Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon
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A. 400-403
La scarsità de' fatti88, e l'incertezza delle date89 s'oppongono al nostro disegno di descriver le circostanze della prima invasione d'Italia fatta dalle armi d'Alarico. Sembra, che la sua marcia, incominciata fosse da Tessalonica per il guerriero e nemico paese della Pannonia sino al piè delle Alpi Giulie, e che il suo passaggio per que' monti, ch'erano fortemente guardati da truppe e da fortificazioni; l'assedio di Aquileia, e la conquista delle Province dell'Istria e della Venezia, occupasse un tempo considerabile. A meno che le sue operazioni non fossero estremamente caute e lente, la lunghezza dello spazio suggerirebbe un probabil sospetto, che il Goto Re si ritirasse verso le rive del Danubio, e rinforzasse la sua armata con freschi sciami di Barbari, prima di tentar nuovamente di penetrare nel cuor dell'Italia. Poichè i pubblici ed interessanti avvenimenti sfuggono la diligenza dell'istorico, ei può divertirsi nel contemplare per un momento l'influenza delle armi d'Alarico ne' casi di due oscuri individui, cioè d'un Prete d'Aquileia, e d'un agricoltor di Verona. Il dotto Ruffino, che dai suoi nemici era stato citato a comparire avanti ad un Sinodo Romano90, preferì saviamente i pericoli di un'assediata città; ed i Barbari, che furiosamente scuotevano le mura d'Aquileia, poteron salvarlo dalla crudel sentenza d'un altro eretico, che all'istanza dei medesimi Vescovi fu severamente battuto e condannato ad un esilio perpetuo in un'isola deserta91. Un vecchio92, che aveva passato la semplice ed innocente sua vita nelle vicinanze di Verona, niente aveva che fare con le querele nè de' Re, nè de' Vescovi; i piaceri, i desiderj, le cognizioni di esso erano limitate dentro il piccolo cerchio del paterno suo campo; un bastone sosteneva i cadenti suoi passi su quel medesimo suolo, dove s'era trastullato nella puerizia. Pure anche quest'umile e rustica felicità (che Claudiano descrive con tanta verità e sentimento) fu esposta anch'essa all'indistinto furor della guerra. I suoi alberi, i vecchi alberi ad esso contemporanei93 avevano ad ardere nell'incendio di tutto il paese; un distaccamento di Cavalleria Gotica dovea rovinare la sua capanna e famiglia: e la forza d'Alarico dovea distrugger quella felicità, ch'ei non era capace nè di gustare, nè di concedere. «La fama (dice il Poeta) battendo con terrore le sue ali, proclamò la marcia dell'esercito barbaro, ed empì di costernazione l'Italia»; crebbero i timori d'ogni individuo in proporzione delle proprie sostanze, ed i più timidi, che avevano già imbarcato i loro più valutabili effetti, meditavano di fuggire nell'isola di Sicilia, o alle coste dell'Affrica. L'angustia pubblica veniva aggravata dai timori e da' rimproveri della superstizione94. Ogni momento produceva qualche orrida novella di strani e portentosi accidenti. I Pagani deploravano la non curanza degli augurj, e l'interrompimento de' sacrifizj; ma i Cristiani traevan sempre qualche conforto dalla potente intercessione dei Santi, e dei Martiri95.
L'Imperatore Onorio si distinse dai suoi sudditi per la superiorità del timore, ugualmente che per quella del grado. L'orgoglio ed il lusso, nel quale era stato educato, non gli avevan lasciato neppur sospettare, che sulla terra esistesse alcuna potenza tanto presuntuosa da turbare il riposo del successore d'Augusto. Gli artifizi dell'adulazione occultarono l'imminente pericolo, finattantochè Alarico avvicinossi al palazzo di Milano. Ma quando il suon di guerra ebbe svegliato il giovane Imperatore, invece di correre alle armi col coraggio, o anche colla temerità propria dell'età sua, diede ardentemente orecchio a que' timidi consiglieri, che proposero di trasferire la sacra persona di lui, ed i suoi fedeli Ministri a qualche sicuro e lontano quartiere nelle Province della Gallia. Il solo Stilicone96 ebbe il coraggio, e l'autorità di resistere a questo disonorevole passo, che avrebbe abbandonato a' Barbari Roma e l'Italia; ma siccome le truppe Palatine ultimamente s'erano distaccate verso la frontiera della Rezia, ed il compenso delle nuove leve era lento e precario, il Generale d'Occidente potè solo promettere, che, se la Corte di Milano avesse mantenuto il suo posto nell'assenza di lui, egli sarebbe in breve tornato con un esercito capace di far fronte al re Goto. Senza perdere un momento di tempo (giacchè ogni momento era di tanta importanza per la salute pubblica), Stilicone s'imbarcò in fretta sul lago Lario, salì sopra montagne di ghiaccio e di neve nel rigore d'un inverno Alpino, ed immediatamente frenò coll'inaspettata sua presenza il nemico, che aveva turbato la tranquillità della Rezia97. I Barbari, probabilmente qualche tribù di Alemanni, rispettarono la fermezza d'un Capitano, che assumeva sempre il tuono del comando; e la scelta, ch'ei si degnò di fare di un ristretto numero della più valorosa lor gioventù, si risguardò come un segno della stima e del favore di esso. Le coorti, restate libere dal nemico vicino, con diligenza
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Sinesio,
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… Qui foedera rumpit
Ditatur; qui servat, eget: vastator Achivae
Gentis et Epirum nuper populatus inultam
Praesidet Illyrico: jam, quos obsedit, amicos
Ingreditur muros; illis responsa daturus,
Quorum conjugibus potitur, natosque peremit.
Claudiano,
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Giornandes c. 29. p. 651. L'istorico Goto aggiunge con insolito spirito:
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odiisque anceps Discors, civilibus Orbis,
Non sua vis tutata diu, dum foedera fallax
Ludit, et alternae perjuria venditat aulae.
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Alpibus Italiae ruptis penetrabis ad urbem.
Quest'autentica predizione fu annunziata da Alarico, o almeno da Claudiano (
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I migliori materiali che abbiamo, sono 970 versi di Claudiano nel poema della guerra Gotica, e nel principio di quello, che celebra il sesto consolato d'Onorio. Zosimo è in perfetto silenzio; e noi siam ridotti a quegli avanzi o piuttosto bricioli, che possiam trovare in Orosio e nelle Croniche.
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Non ostanti gli errori grossolani di Giornandes, che confonde fra loro le guerre Italiche d'Alarico (c. 29) la data, che ei cita del Consolato di Stilicone e d'Aureliano (an. 400) è fissa e rispettabile. Egli è certo, secondo Claudiano (Tillem.,
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Gioviano, nemico del celibato e de' digiuni, che fu perseguitato ed insultato dal furioso Girolamo (Jortin.,
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L'epigramma
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Ingentem meminit parvo qui germine quercum,
Aequaevumque videt consenuisse nemus
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Claudian.,
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Dal passo di Paolino, che è allegato dal Baronio (
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Si descrivono eccellentemente la faccia del paese, e l'ardire di Stilicone,