I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3. Анна Радклиф

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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3 - Анна Радклиф

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della zia, pugnalata forse per mano istessa del marito, venne a spaventarla; e si pentì d'aver osato recarsi in quel luogo. Ma il dovere trionfò della paura, e continuò a camminare. Tutto era calmo. Finalmente le colpì gli sguardi una striscia di sangue sulla scala; le pareti e tutti i gradini n'erano aspersi. Si fermò sforzandosi di sostenersi, e la sua mano tremante lasciò quasi cadere il lume. Non sentiva nulla; quella torre non pareva abitata da anima viva. Si rimproverò mille volte di essere uscita; temeva sempre di scoprire qualche nuovo oggetto d'orrore; eppure, prossima al termine delle sue ricerche, non sapeva risolversi a perderne il frutto. Riprese coraggio, e giunta alla torre, vide un'altra porta e l'aprì. I fiochi raggi della lampada non le lasciarono vedere che mura umide e nude. Entrando in quella stanza, e nella spaventosa aspettativa di ritrovarvi il cadavere della zia, vide qualcosa in un canto, e colpita da un'orribile convinzione, restò alcun tempo immobile. Animata quindi da una specie di disperazione, si accostò all'oggetto del suo terrore, e riconobbe un vecchio arnese militare, sotto al quale erano ammucchiate armi. Mentre si dirigeva alla scala per uscire, vide un'altra porta chiusa di fuori con un catenaccio, e dinanzi alla quale si vedevano altre orme di sangue: chiamò ad alta voce la zia, ma nessuno rispose. « Essa è morta! » sclamò allora; « l'hanno uccisa; il suo sangue rosseggia questi gradini. » Perdè tutta la forza, depose il lume, e sedette sulla scala. Dopo nuovi inutili sforzi per aprire, scese per tornare alla sua camera. Appena fu nel corridoio, vide Montoni, e spaventata più che mai, si gettò in un angolo per non incontrarlo. Gli sentì chiudere una porta, l'istessa ch'ella avea già notato. Ne ascoltò i passi allontanarsi, e quando l'estrema distanza non le permise più di distinguerlo, entrò in camera e coricossi.

      Già biancheggiava l'alba e le palpebre d'Emilia non eransi ancora chiuse al sonno; ma alfine la natura spossata diè qualche tregua alle sue pene.

      CAPITOLO XXIV

      Emilia restò in camera tutta la mattina, senza ricevere alcun ordine di Montoni, nè vedere altro che gli armati i quali passeggiavano sul bastione. L'inquietudine sul destino della zia la vinse finalmente sull'orrore di parlare a quel barbaro, e decise di recarsi da lui per ottenere il permesso di vederla.

      L'assenza troppo prolungata di Annetta provava inoltre ch'era accaduta qualche disgrazia a Lodovico, e ch'essa era tuttavia rinchiusa. Emilia risolse dunque d'andar a vedere se ella fosse ancora nella stanza, e d'avvertirne Montoni: suonava il mezzogiorno. I lamenti della meschina si sentivano all'estremità della galleria: deplorava il proprio destino e quello di Lodovico; quando intese Emilia, la supplicò a liberarla subito, perchè moriva di fame. La padroncina le rispose che sarebbe andata immediatamente a chiedere la sua liberazione; allora la paura della fame cedè pel momento a quella del padrone; e quando la fanciulla la lasciò, essa la pregava con calore a non iscoprir l'asilo ove nascondeasi: Emilia si avvicinò alla gran sala, ed il tumulto che udì, gl'individui che incontrò rinnovaronle gli spaventi. Però pareano pacifici: la guardavano con avidità, talvolta le parlavano. Traversando la sala per recarsi nel salotto di cedro, ove teneasi d'ordinario Montoni, scorse sul suolo spade infrante e gocce di sangue: quasi quasi credea vedere un cadavere. Avanzandosi, distinse un mormorio di voci, che la fecero titubare se dovesse o no inoltrarsi. Cercava invano cogli occhi qualche servitore per farsi annunziare, ma non ne compariva alcuno. Gli accenti ch'ella intendea non esprimevano più la collera, e riconobbe la voce di parecchi convitati della sera precedente. Mentre si disponeva a bussare, comparve lo stesso Montoni; sorpreso, lasciò conoscere nella sua fisionomia tutti i vari moti dell'animo. Emilia, tremante, stavasi mutola. Montoni le domandò con severità che cosa avesse inteso del loro colloquio. Essa lo accertò di non essere venuta coll'intenzione di ascoltare i di lui segreti, ma per implorare la sua clemenza per la zia e per Annetta. Montoni parve dubitarne, la fissò con occhio indagatore, e l'inquietudine che provava, non poteva nascere da frivole ragioni. Emilia lo scongiurò di lasciarla andare a visitare sua zia: egli rispose con un sorriso amaro, che confermò i suoi timori, e le fece perdere il coraggio di rinnovargliene la preghiera.

