La vita Italiana nel Risorgimento (1846-1849), parte II. Various

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La vita Italiana nel Risorgimento (1846-1849), parte II - Various

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è fatto di gloria e di ricchezza vuol dire salute morale, energia, generosità, eroismo. Se invece è fatto di paure e di pentimenti, vuol dire affarismo, viltà collettive, vuol dire marasmo delle anime.

      In quei cinque giorni Milano respirava bene, respirava a pieni polmoni l'aria della vittoria e della libertà ed era perciò nobile, generosa, idealista.

* * *

      E dacchè vi ho intrattenuto sempre del 48, permettetemi che nel chiudere la mia conferenza getti un grido di sdegno contro la brutta parola di quarantottate, che pur si ripete più di una volta, e soprattutto dai giovani serii, che non hanno potuto battersi e dai vecchi serissimi, che non si son battuti mai.

      Per questi signori, quarantottata vuol dire una dimostrazione un po' chiassosa, un entusiasmo collettivo espresso forse con uno scampanio troppo rumoroso; è insomma ogni espressione patriottica, che si presenti sotto forma troppo arcadica o troppo ingenua.

      Si cancelli dalla lingua parlata, dal frasario politico questa parola, che è una barbarie.

      Bestemmia contro tutto ciò che nell'uomo si ha di divino; cioè l'idealità, l'eroismo, l'amor di patria.

      Il 48 fu un sogno, un'illusione, un disinganno. Si credette che il cuore bastasse senza il cervello. Lo credettero i milanesi, lo credette anche Carlo Alberto, quando affrontò l'armata austriaca col piccolo esercito del piccolo Piemonte.

      Ma sogni, ma illusioni, ma disinganni che ci portarono al 59, al 66, al 70; e il quarantotto con le sue quarantottate fu un delirio di amor di patria, fu un trasporto che lasciò il cielo pieno di luce, e che fecondò la terra nostra col sangue dei primi martiri.

      Anche i vecchi deridono le follie della giovinezza, ma più spesso che per saviezza, per invidia di non esserne più capaci.

      E quando ascolto i giovani, che nel 48 non erano ancor nati, deridere le quarantottate, esclamo:

      «Ecco dei giovani vecchi, che deridono dei vecchi giovani!»

      Le barricate, spero, non si innalzeranno più in Italia e forse anche non avremo più bisogno di rivoluzioni; ma ai giovani che bestemmiano, pronunziando in tuono di scherno, la parola di quarantottate, io che li amo, auguro loro che nella lor vita provino anch'essi la suprema voluttà degli entusiasmi patriottici, delle idealità sovrumane, ci vengano poi dal cielo o dalla terra.

      Il divino nell'umano è l'entusiasmo, e chi muore senza averlo goduto, non ha vissuto mai!

      VENEZIA NEL 1848-49

CONFERENZADIPOMPEO MOLMENTI

      Signore e Signori,

      Nell'ampia sala magnifica del Palazzo dei Dogi – forse la più bella del mondo – convenivano taciti, avviliti, confusi i veneti patrizî. Era il 12 maggio 1797. Gravi pericoli minacciavano l'esistenza della vecchia Repubblica. Alle offese del Bonaparte l'imbelle doge Lodovico Manin rispondeva con vile rassegnazione, e i patrizi degeneri, convocati a consiglio, con non minore codardia decretarono la fine della repubblica e l'abolizione dell'ordine aristocratico. Poi uscirono tutti a precipizio. Erano cinquecento e trentasette; paurosi i più, alcuni illusi della nuova libertà, parecchi traditori, pochi fieri, risoluti, sdegnosi. Venti soli votarono contro il sacrifizio della patria, cinque si astennero. Così finiva la città dei Dandolo, dei Pisani, dei Veniero, dei Morosini! Un solo giorno faceva dimenticare tutta la sua forza, tutta la sua maestà, tutta la sua grandezza!

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