I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4. Анна Радклиф
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La fanciulla rispose all'amante che acconsentiva a vederlo, e procurò in seguito di raccogliere le forze ed il coraggio di cui aveva tanto bisogno per sostenere un colloquio che doveva distruggere le sue più dolci e care speranze.
CAPITOLO XL
Allorchè vennero ad avvertire Emilia che Villefort desiderava vederla, s'immaginò che vi fosse Valancourt. Nell'avvicinarsi al gabinetto del conte, la sua emozione divenne sì forte, che, non osando mostrarsi, si trattenne in sala per riaversi. Rimessasi alquanto, entrò, e trovò Valancourt seduto presso il conte. Si alzarono ambidue, e quest'ultimo si ritirò.
Emilia stava cogli occhi bassi, non potendo parlare, e respirando appena. Valancourt le sedette vicino; sospirava, e taceva. Finalmente, con voce tremante disse: « Desiderai vedervi stasera per uscire almeno dall'orribile incertezza in cui mi piombò il vostro cambiamento. Alcune parole del conte mi hanno spiegato qualcosa. Mi accorgo che ho nemici, invidiosi della mia felicità, accaniti a distruggerla; e m'accorgo parimente che il tempo e la lontananza indebolirono i vostri sentimenti per me. »
Queste ultime parole furono pronunziate colla massima commozione, ed Emilia non potè rispondere.
« Quale incontro è il nostro? » esclamò Valancourt alzandosi, e camminando a gran passi per la stanza; « quale incontro, dopo una sì lunga e barbara separazione! » Tornò a sedere, poi soggiunse: « Emilia crudele, voi non mi parlate? » Si coprì la faccia come per nascondere l'agitazione, e prese la mano di lei, che non seppe ritirarla. Essa non potè trattenere le lacrime: tutta la sua tenerezza tornò. Il giovane se ne accorse, un raggio di speranza gli surse nell'anima.
« E che! voi mi compiangete? » diss'egli; « voi mi amate ancora! Siete sempre la mia Emilia! Soffrite ch'io creda alle vostre lacrime.
– Sì, vi compiango, ma debbo io amarvi? Credete voi di essere tuttavia quel medesimo stimabile Valancourt ch'io amava pel passato?
– Che voi amavate pel passato? » sclamò egli. « L'istesso, l'istesso… » Si fermò un istante per la gran commozione, e continuò dolorosamente: « No, non sono più lo stesso, io son perduto: non son più degno di voi. » E si coprì di nuovo la faccia. Emilia era troppo colpita da una confessione tanto sincera per poter rispondere. Lottava contro il suo cuore, e sentiva il pericolo di fidar troppo nella sua risoluzione in presenza dell'amante. Le premea di por fine ad un colloquio sì penoso per entrambi. Ma, quando pensava che probabilmente sarebbe stato l'ultimo, mancavale ogni coraggio per non sentire più che il dolore e la tenerezza.
Valancourt intanto, divorato dai rimorsi e dall'affanno, non aveva forza, nè volontà di esprimersi. Sembrava appena sensibile alla presenza di Emilia, e non faceva che piangere.
« Risparmiatemi, » gli disse la fanciulla, « il dispiacere di riparlare dei dettagli della vostra condotta, che mi obbligano a troncare la nostra relazione; bisogna separarci, ed io or vi vedo per l'ultima volta.
– No, » esclamò Valancourt, « il vostro cuore non può essere d'accordo col labbro; non potete pensare a respingermi per sempre da voi.
– Bisogna separarci, » ripetè Emilia, « e per sempre; la vostra condotta ce ne impone la necessità.
– È la decisione del conte, ma non la vostra; ed io saprò con qual diritto egli si frappone tra noi. » Ed alzatosi, percorrea a passi precipitosi la camera.
– Disingannatevi, » disse Emilia non meno commossa. « La decisione è mia, il mio riposo lo esige.
