Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96. Various

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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96 - Various

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di cuore. G. B.

Prime ascensioni compiute da Emilio Rey
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      Spedizione scientifica al Monte Rosa

      (1894 e 1895).

      Indagini sulle acque e sulle nevi delle alte regioni

      Per eseguire le indagini che mi accingo ad esporre, la spedizione, composta di me, del dott. Lorenzo Scofone mio assistente, e di Carlo Viziale, inserviente del laboratorio di materia medica dell’Università di Torino, si era stabilita all’alpe detta di Lavez, situata a 2450 m. sul livello del mare, in Val di Gressoney, lungo le pendici erbose digradanti dalla punta del Telcio che si spicca dalla cresta che scende dal Lyskamm a morire nel vallone di Indren, sopra Gressoney la Trinità.

      L’alpe è una casetta che si compone di una grande stalla al piano terreno e di due stanze al primo piano; delle quali l’una serviva da laboratorio e da cucina, l’altra da dormitorio e da laboratorio per i lavori più delicati. La posizione non potrebbe essere migliore per chi vuol attendere a ricerche sulla montagna. I ghiacciai sono accessibili in tre ore; la vetta stessa del Rosa si può comodamente raggiungere in nove o dieci ore. Il luogo dove sorge l’alpe è riparato dai venti del nord ed ha un largo orizzonte davanti a sè che permette di godere il sole dal mattino alla sera.

      Il proprietario, sig. Monterin Alberto di Gressoney la Trinità, informato dal compianto barone Luigi di Peccoz del nostro progetto di spedizione e della ricerca che facevamo di un luogo ove stabilirci, ci offrì la casa gratuitamente, arredandola dei mobili necessarii; sono lieto di potergli qui rendere pubbliche grazie; ricordo anche con riconoscenza e rammarico il barone Peccoz, il quale pure ci fu largo di aiuti e di preziosi consigli, e certamente avrebbe fatto ancora molto in pro’ della nostra impresa se avesse vissuto6.

      Noi ci proponemmo anzitutto di esaminare le acque della regione, scendendo dalle più alte ottenute dalla fondita delle nevi delle vette, a quelle dei ghiacciai, ed a quelle dei torrenti, dei laghi e delle sorgenti. Il nostro esame si estendeva tanto alla composizione chimica quanto alla morfologica. Nel presente lavoro non si tratta che la parte chimica.

      I.

      Studio chimico delle acque del Rosa

      1º Acque di neve e di ghiaccio

      Per raccogliere e conservare le nevi e i ghiacci ho fatto costrurre delle cassette di latta doppie, cioè chiudentisi l’una nell’altra. La cassetta interna ha la base di cm. 28,5 × 15 e l’altezza (compreso il coperchio) di cm. 21,5: quella esterna, la base di cm. 34,5 × 20,5 e l’altezza di cm. 27,5. Nella cassetta interna, rinchiudentesi con un coperchio, si metteva il ghiaccio e la neve da analizzarsi, nello spazio fra le due cassette, si introduceva della neve o del ghiaccio pesto. Per preservare l’esterno della cassetta maggiore dai raggi solari la si involgeva poi ancora in una fodera fatta di rozzo feltro spesso.

      Questo sistema si dimostrò oltremodo pratico ed utile; la neve esterna durava per parecchie ore, tanto da darci sempre il tempo di scendere al laboratorio. E se si riponevano le cassette entro alla piccola cantina dove si custodiva il latte, e dove grazie ad una corrente d’acqua la temperatura non saliva mai oltre i 9°, il ghiaccio esterno poteva durare due giorni, e quello interno anche cinque o sei.

      Le dimensioni delle cassette vennero studiate in relazione a quelle della portantina destinata al loro trasporto. Noi ci siamo valsi del modello di Vittorio Sella7, assai leggero e resistente; su una portantina si possono sovrapporre comodamente due cassette doppie, e gettandovi sopra una coperta si trasportano per delle ore al sole senza che vi sia fusione di sorta.

