La vita Italiana nel Risorgimento (1846-1849), parte II. Various

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La vita Italiana nel Risorgimento (1846-1849), parte II - Various

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dietro. I fuggenti corrono su per le scale, finchè trovano il tetto, e i soldati sempre dietro. Non si seppe mai, se scivolando dal pendio del tetto cadessero nella via o prima fossero stati uccisi e poi precipitati dall'alto. Il fatto si è, che i loro cadaveri, sfigurati, rimasero dov'eran caduti per più giorni, non riconosciuti, nè raccolti dalle turbe ebbre di lotta e che avevan altro da fare che di pensare a due poveri morti. Chi conta i cadaveri nell'ora della battaglia?

      E la battaglia era ormai impegnata, nè consiglio di prudenti, nè pietà di filantropi poteva ormai arrestarla.

      Nè solo i combattenti cadevano, ma anche i fuggiaschi, che per caso o per necessità si trovavano nelle vie. Il bravo Torelli, che armato di una sciabola e di due grossi pistoloni andava verso il Broletto, trova sul marciapiedi presso la via della Spiga un povero vecchio ucciso da una palla nel mezzo della fronte, e la pioggia lavava quella ferita e portava lungo il leggier pendio della strada un sottile rigagnolo di sangue. Il Torelli aiutato da alcuni cittadini portò quel povero vecchio sotto l'atrio d'una casa.

* * *

      Ecco il principio della rivoluzione, ecco la prima delle cinque gloriose giornate, che scrissero una pagina d'eroismo nella storia d'Italia e diedero una lezione ai despoti; nè starò a descrivervi tutte le scaramuccie, tutti i particolari della lotta, che non aveva un solo generale, nè un solo piano di tattica, ma che si combatteva in tanti centri, quanti erano rappresentati dalle caserme, dal Comando di piazza, dalla polizia e con diversa fortuna, secondo i luoghi e gli uomini che combattevano.

      Non accennerò che a qualche episodio. Mettendoli l'uno accanto all'altro, avrete il quadro della sommossa.

      Corre la voce, che davanti al Gran Comando Generale posto in via di Brera, i soldati fraternizzano col popolo. Si spiega la cosa, aggiungendo che quei soldati son tutti ungheresi e italiani. Se un cittadino di alta autorità e di grande energia si presentasse al Comando, potrebbe intimare la resa a quel battaglione.

      Ma c'è chi soggiunge:

      È vero: son tutti italiani e ungheresi, non chiederanno di meglio che di arrendersi; ma gli ufficiali son tutti tedeschi e conviene che per trattare con essi ci voglia chi sappia il tedesco.

      L'uomo coraggioso si trova, anzi se ne trovano due, perchè al Torelli si aggiunse l'Anfossi, e entrambi, senza misurare il pericolo della loro impresa, si avviano al Comando.

      Era tutto un quadrato di soldati, che fitti fitti e armati stavano davanti alla porta del palazzo. Il Torelli, traendo un fazzoletto bianco e sollevandolo in alto, gridò con tutto l'entusiasmo: Eljen Madjar! Risposero in molti Eljen! Eljen! e parecchi strinsero la mano al nostro Torelli.

      Egli ravvisò un maggiore, che ravvolto in un gran mantello impermeabile a causa della pioggia, stava dinanzi alla porta chiusa del Comando e tentò di persuaderlo ad arrendersi. Ormai il popolo era padrone della città, era bene evitare un inutile spargimento di sangue… si arrendesse.

      Il maggiore lo ascoltò con tutta la calma, senza dar segno di impazienza o di sdegno, e si accontentò di rispondere: No, non lo posso, non fate ostilità voi, e non ne faremo noi.

      L'Anfossi, che non sapeva il tedesco, non poteva capire il dialogo, vedendo che i soldati li avevano circondati, disse piano al Torelli: «Caro mio, andiamocene, ci potrebbero portare in castello.»

      Il Torelli ritornò all'assalto con parole più calde, ma il maggiore con più energia di prima disse di no, e i due temerarii cittadini ritornarono donde erano venuti.

      Se la resa non riusciva colle buone, doveva riuscire colle brusche e a suon di fucilate.

      Il 19 l'Anfossi con una schiera di valorosi compagni prendeva gli Archi di Porta Nuova, respingendo gli Austriaci e prendendo un'ottima linea di difesa.

