Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6 - Edward Gibbon

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carattere di Teodosio obbligò il suo Ministro all'ipocrisia, che mascherò, ed alle volte impedì l'abuso del potere; e Ruffino temeva di sturbare l'indolente sonnolenza di un Principe tuttavia capace di far uso dell'abilità e della virtù, che innalzato l'avevano al trono10. Ma l'assenza, e poco dopo, la morte dell'Imperatore confermò l'assoluta autorità di Ruffino sulla persona e gli stati d'Arcadio, giovane debole, che l'orgoglioso Prefetto considerava come suo pupillo, piuttosto che suo Sovrano. Non curando la pubblica fama, soddisfaceva egli le proprie passioni senza rimorso e senza resistenza; ed il maligno e rapace suo spirito rigettava qualunque passione che avesse potuto contribuire alla propria gloria, o alla pubblica felicità. L'avarizia di lui,11 che sembra esser prevalsa nella corrotta sua mente sopra ogni altro sentimento, tirò a sè la ricchezza dell'Oriente per mezzo dei varj artifizj di una particolar e general estorsione, come di tasse oppressive, di scandalose corruzioni, di smoderate pene pecuniarie, d'ingiuste confiscazioni, di testamenti forzati o fittizi, coi quali il Tiranno spogliava i figli degli stranieri o dei suoi nemici della lor legittima eredità; e per mezzo della pubblica vendita della giustizia e del favore; infame traffico ch'ei stabilì nel palazzo di Costantinopoli. L'ambizioso candidato a spese della miglior parte del suo patrimonio ardentemente sollecitava gli onori ed i vantaggi di qualche provinciale governo; s'abbandonavano al più liberal compratore le vite ed i beni dell'infelice popolo; e la pubblica scontentezza alle volte veniva quietata dal sacrificio d'un delinquente non popolare, di cui la pena era sol vantaggiosa al Prefetto dell'Oriente, complice e giudice di esso ad un tempo. Se l'avarizia non fosse la più cieca fra le umane passioni, i motivi di Ruffino potrebbero eccitar la nostra curiosità; e saremmo tentati a cercare per qual fine violasse ogni principio d'umanità e di giustizia onde accumular quegl'immensi tesori, che egli non poteva spendere senza follia, nè possedere senza pericolo. Forse vanamente s'immaginava d'affaticarsi per l'utilità d'una sua figlia unica, alla quale aveva intenzione di dare in isposo il suo real pupillo, e l'augusto grado d'Imperatrice dell'Oriente. S'ingannò forse coll'opinione, che l'avarizia fosse l'istrumento della sua ambizione. Aspirava egli a stabilire la sua fortuna sopra una base indipendente e sicura, che non fosse più sottoposta al capriccio del giovane Imperatore; pure trascurò di conciliarsi la benevolenza de' soldati e del popolo mediante una generosa distribuzione di quelle ricchezze, che aveva acquistate con tanta fatica e con tante colpe. L'estrema parsimonia di Ruffino non gli lasciò che il rimprovero e l'invidia d'una male acquistata dovizia; i suoi domestici lo servivano senz'affezione; e l'odio universale dell'uman genere non era frenato che dall'influenza d'un timore servile. Il destino di Luciano mostrò all'Oriente, che il Prefetto, l'industria del quale era molto diminuita nella spedizione degli ordinari negozj, era instancabile ed attivo nel procurar la vendetta. Luciano, figlio del Prefetto Florenzio, oppressor della Gallia e nemico di Giuliano, aveva impiegato una parte considerabile del suo patrimonio, frutto della rapina e della corruzione, a comprar l'amicizia di Ruffino e l'alto uffizio di Conte dell'Oriente. Ma il nuovo Magistrato imprudentemente abbandonò le massime della Corte e di quel tempo, disonorò il suo benefattore col contrasto d'una virtuosa e moderata amministrazione, e pretese di ricusar di fare un atto d'ingiustizia, che avrebbe potuto tendere al vantaggio dello zio dell'Imperatore. Arcadio facilmente fu persuaso a punire il supposto insulto; ed il Prefetto dell'Oriente risolvè di eseguire in persona la crudel vendetta, che meditava contro quell'ingrato ministro del suo potere. Fece con gran fretta il viaggio di sette o ottocento miglia da Costantinopoli ad Antiochia, entrò in tempo di notte nella capital della Siria, e sparse una costernazione universale nel popolo, che non sapeva il disegno di lui, ma ne conosceva l'indole. Il Conte delle quindici Province dell'Oriente fu tratto, come il più vil malfattore, avanti all'arbitrario tribunal di Ruffino. Non ostante la più chiara evidenza della sua integrità, che non fu alterata neppur dalla voce d'un accusatore, Luciano fu condannato, quasi senza processo, a soffrire una crudele ed ignominiosa pena. I Ministri del tiranno, per ordine ed in presenza di esso, lo batteron sul collo con strisce di cuoio armate di piombo; e quando per la violenza del tormento incominciava a mancare, fu chiuso in una lettiga, ed allontanato per nascondere le sue agonie di morte agli occhi della sdegnata città. Appena ebbe Ruffino eseguito quest'atto inumano, che era l'unico oggetto della sua spedizione, tornò fra le segrete e profonde maledizioni d'un tremante popolo da Antiochia a Costantinopoli; e fu accelerata la sua diligenza dalla speranza di celebrar senza dilazione le nozze della sua figlia coll'Imperator dell'Oriente12.