      « Per Annetta, » diss'egli, « andate a trovar Carlo, che le aprirà. Lo stolto che l'ha rinchiusa non esiste più. »

      Emilia, fremendo, rispose: « Ma la mia povera zia, signore, per pietà, parlatemi della mia zia…

      – Se ne ha cura, » soggiunse Montoni: « non ho tempo di rispondere alle vostre vane domande. » E volle lasciarla. Emilia lo trattenne scongiurandolo di farle sapere ove fosse sua moglie; d'improvviso intesero la tromba, ed un rumore confuso di uomini e di cavalli nel cortile. Montoni corse subito fuori. Emilia, nell'incertezza di seguirlo, affacciatasi alla finestra, le parve distinguere i medesimi cavalieri veduti partire pochi giorni prima, e, scorgendo accorrer gente da tutte le parti, stimò bene di rifugiarsi nella sua camera. La maniera e le espressioni di Montoni quando aveva parlato di sua moglie, confermavano in parte i di lei sospetti. Stava assorta in que' cupi pensieri, quando vide entrare il vecchio Carlo.

      « Cara signorina, » le diss'egli, « non ho potuto prima d'ora occuparmi di voi. Vi porto frutti e vino, chè dovete averne bisogno.

      – Vi ringrazio, Carlo, » diss'ella; « avete forse ricevuto quest'ordine dal signor Montoni?

      – No signora, » rispose il vecchio; « sua eccellenza ha troppe occupazioni. »

      La fanciulla rinnovò le sue domande sul destino della zia: ma mentre la trascinavano via, Carlo era dall'altra parte del castello, e da quel momento non ne sapeva più nulla. Mentr'egli così diceva, Emilia lo guardava attenta, e non poteva comprendere se parlasse per ignoranza, o dissimulazione o timore di offendere il padrone. Le rispose laconicamente sulla zuffa della sera prima, accertandola nel tempo stesso che gli alterchi erano finiti, e che il castellano credeva essersi ingannato sospettando degli ospiti. « Il combattimento non ebbe altra origine, » soggiunse Carlo, « ma mi lusingo di non rivedere mai più un simile spettacolo in questo castello sebbene vi si preparino cose strane. » Essa lo pregò di spiegarsi. « Ah! signora, » diss'egli, « non posso tradire il segreto, nè esprimere tutti i miei pensieri in proposito; ma il tempo svelerà tutto. »

      Essa lo pregò di aprire ad Annetta, indicandogli la stanza ove la meschina si trovava rinchiusa; Carlo le promise di soddisfarla; mentre partiva, gli domandò chi fossero i nuovi arrivati: la sua congettura si verificò: era Verrezzi colla sua truppa.

      Scorse più di un'ora prima che Annetta comparisse. In fine arrivò piangendo e lamentandosi.

      « Chi l'avrebbe mai preveduto, signorina? Oh! caso terribile! Oh! povero Lodovico!

      – L'hanno proprio ucciso? » le chiese commossa Emilia.

      – No; ma fu ferito gravemente. Ecco perchè non poteva venire ad aprirmi; ma ora comincia a star meglio.

      – Cara Annetta, mi rallegro molto nel sentire ch'egli esiste. »

      Appena la giovine fu alquanto calmata, Emilia la mandò a far ricerche sulla zia, ma non potè averne notizia alcuna.

      I due giorni susseguenti passarono senza verun caso notevole, e senza ch'ella potesse saper nulla della zia. La sera del secondo giorno, in preda al suo dolore, ed assalita da funeste imagini, per iscacciarle, si affacciò alla finestra, considerando i tanti astri fulgidissimi e scintillanti nell'azzurro empireo, che tutti seguono una determinata via senza confondersi nello spazio. Si rammentò quante volte col diletto padre ne avesse osservato il corso. Queste riflessioni finirono a destare in lei quasi egualmente dolore e sorpresa. Pensò ai tristi eventi succeduti alle prime dolcezze della vita, alle ultime scosse, alla sua presente situazione in terra straniera, in un castello isolato, circondata da tutti i vizi, esposta a tutte le violenze, e le pareva d'essere illusa da un sogno prodotto dall'immaginazione alterata, nè poteva persuadersi che tanti mali non fossero ideali. Pianse al pensiero di quanto avrebbero sofferto i di lei genitori, se avessero potuto prevedere le sventure che l'attendevano.

      Alzò

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