Scherzi Da Adulti. Marco Fogliani

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Scherzi Da Adulti - Marco  Fogliani

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tu abiti qui da sola?”, le chiesi.

      “Si, tutta sola.”

      “Strano che una bambina abiti da sola. Ma in tal caso, voglio dire se veramente sei minorenne, credo che per me sarebbe meglio togliere il disturbo.”

      “Stavo scherzando, sulla mia età. Volevo solo vedere che faccia facevi. E avresti dovuto vederla anche tu, ne valeva la pena. Comunque te la sei cavata discretamente.”

      “Però adesso me lo devi dimostrare che sei maggiorenne, altrimenti vado via”, le dissi. E fui irremovibile nella mia posizione tanto che lei, anche se un po' seccata, alla fine mi fece vedere un suo documento. Ne fui doppiamente contento: per la sua età, ma soprattutto perché era chiaro che ci teneva che restassi.

      “Allora, cosa vogliamo fare?”, mi chiese.

      “Chiacchieriamo un po'. La notte è lunga, e non sappiamo ancora quasi nulla l'uno dell'altro”, le dissi. Anche se in realtà avrei preferito trastullarmi con lei in altro modo, non mi andava che mi scambiasse per uno di quei quasi maniaci sessuali delle chat. Ma forse in fondo non ero molto diverso da loro; solo che ora avevo buone e concrete possibilità di successo, e assolutamente non le volevo sprecare in modo banale.

      “Ma davvero non dormi per colpa di un rubinetto che gocciola?”, le chiesi incuriosito.

      “Ma no. Non dormo perché non dormo, anche se il rubinetto qualche problema ce l'ha: dicevo per scherzare. Ma ormai è tantissimo che non dormo.”

      “Allora questa potevo non portarla”. Le feci vedere la chiave inglese, e lei si mise a ridere.

      “Non dormi niente niente niente?”, continuai. “ A me ogni tanto capita di mettermi seduto in poltrona, chiudere gli occhi e di riuscire a schiacciare un pisolino. Un quarto d'ora, magari una mezz'oretta. Ci hai provato?”

      “No. Non ho sonno e non mi va di chiudere gli occhi. Mi sembra di buttare il tempo inutilmente, anche se in realtà non ho niente di importante da fare.”

      “Ma ne hai parlato con uno specialista?”

      “No, perché? Diciamo che non lo sento un fastidio, una malattia per cui farmi visitare apposta spendendo un sacco di soldi. Ho sempre dormito pochissimo, ormai ci sono abituata. Quando è capitato ne ho parlato col mio medico che mi ha indicato dei rimedi stupidi: naturali, come dice lui, ma inefficaci. Solo una perdita di tempo e soldi. Ne ho provati un paio, poi mi sono stufata.”

      “Hai provato con l'attività sportiva? Magari una bella doccia o un bel bagno ogni sera, molto caldo o molto freddo.”

      Mentre parlavo fui fortemente distratto da alcuni suoi movimenti e dalle loro conseguenze. Allentandosi la cinta della vestaglia, e dandosi una scrollatina alle spalle, dalla scollatura fecero capolino e bella mostra di sé il suo reggiseno e le ampie e morbide forme che esso conteneva. Rimasi quasi senza fiato, doppiamente sorpreso: dalla scarica ormonale che ne subii e dal fatto che, mi era sembrato evidente, questa manovra non era stata affatto casuale. Mi fu veramente difficile mantenere il filo del discorso.

      “Una sauna, un bagno turco” riuscii a continuare. “Alle volte uno stress termico o fisico può funzionare.”, le suggerii.

      “Qualche volta mi è successo. Lo stress, come dici tu, mi porta stanchezza e sonnolenza, ma a quel punto sto peggio del solito.”

      “Con me hanno un certo effetto anche …”, lo dissi con un certo imbarazzo, “ … i film pornografici.”

      “Ah, si. Qualche volta è capitato anche a me di vederli. Veramente noiosi. Peggio ancora le corse delle moto o delle macchine. Ma non sono mai riuscita a non cambiare canale.”

