Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96. Various

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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96 - Various

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la comitiva era dotata. E dire che in tutto il tempo che durò, non successe un minimo episodio rattristante.

      Güssfeldt scrisse per tutta lode sul libretto di Emilio: «Il fallait un compagne aussi tenace, vigoureux et brave que Rey pour mener cette entreprise a bonne fin.»

      Nel settembre del 1893 Emilio Rey fu di nuovo con W. E. Davidson che assieme ai signori M. Holzmann e G. FitzGerald, ascese i Jumeaux, compiendo la seconda ascensione della punta Giordano; traversò le cinque punte dell’Aiguille des Charmoz dal Nord al Sud, e salì le due vette dell’Aiguille du Dru.

      Nel 1894, Emilio Rey veniva scelto da S. A. R. il Duca degli Abruzzi e dall’avv. F. Gonella, quale loro prima guida. A tutti è noto lo splendido risultato di quella campagna. S. A. dimostrò di possedere una fibra robusta ed animo forte, incrollabile. Del Rey, il Principe sentenziò che con lui si può essere sicuri di compiere qualunque ascensione: parole che prendono un rilevante significato dalla Augusta penna che le dettò. Nel settembre dello stesso anno, Emilio eseguiva col Güssfeldt la quarta (credo) ascensione del Cervino per la Cresta di Zmutt.

      Meritevole di essere segnalata, è la corsa che il Rey fece nel passato agosto con George H. Morse. Saliti al Monte Bianco dai Grands-Mulets per le Bosses, discendevano pel Corridor al M. Maudit, dal quale al Mont Blanc du Tacul e quivi a Montanvert. Il 23 di quel mese salutava per l’ultima volta l’Aiguille du Dru che tante volte soggiogò, e la dimane veniva al Dente del Gigante..... dove trovò la morte.

      Qui la penna, che febbrilmente scorreva sulla carta, quando narrava le gesta gloriose del Rey, cade involontariamente di mano. Una stretta al cuore, uno stringimento alla gola, mi strappano le lagrime, che solcando silenziosamente le gote cadono ad inumidire il foglio. È angoscia, strazio, sgomento, sconforto che provo? Non so; certo una fusione di tutti questi sentimenti.

      Che il Rey sia perito ai piedi del Dente del Gigante e nel modo tragico che tutti sappiamo, è un pensiero che la ragione non ammette e all’animo ripugna. Lungi da noi l’idea di polemicare sulla sua condotta; altri più autorevoli di noi, non gli diedero torto. Perchè viaggiare in due soli e perchè slegarsi quando l’apparente pericolo esisteva? Egli non è più per risponderci; ma se ci fosse, son certo che i suoi ragionamenti ci indurrebbero ad approvarlo. Se errore vi è stato in quest’ultima pagina della sua vita, esso non menoma in verun modo la squisita bellezza del suo libro d’oro. Non è una macchia che alteri la candidezza del foglio, ma un’inezia che passa inavvertita. Come si può prevenire i pericoli minimi, quando continuamente si lotta coi grandi?

      Emilio Rey ebbe il vanto di accompagnare i più celebrati alpinisti dei Clubs Alpini europei, e questo torna ad onore del Club Italiano e delle sue guide di cui egli rialzò il prestigio. E la nostra Società, memore dei servigi direttamente o indirettamente resile, porrà un perenne ricordo a quello che fu il principe delle sue guide, principe di sangue democraticissimo se si vuole, ma nobile e puro, disinfettato da ogni microbo malefico nell’aereo ambiente dove traeva vita.

      Egli teneva ad occupare il posto che si era conquistato fra i suoi colleghi; era conscio del proprio valore, ma dal suo animo non trapelava un’ombra di vanagloria. Era altero sì, ma non presuntuoso; non si diede mai il caso che s’impermalisse del successo di altre guide. Il sentimento che egli provava di sè stesso era alterezza, non alterigia, come alcuni invidiosi gli rimproveravano. D’altronde «noblesse oblige»; e «on n’est pas un grand homme à bon marché» direbbe l’Houssaye.

      Egli metteva sempre una distinta separazione tra quelli che tengono il più alto ed il più basso rango nella sua professione.