      Il sig. V. Sella ebbe la cortesia di incaricarsi della costruzione delle portantine, le quali si mostrarono comode e leggere; il prezzo è di L. 12 ciascuna8.

      Portato il ghiaccio o la neve in laboratorio si estraeva dalla cassetta, si lavava accuratamente con un getto d’acqua distillata, poi si metteva a fondere a temperatura ordinaria entro ad una grande cassula che si teneva riparata dalla polvere coprendola con un imbuto rovesciato. Le prime acque di fusione si eliminavano, le altre si raccoglievano. Ottenuta l’acqua di fusione, si facevano anzitutto dei saggi qualitativi per la ricerca dei componenti che possono alterarsi col soggiornare dell’acqua, o peggio coll’evaporazione, quali sono l’ammoniaca, i nitriti, i nitrati. Se l’acqua era torbida, la si filtrava prima di intraprenderne le indagini.

      Il resto dell’acqua misurato accuratamente (per lo più erano due litri) si metteva a svaporare nelle cassule, su fornelli a petrolio, avendo cura che le fiamme non fossero fumanti, senza di che ricadevano nell’acqua, passando fra la cassula e il filtro capovolto, minutissimi fiocchi di fuliggine.

      Dirò qui, di passaggio, che le lampade o fornelli a petrolio usate convenientemente, si mostrarono assai comode; per ottenere temperature più alte ricorremmo a lampade a gaz di petrolio con aria compressa, oppure a lampade a benzina o gazogeno sul tipo della lampada svedese da gazista; una lampada a serbatoio di benzina ed a tubo circondato d’amianto della casa Muencke di Berlino, in capo a pochi giorni si guastò e funzionò irregolarmente.

      L’evaporazione si continuava fino ad avere un residuo di circa 200 cc. d’acqua; per le ulteriori indagini questo residuo, insieme colla risciacquatura della cassula mediante acqua distillata, si introduceva in un pallone di vetro, dal collo lungo, il quale si fondeva alla lampada, chiudendo così ermeticamente la boccia. Conservate in tal guisa, le acque giunsero tutte in perfetta condizione a Torino.

      2º Acque dei laghi

      Abbiamo raccolte le acque in due laghi alpini; quello Gabiet, situato a sud dell’alpe Lavez a m. 2339 e quello Salzia9 a nord dell’alpe, lungo il contrafforte che scende dall’Hohes Licht dopo abbassatosi a formare la depressione del Colle della Salzia.

      Entrambi i laghi sono permanenti e non mostrano nelle rive traccie di grandi oscillazioni di livello. Non sono alimentati dalla neve e giacciono entro a depressioni rocciose circondate, quello Salzia da balze dirupate di roccie sconnesse e disgregate, quello Gabiet da una distesa di pascoli interrotta verso ovest dalla parete del Rothhorn, formato da banchi di rupi rossigne, che per l’azione atmosferica si frantumano in scheggie.

      Non si scorgono correnti di acqua che alimentino il lago Salzia, nè potrebbero esistere per la sua posizione; bisogna dunque ammettere che esso riceva il tributo di polle o scaturigini profonde.

      Il lago Gabiet invece riceve un torrentello che esce dall’estremità opposta precipitando in cascata nel vallone di Netscio.