      Ma Ruffino sperimentò ben presto, che un prudente Ministro dovrebbe assicurarsi costantemente del reale suo schiavo per mezzo della forte, quantunque invisibile, catena dell'abitudine; e che il merito, e molto più facilmente il favore dell'assente si cancella in breve tempo dalla mente d'un capriccioso e debol Sovrano. Mentre il Prefetto soddisfaceva in Antiochia la sua vendetta, una segreta cospirazione degli eunuchi favoriti, diretta da Eutropio gran Ciamberlano, rovinava i fondamenti del suo potere nel palazzo di Costantinopoli. Scuoprirono essi, che Arcadio non era inclinato ad amare la figlia di Ruffino, che senza suo consenso gli si era destinata per moglie, e pensarono di sostituire in luogo di lei la bella Eudossia, figlia di Bautone13, Generale de' Franchi al servizio di Roma, la quale, dopo la morte del padre, era stata educata nella famiglia de' figli di Promoto. Il giovane Imperatore, di cui si era diligentemente guardata la castità dalla pia cura d'Arsenio suo tutore14, prestò ardentemente orecchio alle artificiose e lusinghiere descrizioni delle grazie d'Eudossia; ne vide con impaziente ardore il ritratto; e conobbe la necessità di nascondere i suoi amorosi disegni ad un Ministro, che era sì altamente interessato ad opporsi all'esecuzione della sua felicità. Poco dopo il ritorno di Ruffino, fu annunciata la prossima cerimonia delle nozze reali al popolo di Costantinopoli che preparavasi a celebrare con false e finte acclamazioni la fortuna della figlia di esso. Uscì dalle porte del palazzo nella matrimonial pompa uno splendido corteggio di eunuchi e di uffiziali, che portavano alto il diadema, le vesti, ed i preziosi ornamenti della futura Imperatrice. Passò la solenne processione per le contrade della città, che erano adornate di ghirlande, e piene di spettatori; ma quando giunse alla casa dei figli di Promoto, il principal eunuco v'entrò rispettosamente, vestì la bella Eudossia degli abiti Imperiali, e la condusse in trionfo al palazzo e al letto d'Arcadio15. La segretezza e la felicità, con cui era stata condotta questa cospirazione contro Ruffino, impresse un indelebile nota di ridicolo sopra il carattere d'un ministro, che s'era lasciato ingannare in un posto, in cui le arti dell'inganno e della dissimulazione formano il merito più segnalato. Ei risguardò, con isdegno e con timore, la vittoria d'un ambizioso Eunuco, il quale s'era segretamente conciliato il favore del suo Sovrano; e la disgrazia della propria figlia, l'interesse della quale era inseparabilmente connesso col proprio, ferì la tenerezza o almeno la vanità di Ruffino. Nel momento, in cui si lusingava di divenire il padre d'una serie di Re, una fanciulla straniera, che era stata educata in casa degl'implacabili suoi nemici, fu introdotta nel talamo Imperiale; ed Eudossia dimostrò ben tosto una superiorità di senso e di spirito, che accrebbe l'ascendente, cui la sua bellezza dovè acquistare sull'animo d'un appassionato e giovane marito. L'Imperatore in breve fu indotto ad odiare, a temere, e a distruggere il potente suddito, che aveva ingiuriato; e la coscienza del delitto privò Ruffino d'ogni speranza di salute o di conforto nel ritiro d'una vita privata. Ma egli aveva sempre in mano mezzi più efficaci di difendere la propria dignità, e forse d'opprimere i suoi nemici. Il Prefetto esercitava tuttora un'autorità senza contrasto sul governo civile e militare dell'Oriente; ed impiegar potea i suoi tesori (se si fosse potuto risolvere a farne uso) a procacciar gl'istrumenti più propri per eseguire i più neri disegni, che l'orgoglio, l'ambizione e la vendetta suggerir potessero a un disperato Ministro. Sembra, che il carattere di Ruffino giustifichi le accuse, ch'ei cospirasse contro la persona del suo Sovrano per occupare il trono vacante, e che avesse invitato secretamente gli Unni ed i Goti ad invadere la Province dell'Impero, e ad accrescere la pubblica confusione. L'astuto Prefetto, che consumato avea la sua vita negl'intrighi del Palazzo, con armi uguali affrontò le artificiose misure dell'Eunuco Eutropio; ma fu sorpreso il timido spirito di Ruffino dall'ostile approssimazione d'un rivale più formidabile, del grande Stilicone, generale o piuttosto padrone dell'Impero dell'Occidente16.

