Sta Scherzando, Commissario?. Marco Fogliani

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Sta Scherzando, Commissario? - Marco  Fogliani

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tutti quei negozietti di artigianato!"

      Così, anziché al parcheggio vicino al castello, decidemmo di lasciare la macchina in basso, all'inizio del paese, e da lì iniziare la nostra passeggiata. Il tempo era bello. Il castello dominava dalla cima della collina con grazia ed eleganza rinascimentale; ma era una presenza discreta, non autoritaria, perché il benevolo corso della storia non l'aveva mai costretto ad armarsi di torri o bastioni fortificati. Le stradine e le scalinate, belle ma scomode nella loro pavimentazione arcaica, si trasformavano spesso in vicoli senza dartene a vedere.

      Talvolta, mentre seguivo Angela da un negozietto all’altro, finivamo in un cortile o in un sottoscala, senza che fosse ben chiaro il confine tra la proprietà pubblica e quella privata.

      

      

      “Sembra che tu conosca proprio bene questo paesino, a giudicare da come ti ci muovi”, osservai mentre per una bassa porticina in fondo a gradini stretti e ripidi scendevamo in una botteguccia - di cui dalla strada era visibile solo l'insegna in legno - ricavata in una specie di grotta.

      “Certamente. E ne dovresti anche sapere il perché.”

      Girando e rigirandomi nella testa il nome del castello Brini-Maniscalchi, la questione mi tornò in mente.

      “Ora ricordo. Il tuo ex abitava da queste parti."

      Mi fece un cenno di conferma col capo.

      "Era un conte, o un duca, e ti portava a spasso per il paese e nel suo castello, se non sbaglio."

      "Sbagli. Nel castello ci sono stata, ma Franco non era il conte: era solo un suo amico. Altrimenti forse starei ancora con lui."

      "Non è che hai organizzato tutto solo per rivederlo?"

      "Ma sei geloso, per caso? Guarda che non hai proprio nessun motivo di esserlo. Di lui, poi, meno che mai. Perché io la mia scelta tra voi due l'ho già fatta da tempo, e non me ne sono pentita. Comunque", aggiunse Angela che ha sempre avuto la straordinaria capacità di scrutare i miei pensieri, "puoi stare certo che non ci rovinerà la festa. Bisogna entrare in coppia; e quindi, se ci fosse, sarebbe anche lui in dolce compagnia. Ma pedante e pignolo com'è, dubito che abbia trovato un'altra disposta a sopportarlo. E poi", concluse, "visto che è una festa mascherata c'è sempre la possibilità di non riconoscerci."

      Angela riprese tranquillamente la contemplazione dei gingilli e soprammobili, in legno ed in ceramica, esposti per la vendita. E anch'io mi tranquillizzai.

      

      

      Benché non avesse rinunciato a chiedere informazioni su prezzi e come è fatto questo e a cosa serve quell'altro, mi sorpresi a notare che quel giorno, fatto quasi miracoloso, non aveva ancora acquistato nulla; né, come mi disse più tardi, aveva intenzione di farlo.

      Nel negozio, oltre a noi, in quel momento era presente solo una vecchiettina, seduta in silenzio su una seggiola in un angolo e con lo sguardo perso nel vuoto. Di sicuro non poteva essere lei la padrona, pensai. Sarà stata la mamma, o un'amica. Una presenza solo di compagnia, non certo per sorvegliare la merce: un malintenzionato avrebbe potuto svuotarle il locale sotto il naso senza che se ne accorgesse.

      "Scusi, sa dirmi quanto viene questo?", le chiese Angela evidentemente immersa in altri pensieri.

      La vecchia girò appena la testa verso di lei. "Mi dispiace, non lo so. E poi io non ci vedo più bene… sa, alla mia età! Dovrebbe chiederlo a mia figlia quando torna." E continuò: "E' davvero una bella giornata oggi. Godetevela. Sembra già primavera. In tanti anni non mi ricordo proprio un altro inverno così mite. Ma probabilmente siete qui per la festa… Ne ho sentito parlare molto, sapete. Da giorni in paese non si parla d'altro. E voi mi sembrate proprio due fidanzatini.”

