Acqua Dentro Acqua. Mirko Ravaschino

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Acqua Dentro Acqua - Mirko  Ravaschino

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di nulla.

      Anche se vado a pezzi.

      Io non sono forte.

      Ma godo.

      E non più sono.

      ***

      L'accappatoio è al solito posto. Il mio corpo trema, sorpreso, disarmato dall'improvviso freddo. Mi lascio alle spalle il bagno. Quella casa. Quella vita. Entro nel box doccia. Direziono lo spruzzino verso la parete finché il fumo del vapore mi circonda. Un mondo ovattato. Duro e morbido. Che mi scava. Ed io lascio fare. Gli permetto ogni cosa. E' come se piovesse dentro me. E non fossi più. L'acqua s'infrange sulla pelle.

      Mi bagna l'anima.

      Mentre cade a terra.

      Scivola.

      Via, come se avesse fretta.

      E mi entra dentro. La respiro.

      Vorrei tenerla.

      Ancora un po'. Un po' di più. In me. Nella carne. Tra le braccia. Ma cade. Lasciando rigagnoli sul mio seno. Lungo le gambe. Brucia le spalle. Mi riscalda con un abbraccio invisibile. E non riesco a trattenerla. I capelli si appiattiscono sul viso. Mi entrano negli occhi.

      Guardo in basso.

      Verso lo scolo. E divento sempre più piccola. Mentre l'acqua scorre addosso. Dentro. Mi sento venire meno; risucchiata. Come se ogni forza fosse trascinata via. In un momento. Profondo come un abisso; dove potermi specchiare. E desidero. Essere come lei.

      Come l'acqua che mi copre.

      Che mi arrossa la pelle.

      Scomparire. Assieme a lei. Scivolare via nelle tubature. E non tornare più a sentire.

      Invece rimango.

      Solida. Nella doccia. Con quel dolore che non ha nome. Con quel vuoto e quella mancanza di non so neppure io cosa. Così forte e reale. Che a volte mi sembra la mia unica ragione di vita. Poggio le mani sulle piastrelle. Non voglio pensare. Mentre scorre lungo la schiena. Quella calda mano. Che lava via ogni gioia ed allo stesso tempo nutre ogni speranza. Prima di toccare terra troverà il suo posto; troverà il suo perché. Almeno lei. E adesso mi sento acqua. Voglio essere acqua. M'illudo di essere acqua.

      3

      Ho aperto gli occhi all'improvviso.

      Come riemergere da una lunga apnea. Le immagini attorno a me sono chiare eppure si confondono con quelle del sogno.

      Il solito brutto sogno.

      Rimango un attimo a pensare “e se fosse tutto vero?”

      Lo scompartimento del treno su cui viaggiavo era vuoto ad eccezione di una ragazza. Mi stava guardando. Accenno un sorriso.

      Spero di non aver parlato nel sonno. O peggio, russato. A volte mi capita. Sopratutto quando sono scomodo.

      Il respiro torna lento e regolare.

      E lei ritorna sullo schermo del suo mp3.

      Mi volto verso il finestrino. Il paesaggio sfreccia veloce. Non si vede più nulla ormai. Solo qualche luce. Ogni tanto. Si lascia dimenticare come se non fosse mai esistita. E' buio. Saranno almeno le nove.

      A volte mi sembra tutto così irreale. Tutto quello che ho attorno; tutta la mia vita. Mi guardo in giro, mi guardo in dietro, e penso che sia tutta una lunga allucinazione. Chissà, forse è davvero così.

      Che importa in fondo?

      Di sicuro non importa nulla a lei. Lei ascolta musica e sembra felice. E non importa un granché neppure a me alla fine. E' solo che...ogni volta che faccio quell'incubo mi sveglio di pessimo umore.

      Decido di lasciarmi cullare dallo sciabordio del treno.

      Sembra funzionare.

      Mi rilassa.

      Mi rilassa sempre.

      Non so bene perché abbia preso questo treno. Forse perché amo viaggiare in treno. O forse per cercare di scoprire che cosa sia davvero reale. E che cosa sia solo il frutto della mia fantasia. Se vogliamo chiamarla così.

      Spesso questi pensieri mi fanno compagnia. Non che abbia bisogno di compagnia, sia chiaro...solo che mi piace pensare e perdermi nei voli della mia mente. Non so perché. Per capire probabilmente.

      Per conoscermi un po' di più.

      Provate a chiudere gli occhi e scavare nella vostra memoria. Dai primi ricordi. Guardate il viso di vostro padre o quello di vostra madre. Guardate il ricordo di quando avete imparato ad andare in bicicletta, il vostro primo bacio, la prima sbronza, la prima delusione d'amore, i successi e le cadute.

      Sono tutti lì. Nelle vostre memorie. Ogni tanto anche io apro quel cassetto nella mia mente e comincio a sfogliarle come se fossero un quotidiano.

      Bene.

      Ora provate a pensare che tutto o parte di quei ricordi, non siano mai realmente accaduti.

      Come vi sentireste?

      Benvenuti nel mondo di Nero.

      “Buona sera.” Mi volto. E' il controllore.

      Gesti. Non servono parole. La quotidianità delle persone è fatta di mille piccoli gesti inosservati e da troppe parole usate per riempire i silenzi. Silenzi che nessuno sa più ascoltare.

      Sfilo il biglietto dalla tasca e penso che è uno spreco di carta. Lo allungo all'uomo. Mezz'età. Baffi folti. Belli, penso. Gli coprono le labbra. Ha la fede. Non vede bene da vicino perché avvicina il biglietto al viso. Però è scrupoloso. Lo timbra.

      Faccio collezione di timbri.

      Sorrido.

      E gli faccio un cenno del capo in risposta al suo congedo.

      Mi è sempre piaciuto osservare le persone. Senza nessuno scopo preciso. Le guardo e dai piccoli gesti mi costruisco, mi invento le loro vite. E' un passatempo dilettevole il più delle volte. Nella maggior parte dei casi, loro stanno al gioco se lo fai con discrezione. Devi però imparare a riconoscere dei segnali. Labbra tese verso il basso, palpebre che le seguono, meglio lasciar stare...sono in cerca di discussione. Ed io non amo discutere. Non amo parlare. Sopratutto con le persone.

      Rimango alcuni secondi a fissare il corridoio. Le luci inondano ogni superficie. Ma fuori rimane buio. Un po' come dentro me. Non so quello che sto cercando. O forse sì. Magari non è poi così importante. “Scusa sai che ore sono?” chiedo senza pensare. La ragazza leva le cuffie. “Sai che ore sono?” ripeto, indicando con l'indice il polso. Questa volta ho quasi sussurrato. Ho fatto bene a mimare la domanda, non credo mi abbia sentito.

      “Sono le nove meno un quarto...” dice.

      “Grazie”.

      “Hey ma oggi è primavera” dico più che altro a me stesso.

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