– Il vostro riposo esige che noi ci separiamo per sempre! » sclamò Valancourt. « È vero ch'io sono decaduto dalla mia propria stima: ma come avreste potuto rinunziare così presto a me, se non aveste già cessato di amarmi, o se non aveste ceduto alle suggestioni d'un altro?… No, Emilia, voi non vi acconsentirete, se mi amate ancora, e troverete la vostra felicità nel conservare la mia.
– Come potrei essere scusabile, » rispos'ella, « se io vi affidassi il riposo della mia vita? Come potreste consigliarmelo, se vi fossi cara?
– Se mi foste cara? è egli possibile che dubitiate dell'amor mio? Ma sì, avete ragione di dubitarne, poichè io son meno disposto all'orrore di separarmi da voi, che a quello d'avvolgermi nella mia rovina. Sì, son rovinato, e rovinato senza risorsa; sono oppresso dai debiti, e non so come pagarli. »
Sì dicendo, gli occhi di lui erano smarriti e pieni di disperazione. Emilia fu costretta di ammirare la sua franchezza, e parve essere per qualche minuto in lotta con sè medesima.
« Io non prolungherò, » diss'ella alfine, « un abboccamento il cui esito non può essere felice. Valancourt, addio.
– No, voi non partirete, » gridò egli imperiosamente, « non mi lascerete così prima che l'animo mio abbia raccolta la forza necessaria per sopportare la mia perdita. »
Emilia, spaventata dal suo disperato dolore, gli disse con dolcezza:
« Riconosceste voi stesso la necessità di separarci; se volete farmi vedere che mi amate, perchè opporvi?
– Io era uno stolto quando vi confessava… Emilia, è troppo: voi non v'ingannate sulle mie colpe, ma il conte è la barriera, e non sarà a lungo l'ostacolo della mia felicità.
– Ora voi parlate veramente da stolto: il conte non è vostro nemico, Valancourt; gli è mio amico, e questa sola considerazione dovrebbe bastare per farvelo riguardare come vostro.
– Vostro amico! » disse vivamente Valancourt; « da quanto tempo è egli tale, per farvi obliare così presto l'amante? È egli vostro amico colui che vi suggerì di preferire Dupont? Dupont, che voi dite avervi ricondotta dall'Italia? Dupont, ch'io dico avermi rapito il vostro cuore? Ma io non ho diritto d'interrogarvi. Siete padrona di voi stessa; ma quel Dupont non trionferà a lungo della mia sciagura. »
Emilia, più spaventata che mai dal furore di Valancourt, gli disse:
« In nome del cielo, siate ragionevole; calmatevi; Dupont non è vostro rivale, ed il conte non è suo difensore; voi non avete altri nemici che voi stesso, e mi convinco sempre più che non siete quel Valancourt che ho amato tanto. »
Egli non rispose; coi gomiti appoggiati sul tavolino, stava silenzioso. Emilia era muta e tremante, e non osava lasciarlo.
« Infelice! » esclamò egli poco dopo; « io non posso lagnarmi senza accusarmi! Perchè fui io trascinato a Parigi? Perchè non seppi difendermi dalle seduzioni che dovevano rendermi disprezzabile per sempre? » Voltosi quindi vêr lei, le prese la mano, e le disse affettuosamente: « Emilia, potete voi sopportare l'idea della nostra separazione? Potete voi abbandonare un cuore che vi ama come il mio? Un cuore che, malgrado i suoi errori, apparterrà a voi sola? » La fanciulla non rispondeva se non colle lacrime. « Io non aveva, » soggiunse egli, « un solo pensiero che volessi nascondervi non un piacere, nè un desiderio, ai quali voi non poteste prender parte. Queste virtù potrebbero appartenermi tuttora, se la vostra tenerezza, che le aveva alimentate, non fosse cambiata senza rimedio; ma voi non mi amate più: quelle ore felici passate insieme si presenterebbero alla vostra