      Sembrava che quella donna fosse rimasta lì, immobile da chissà quanto, in attesa che qualcuno rompesse un malvagio incantesimo rivolgendole la parola; e ora, avendo riacquistato la favella dopo anni di attesa, si sentisse in dovere di riversare con gratitudine, su chi gliela aveva restituita, tutti i pensieri inespressi per tanto tempo per via di quel sortilegio. Però devo dire che dava l'impressione di essere simpatica, e anche buona.

      “Dovete essere davvero innamorati, voi due. Io queste cose riesco a vederle, sapete. Anzi, a sentirle: perché ormai della vista mi è rimasto ben poco. Ma ho come un sesto senso. Certe cose le capisco al volo: le percepisco nell'aria. Vedo che siete una coppia felice, e che lo resterete ancora per tutta la vita. Si, tutta la vita insieme, come vi siete promessi l'un l'altro anche prima di sposarvi, quella sera d'estate sulla spiaggia, chiamando la luna piena e tutte le stelle a vostri testimoni.”

      Rimanemmo entrambi sorpresi nell’ascoltare queste parole. Angela sembrava contenta e quasi commossa, come se di nuovo, in presenza di quella specie di maga, stessimo rinnovando la nostra promessa d’amore. Io invece, non lo nego, provavo un certo fastidio, come se fossimo stati spiati da una persona estranea nei momenti più importanti ed intimi della nostra vita.

      Mentre la vecchia continuava a parlare di argomenti più generici, ripensavo a quella serata sulla spiaggia; alla nostra emozione di allora, che adesso si rinnovava negli occhi di Angela; e alla inspiegabile astinenza di lei, in quel giorno di San Valentino, dal comprare un qualunque oggetto ricordo, per quanti ne continuasse a guardare e ad esaminare con attenzione.

      “ … Quelle sono spille portafortuna. Sono quelle con l’immagine del castello e della madonna, non è vero?" La vecchia parlando continuava a fissare nel vuoto; ma erano proprio quelle le spillette che stavamo esaminando.

      "Dicono che tengano lontane le sventure. Ma questa è superstizione, date retta a me: è l’amore che protegge da ogni male.”

      Le parole della vecchia, aumentando in me il dubbio - se non la convinzione - che avesse dei poteri misteriosi, mi infastidivano e mi turbavano, infondendomi un pressante desiderio di uscire al più presto da quel negozio; ma mi diedero anche una specie di illuminazione sui pensieri di Angela. Quel giorno, a differenza del solito, voleva che fossi io a comprarle qualcosa. Anche una stupidaggine. Magari proprio quella spilletta portafortuna, a ricordo di un bel San Valentino trascorso insieme e al contempo di quella promessa scambiata sulla spiaggia; e magari, così per scaramanzia, perché proteggesse il nostro amore per tutta la vita, come ci piaceva pensare e sperare, tenendo lontana da noi ogni sventura.

      "Sono molto belle", dissi. "Ne prendiamo due." Porsi alla vecchia il denaro dovuto ed ella, sempre con lo sguardo nel vuoto, mi ringraziò sorridendo. La lasciammo seduta al suo posto, tornata immobile e silenziosa come una statua di sale ripiombata nel suo incantesimo.

      

      

      Usciti in strada indossammo subito le spillette, una per ciascuno. Di certo appuntarle ai nostri vestiti ebbe degli effetti immediati e sorprendenti: il nostro bisogno l’uno dell'altra divenne talmente forte che proseguimmo avvinghiati stretti stretti e, in questo amoroso abbraccio, dimenticandoci del mondo intero. Non sentimmo più la fatica della salita, e in breve arrivammo alla nostra meta.

      "Guarda, hanno messo l'acqua nel fossato! Non l'avevo mai visto così", mi disse Angela. Io non l'avevo proprio mai visto, né con né senza acqua; ma giudicai che sarebbe stato più appropriato popolarlo di coccodrilli, magari finti, anziché di paperelle e cigni.

      Angela, con quella sua nuova vitalità inesauribile, mi trascinò verso l'entrata. Ormai intorno a noi si vedeva solo gente in maschera.

      "L'affitto

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