      Entrambi questi laghetti hanno acque assolutamente limpide e incolore, il che non avviene per i laghi che ricevono acque di neve filtrate per strati di poca potenza. In questo caso, l’acqua suole assumere una tinta d’azzurro di cobalto, dovuta alle minutissime particelle di materia sospesa: se ne ha esempio nella stessa regione, in un piccolo stagno che è ai piedi della grande cascata di detriti frananti dalle scoscese punte che fiancheggiano il Colle d’Olen; un altro esempio ancora più caratteristico è quello del così detto Lago Azzurro, che è ai piedi della morena laterale destra del ghiacciaio di Ventina sopra Fiery; lago che è segnato sulla carta dello Stato Maggiore. Il fondo di questi laghi azzurri è sempre costituito di limo finissimo, impalpabile, quasi vischioso, bianchiccio, il quale riveste tutto quanto è sott’acqua; le rive dove l’acqua si è ritirata mostrano una zona bianca e polverulenta, fessurata per il calore del sole che la sta essiccando. Non così nei laghi ad acqua incolora, nei quali traspare la tinta naturale del fondo.

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<p>6</p>

Debbo anche un ringraziamento alla Ditta Narizzano la quale ci regalò una quantità di scatole delle sue conserve alimentari veramente eccellenti e raccomandabili agli alpinisti per la loro ottima confezione. Anche il sig. dott. Robecchi ci spedì da Strevi una cassetta dei suoi rinomati vini e vermuth, che furono uno dei lussi maggiori della nostra modesta spedizione.

<p>7</p>

Vedi “Boll. C. A. I.„ vol. XXIII (n. 57) p. 313.

<p>8</p>

Forse si potrebbe utilmente sostituire la traversa inferiore cui si attacca il gancio in ferro per uncinare la correggia di cuoio, con una leggera sbarra di ferro, foderata di cuoio o di stoffa per addolcire gli spigoli. Colla traversa in legno attuale accade che nelle scosse inevitabili della discesa, allorchè la portantina è carica, si fenda il legno in corrispondenza delle viti che fissano gli uncini in ferro.

<p>9</p>

Nella carta dell’I. G. M., foglio 29, alla scala 1:50,000 al lago Salzia è assegnata l’altezza di 2270 metri; ciò è evidentemente un errore materiale di scrittura; l’altezza deve essere invece di m. 2670, come risulta anche dalle curve di livello. Nella stessa carta il sentiero del Colle d’Olen dal versante ovest è tracciato nel "Thalweg" mentre esso fa un largo giro per portarsi in alto sulle balze che scendono dal Corno del Camoscio verso il piano d’Indren, e poi giunge al colle tenendosi sempre a mezza costa.

E poichè sono su questo argomento debbo pure fare notare altre imperfezioni della carta sul versante di Gressoney: i due ghiacciai che coprono il fianco meridionale della Piramide Vincent, cioè quello di Garstelet a sinistra e quello di Indren a destra, non hanno nome sulla carta; il bel piano dove le acque del torrente che scende da questi ghiacciai indugiano in meandri fioriti, è chiamato piano di Zindra, mentre il nome suo è di Indren, come quello del ghiacciajo soprastante; il torrente stesso, come è detto più sopra, si chiama Indren e non Mos. La carta poi, benchè abbia una quota e l’indicazione di una morena al posto in cui sorge la capanna Gnifetti, non registra questo frequentatissimo ricovero, come non registra più in alto l’importantissimo Passo del Lys o Lysjoch. Eppure altri passi del Rosa meno importanti e meno frequentati, come p. es., lo Schwarzthor, il Verra Pass, il Felikjoch e lo stesso Passo della Sesia, sconsigliabile sempre se non ai pochissimi ardimentosi e in circostanze eccezionalmente favorevoli, sono tutti segnati, come lo è pure il canale Marinelli e il Jägernetzen che hanno una importanza esclusivamente alpinistica. Di siffatte disuguaglianze ed omissioni ho potuto constatare altri esempi. Uno di essi è di maggior rilievo: sulla strada d’accesso al Gran S. Bernardo, non è indicata la cantina che è a mezza via tra St.-Rhémy e l’Ospizio. La carta dell’1:100.000 pubblicata dal Ministero degli Interni di Francia (foglio XXVI-25, Chamonix) che si vende a basso prezzo ed è di una grande chiarezza per le sue diverse tinte, porta questa indicazione, la cui importanza è evidente.