito così intimamente ed espresso così efficacemente il vero, ma che, quando effigiava gl'Iddii, non li faceva mai colle estremità del bipede implume, da cui pure toglieva a prestanza le forme.

      Parlo con libera schiettezza al Monteverde, perchè lo amo e lo stimo. È un artista con cui si possono citare i Greci, senza essere sospettati di voler fargli dispiacere, nè torto. La quistione del resto non risguarda punto la valentia dell'artista; risguarda semplicemente la scuola, i confini in cui deve restringersi lo studio e l'imitazione del vero. Rammento qui, poichè mi viene a taglio, un altro grande artista italiano, di cui ho ammirato, a Genova, nella necropoli di Staglieno, un bellissimo genio, anch'esso colle ali e coi piedi da biricchino scalzo. Quei piedi erano copiati dal vero; non si poteva far meglio di così, volendo fare dei piedi di ragazzo dodicenne, che dimentichi troppo spesso le scarpe a casa. Ma, per un angelo, quei piedi mi stonano un poco. Imitate il vero dalla testa ai piedi, non dico di no; ma, nel caso di cui sopra, bisogna toglier le ali; anzi, meglio, non far angeli, mai, nè altre figure allegoriche. I Greci, a cui mi piace di ritornare, i Greci, che erano naturalisti in arte quanto noi, se non per avventura più di noi (me ne appello alla Venere di Milo), davano estremità convenienti, e per conseguenza men vere, agli immortali abitatori dell'Olimpo. E la ragione s'indovina: corpo nutrito d'ambrosia non può pesare ottanta chilogrammi, o giù di lì. Il dio pesante non va. Negate Dio, in vostra malora; ma in tal caso astenetevi anche dal modellarlo in creta, com'egli ha modellato voi, in un momento di soverchia bontà. Se lo fate, ammettetelo qual è, o quale lo ha immaginato un popolo di credenti.

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