      A.

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<p>10</p>

Montesquieu (Espr. des Loix l. 12 c. 12) loda una legge di Teodosio indirizzata al Prefetto Ruffino (lib. IX. Tit. IV. leg. unic.) per incoraggiare l'accusa delle parole contro il Principe o contro la Religione. Una legge tirannica prova l'esistenza della tirannia; ma un editto lodevole può solamente contenere le speciose proteste, o le inefficaci brame del Principe o dei suoi Ministri. Ho paura, che questo sia un giusto, sebbene mortificante, canone di critica.

<p>11</p>

… Fluctibus auri

Expleri ille calar nequit

· · · · · · · · · · · · · ·

Congestae cumulantur opes, orbisque rapinas

Accipit una domus…

Questo carattere (Claudian. in Ruffin. 2. 184-220) vien confermato da Girolamo, testimone disinteressato (dedecus insatiabilis avaritiae Tom. I ad Heliodor. p. 26), da Zosimo (l. V. p. 286) e da Suida, che copiò l'istoria d'Eunapio.

<p>12</p>

… Caetera segnis;

Ad facinus velox; penitus regione remotas

Impiger ire vias…

Quest'allusione di Claudiano (in Rufin., I. 241.) parimente si spiega dalla circostanziata narrazione di Zosimo, lib. V. p. 288.

<p>13</p>

Zosimo (l. IV. 243.) loda il valore, la prudenza, e l'integrità di Bautone Franco. Vedi Tillemont, Hist. des Emp. T. V., p. 771.

<p>14</p>

Arsenio fuggì dal palazzo di Costantinopoli, e passò cinquantacinque anni in rigida penitenza ne' monasteri dell'Egitto. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. XIV, p. 676., e 702, e Fleury, Hist. Eccles. Tom. V. p. 1, etc. Ma quest'ultimo per mancanza di autentici materiali ha creduto troppo alla leggenda del Metafraste.

<p>15</p>

Quest'istoria (Zosimo l. V. p. 290) prova, che tuttavia s'usavano senz'idolatria i riti matrimoniali dell'antichità dai Cristiani orientali; e la sposa era condotta per forza dalla casa de' proprj parenti a quella del marito. La forma del matrimonio, che usiamo noi, esige con minor delicatezza il pubblico ed espresso consenso d'una vergine.

<p>16</p>

Zosimo (l. V p. 290), Orosio.(l. VII. c. 37) e la cronica di Marcellino, Claudiano (in Ruffin. II 7-100) dipinge con vivi colori le angustie e le colpe del Prefetto.