      “Beh, da un punto di vista economico dovresti approfittarne di questa tua insonnia. Non so che cosa fai nella vita, ma le attività svolte di notte, oltre ad essere sempre molto richieste, vengono normalmente pagate molto di più delle stesse svolte di giorno. Dico per esempio rispondere al telefono, oppure … ”

      Nel frattempo lei sembrava essere diventata irrequieta. Non riusciva quasi a stare ferma sulla sedia di fianco alla mia.

      “Mamma mia, ma che chiacchierone che sei”, mi disse. “Ma non la smetti mai di parlare? Vediamo un po' se riesco a trovare il modo per farti stare un po' zitto.”

      Mi allungò il braccio attorno al collo, avvicinando la mia testa alla sua e tappandomi la bocca con un bacio che sembrava volermi impedire anche di respirare. Io dapprima rimasi quasi paralizzato, poi mi rilassai e mi lasciai andare.

      “Finalmente”, mi disse. “Sapevo che non tutti sono affamati come quelli delle mie chat, ma tu mi stavi facendo venire il dubbio che fossi dell'altra sponda.” Si sistemò sopra le mie ginocchia sulla mia stessa sedia, e di nuovo mi richiuse la bocca con la sua, dopo avermi lasciato il tempo solo per un respiro profondo.

      Ci baciammo a lungo. Io provai la strana sensazione di perdere il contatto col mio cervello, con la testa che si svuotava di qualunque pensiero.

      “Vogliamo metterci più comodi? Che ne dici se ci spostiamo sulla poltrona?”, mi propose.

      In effetti, appena terminato l'effetto drogante e anestetico dei suoi baci e del suo corpo tra le mie mani, mi resi conto che avevo le ossa un po' ammaccate e doloranti per il suo peso e per la scomoda posizione.

      Mi fece alzare prendendomi per il colletto e mi spinse sulla poltrona che però, avendo i braccioli ed essendo ingombra di non so cosa, non si preannunciava neanch'essa il massimo della comodità per due persone.

      “Ma un letto in questa casa non ce l'hai?”, feci in tempo a chiedere prima che, ricominciando coi suoi meravigliosi baci, potesse nuovamente farmi perdere l'uso della ragione.

      “Si, giusto. Un letto ce l'avrei, anche se non lo uso mai. Potrebbe essere ingombro di pupazzi ed altre cianfrusaglie, ma dovrebbe essere più comodo. Un attimo e vado a sistemarlo.”

      Feci per seguirla, ma lei si fermò un attimo a raccogliere le idee, e mi fermò.

      “Aspetta qui un momento, bambolotto”, mi disse. “Dammi qualche minuto per indossare la biancheria intima e la camicia da notte più sexy che ho. Sono sicuro che la troverai una buona idea”, aggiunse facendomi l'occhiolino

      Fece per andare nell'altra camera, ma fu bloccata da un altro pensiero. “Dimenticavo”, disse ancora.

      Andò verso la porta di casa e la chiuse con un paio di mandate, facendomi vedere che si portava dietro la chiave. “Non si sa mai che ti venissero in mente strane idee”, aggiunse. “Ti do una voce io quando sono pronta”.

      “Va bene, ma non ce n'era bisogno: ho tutt'altre intenzioni che scappare. Nel frattempo vado un momento in bagno, se non ti dispiace”.

      Quando ne uscii, cercai di sbirciare dalla porta socchiusa della sua stanza, ma non osai affacciarmici. Tornai ad aspettare sulla poltrona, fiducioso sull'inevitabilità di quanto stava per accadere. Ma l'attesa, in sala d'aspetto, si protrasse più di quanto avevo immaginato, e conoscendo il suo senso dell'umorismo e la sua voglia di scherzare cominciai ad avere qualche timore.

      “Novanta”, la chiamai, poiché mi sfuggiva il suo vero nome ma non osavo utilizzare il suo pseudonimo completo che conteneva la parola racchia.

      “Novanta

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