      «Un giorno al Montanvert—narra il Cunningham—assistevamo all’arrivo dei «poliglotti», come un’ingegnosa persona battezzò quella turba composta di quasi tutte le nazioni, che può essere vista ogni giorno compiendo il penoso pellegrinaggio da Chamonix al Montanvert. In essa trovavasi un inglese che si era già provvisto di occhiali verdi, di un velo e di scarpe per la montagna, e che non gli mancava più che una guida per terminare i suoi preparativi. Volgendosi al Rey e indicando dapprima la Mer de Glace e quindi il Chapeau, gli chiese: «Combiang?»—«Voilà, Monsieur,»—replicò Rey, scoprendosi e indicando con la mano sinistra un gruppo di piuttosto poveri campioni della Société des Guides,—«voilà les guides pour la Mer de Glace; moi, je suis pour la Grande Montagne».

      Emilio Rey possedeva in sommo grado tutte le qualità che fanno le grandi guide: audacia, sangue freddo, prudenza, robustezza, abnegazione, gentilezza di maniere, tali erano le supreme doti dell’uomo, del quale intessiamo brevemente la vita. La prima di queste qualità fu certamente il grande amore per l’ammaliante sirena dei monti, un amore come pochi professano e che egli portava sino all’idolatria. Era, si può dire, «l’enfant gâté» della montagna: non visse che per essa e… morì per la medesima. L’ideale della sua vita fu l’alpinismo, nel quale navigò in tutti gli orizzonti, in tutte le sue manifestazioni. Ma fu un pilota abile che seppe evitare lo scoglio anche nel più forte della tempesta.

      Il mare, quell’infinita distesa di liquido glauco che v’invita voluttuosamente a tuffarvici e vi procura sensazioni indescrivibili, il mare infido, ad un tratto, quando meno ve l’aspettate, vi inghiotte e sparite nel caos. Tale è la montagna. Quale è la sorte dei marinai, dei marinai che si sono affacciati impassibili cento volte sulla porta degli abissi? Così quella delle guide; così fu di Emilio Rey, benchè fosse attento e coraggioso timoniere.

      Sebbene il suo temperamento e la sua indole avida di novità lo spingessero sempre avanti, sapeva fermarsi quando e dove al coraggio sostituivasi la temerità. Egli non oltrepassò mai i limiti concessi dalla prudenza, e non si potrebbe trovare un accidente toccato ad un suo viaggiatore.

      «Avec cela, chercheur toujours en éveil, sans routine dans le choix des routes et des moyens d’accés. En s’occupant de vaincre l’obstacle immediat du terrain, son œil fouillait dejà au loin et sa pensée concevait l’assaut prochain. Sobre, ennemi du tabac, d’une propreté méticuleuse qui ne se fiait jamais aux porteurs dans les soins de la cuisine et l’entretien des refuges, complaisant pour ses camarades, il n’avait aucune des prétentions ridicules de certains grands guides, dont les épaules se croyent déshonorées par la présence d’un sac».—Così Miss Richardson, che del Rey poteva darci un adeguato giudizio, lei che l’ebbe, per molto tempo, a condividere e l’amaro e il dolce della rude vita alpina. Gli inglesi, così parchi nelle lodi, per Emilio Rey calpestano la loro naturale ritrosia e freddezza e ce lo dipingono quale era realmente, con un colorito caldo… veramente alpino.

      Terminando, non posso a meno di riportare uno stralcio di lettera del dott. Paul Güssfeldt, che per l’autorevole persona che l’ha scritta, torna al massimo vanto del nostro Emilio: «… Vous savez que j’ai tenu Rey dans la plus haute estime, qu’il m’a rendu les plus grands services, qu’il était d’un courage, d’une adresse, d’une connaissance des montagnes sans pareil et qu’il restait fidèle a son devoir sans crainte de mort».

      Al monumento, che auspice la Sezione Torinese del C. A. I. gli alpinisti erigeranno prossimamente a Courmayeur, paese nativo di Emilio Rey, si raccolgano le giovani reclute ad infiammarsi di quell’entusiasmo e di quell’ardimento mai venuti meno alla grande guida, e cerchino di seguirne le orme, sia nell’assennata audacia, che nella piacevol arte di aggradire. Esso costituirà un pegno, un mutuo contratto tra le guide e l’alpinismo.

      Courmayeur, marzo 1896.

Giulio Brocherel (Sezione d’Aosta).

      Debbo qui pubblicamente ringraziare distinte persone che col Rey avendo viaggiato erano in grado di pronunziare giudizii e fornire ragguagli sulle loro salite. Al Cunningham per il prezioso dono del suo «The Pioneers of the Alps;» a M. von Déchy, al dott. P. Güssfeldt, a Miss K. Richardson, ecc., l’attestazione della mia sentita riconoscenza.

      Va pure ricordata l’opera prestatami dalla gentilissima signorina

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