      Il giorno dopo, i Tedeschi abbandonavano la Polizia e il Duomo, che avevano occupato, come un osservatorio e come un ottimo punto di difesa, dacchè i Tirolesi, ottimi fra tutti i tiratori del mondo, di lassù uccidevano senza sbagliare un colpo. Aggiungete che accanto al Duomo sta il Palazzo Reale e si innalza il colosso dell'Arcivescovado.

      Il Torelli, appena seppe che il Duomo era abbandonato, chiese ad una signora una bandiera tricolore, e con pochi compagni la portò su quel gigante di marmo, e l'innalzò tra gli applausi del popolo, che dal basso vedeva il vessillo nazionale sventolare per la prima volta sul caro, sull'adorato Dom de Milan.

      Questa la poesia della rivoluzione! Accanto alla poesia, però, nello stesso tempo la prosa robusta e vigorosa dei fatti. È in quello stesso giorno che la Congregazione Municipale si trasformava in Governo provvisorio, con patriottico pudore però rinunziando alla parola audace e forse ancora troppo superba, e dicendo solo in un suo proclama «che viste le circostante assumeva in via interinale la direzione di ogni potere allo scopo della pubblica sicurezza

      Ai membri ordinarii della Congregazione, oltre il conte Gabrio Casati podestà e gli assessori Antonio Beretta e conte Cesare Giulini, si aggiunsero Vitaliano Borromeo, Franco Borgia, Alessandro Porro, Teodoro Lecchi, Giuseppe Durini, Anselmo Guerrieri, Enrico Guicciardi e Gaetano Strigelli.

      E il Governo provvisorio nominava un Comitato di guerra, poi uno di difesa, uno di pubblica sicurezza, uno di finanza, uno di sanità e per ultimo uno di sussistenza.

      Troppo governo, direte voi: ma chi potrà accusare di troppa voluttà di comando chi ha sempre ubbidito; ubbidito a forza e a tiranni odiosi? Chi potrà accusare di intemperanza un affamato, che a un tratto siede ad una mensa lautamente imbandita? L'ebbrezza non è soltanto nel fondo delle bottiglie, ma in ogni battaglia vinta, sia poi d'amore, di gloria o di libertà. E in quei giorni noi tutti, anch'io quasi fanciullo, eravamo ebbri d'indipendenza e di lotta.

* * *

      Il 20 di marzo un maggiore croato si presentava come parlamentare in casa Taverna, portando una proposta del maresciallo Radetzki, quella di sospendere per tre giorni le ostilità.

      Eran presenti a riceverlo i membri del Governo provvisorio, quelli del Comitato di guerra e quelli del Comitato di difesa: in tutto 14 o 15 cittadini. La proposta fu respinta, e fucili e cannoni continuarono la loro crudele missione.

      Fra le molte scaramuccie, fra i molti assalti, che avvennero in quei cinque giorni, due assunsero aspetto di veri fatti di guerra, che meritano una pagina nella storia della strategia e della tattica: voglio dire la presa del Genio e quella di Porta Tosa.

      Il Genio, che era allora dove è oggi la monumentale fortezza della Cassa di Risparmio, era il cuore della difesa degli Austriaci. Dal Castello e dalle porte partivano i fulmini, ma dal Genio emanavano le correnti che li sprigionavano. Là era il cervello, là il denaro, là le carte del governo.

      E da ogni finestra i migliori tiratori tirolesi facevano piovere palle di piombo sui cittadini armati, che volevano entrarvi e si andavano avvicinando di barricata in barricata, di tetto in tetto. E seminando di morti e di feriti le vie e innondando di sangue i ciottoli e i marciapiedi, si andava innanzi; la porta che resisteva, forte per natura e barricata per di dentro, fu schiantata da due cannoncini di legno cerchiati di ferro, che furono improvvisati dai Milanesi, fatti inventori di una nuovissima artiglieria. Io li ho veduti quei cannoncini, anneriti, feriti anch'essi, che parevano giocattoli da bimbi, ma che pure avevano vinto il Genio austriaco. Augusto Anfossi, l'anima e il cuore delle cinque giornate, l'eroe primo di quella battaglia tanto disuguale, lasciava la vita in quel'assalto.

      Dove si fece il maggior fuoco fu però a Porta Tosa, dove gli Austriaci con cannoni e battaglioni ben armati, difendevano una delle più forti posizioni, fulminando la città. Il Corso che conduceva alla porta era troppo largo, perchè vi si potessero piantare barricate forti e solide, che potessero difendere gli assalitori e resistere

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