Scherzi Da Adulti. Marco Fogliani
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Indice dei contenuti
IL PESO DI UN SEGRETO
La mia vecchia, sdraiata supina nel suo letto, agitava il vecchio campanello sul comodino quasi per amplificare il beep intermittente di una sveglia per lei troppo moderna.
“Ho sentito, ho sentito. Sto arrivando, mamma”.
“E' l'ora delle mie medicine. Me le hai preparate le medicine?”
“Ma si, mamma, sono lì pronte al solito posto dentro al piattino. E anche il tuo bicchiere. Basta che allunghi la mano.”
“Sono le mie, le medicine, vero?”
“Ma certo: e di chi vuoi che siano? C'è forse qualcun altro in questa casa oltre a noi due?”
Quasi per caso i suoi occhi in quel momento erano aperti: ormai li teneva chiusi la maggior parte del suo tempo solo perché, diceva, le costava meno fatica. Ma anche a vederli aperti, così grigi e sempre più persi e sbiaditi, poco cambiava: il loro aspetto confermava sempre più chiaramente quanto il dottore ci aveva detto l'ultima volta, e cioè che la sua vista era ormai ridotta al lumicino.
Povera mamma. Vederla in quelle condizioni mi faceva pensare che la vita si fosse presa gioco di lei.
Fino a pochi anni prima, fintantoché il fisico glielo aveva permesso, era stata attrice di teatro, passione che mi aveva trasmesso assieme ai cromosomi. Lo scherzo del destino era che nell'opera di maggior successo da lei interpretata c'era una scena intera in cui lei era proprio in queste condizioni, inferma dentro ad un letto. Forse in quella scena, che io stessa mi ero rivista registrata per decine di volte, se la ricordavano quei pochi, pochissimi che si erano ricordati di lei in questi ultimi anni. Una scena che adesso, confrontata con la realtà, dava piena evidenza di tutti i suoi limiti di attrice.
“Arianna. Aspetta ad andartene. Ti devo dire una cosa. Una cosa importante.” Fece una breve pausa, sollevandosi leggermente ma con grande fatica sui cuscini. “Ultimamente la mia salute sta peggiorando, me ne rendo conto.”
“Ma no, mamma, non dire così. Diciamo che non migliori, questo sì”, le risposi cercando di tirarla su di morale. Ma lei proseguì senza dare il minimo peso alla mia pietosa bugia.
“Per questo penso che sia arrivato il momento. Il momento giusto.”
Temetti che volesse dirmi che stava per morire. In realtà non mi sbagliai di molto.
“E' arrivato il momento di confessarmi. Perciò vorrei che mi facessi venire qui un sacerdote.”
“Confessarti? Un sacerdote? Ma stai scherzando! Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Saranno forse trent'anni che non vedi un prete, voglio dire un prete vero. Forse è da quando mi sono sposata io, che chissà perché ne abbiamo voluto uno. In vita tua hai incontrato più attori vestiti da prete che preti veri; forse non sai neanche cosa sia una messa, se mai ci sei stata.”
“Appunto. E' proprio per questo che è arrivato il momento.”
“Ma non hai pensato che forse sarebbe meglio confidarti con qualcun altro che conosci, piuttosto che con uno sconosciuto?”
“Ti prego, Arianna, dammi retta e ubbidiscimi senza storie, almeno stavolta. Per tutta la vita ho sempre dovuto questionare con te. Sarebbe così bello sentire che non mi contraddici e che almeno una volta fai quello che ti chiedo senza polemiche.”
In realtà chiamare un sacerdote era un problema per me, al di là del fastidio di sapere che mia madre preferiva confidarsi con un estraneo anziché con la sua unica figlia. (E che peccati poteva aver commesso, poi!). Non solo io di preti veri non ne conoscevo, ma mi seccava addirittura il solo pensiero di entrare in una chiesa per cercarne uno.
Allora riflettei sul fatto che quanto avevo appena detto su mia madre, e cioè che in vita sua aveva conosciuto più sacerdoti finti che sacerdoti veri, in realtà valeva anche per me. Anch'io appartenevo a un gruppo teatrale, e tutte le parti da prete o vescovo erano state sempre interpretate da Filippo, che per fisionomia e modi di fare sembrava decisamente più adatto di tutti gli altri a quel ruolo, e che per questo motivo aveva col tempo acquisito sulla scena una discreta esperienza in quei panni.
Però … se mia mamma gli avesse rivelato qualche cosa di imbarazzante … e magari alla fine l'avesse saputa lui ed io ne fossi rimasta all'oscuro? No, non mi sembrava davvero una buona idea. Io, ed io sola, in qualità di figlia, mi sentivo autorizzata a compiere questo illecito. Non avrei coinvolto nessun altro.
Restava il fatto che sicuramente il teatro aveva qualche costume di scena adatto. Un abito talare, una bella parrucca e magari una barba finta; e mia madre, che di preti veri non ne conosceva e che ormai ci vedeva male e sfuocato, ci poteva tranquillamente cascare, se fossi stata brava a recitare la parte.
Si, alla fine avevo deciso: avrei fatto così.
Cambiai la suoneria della sveglia del cellulare in modo che fosse esattamente uguale a un campanello di casa, e mi recai al teatro, dove ebbi la fortuna di incontrare Filippo, con cui però non entrai nel dettaglio delle mie intenzioni: gli dissi soltanto che il costume mi serviva per uno scherzo “da prete”. Egli mi aiutò nella scelta di quello più adatto e mi diede una breve infarinatura e qualche dritta sulla confessione e sul mestiere del prete, anche aiutandosi con internet.
Sulla via del ritorno feci in tempo ad imparare a memoria la formula dell'assoluzione e altre formule