Il ritorno dell’Agente Zero . Джек Марс

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il ritorno dell’Agente Zero - Джек Марс страница 14

Il ritorno dell’Agente Zero  - Джек Марс Uno spy thriller della serie Agente Zero

Скачать книгу

gli avesse provocato una breve emicrania. Ancora più disturbante, tuttavia, fu la strana sensazione che lo colse mentre il mal di testa gli passava. Era come… desiderio. No, era più di quello, sembrava passione, rinforzata dall’eccitazione e persino dal pericolo.

      Non riuscì a evitare di chiedersi chi fosse la donna, ma poi si riscosse. Non voleva provocarsi un altro mal di testa. Invece appoggiò di nuovo la penna sul tovagliolo, per scrivere l’ultimo nome: Zero. Era in quella maniera che l’aveva chiamato l’interrogatore iraniano. Ma prima che potesse scriverlo o recitarlo, provò una sensazione bizzarra. Gli si rizzarono tutti i peli del collo.

      Qualcuno lo stava guardando.

      Quando alzò lo sguardo, vide un uomo in piedi all’ingresso del Féline, gli occhi puntati su Reid come un falco che stesse dando la caccia a un topo. Gli si gelò il sangue. Lo stava osservando.

      Era quello l’uomo che doveva incontrare, ne era certo. Lo aveva riconosciuto? Gli uomini arabi non sembravano averlo fatto. Che quello sconosciuto stesse aspettando qualcun altro?

      Appoggiò la penna. Lentamente e senza dare nell’occhio, accartocciò il tovagliolo e lo lasciò cadere nella tazzina di caffè mezza piena.

      L’uomo annuì una volta. Lui annuì in risposta.

      Poi lo sconosciuto portò una mano dietro la schiena, per prendere qualcosa infilato nel retro dei pantaloni.

      CAPITOLO CINQUE

      Reid si alzò con tanta forza che la sedia quasi cadde all’indietro. Immediatamente la mano gli andò al calcio ruvido della Beretta, riscaldato dalla sua schiena. La sua mente gli stava gridando freneticamente: Questo è un luogo pubblico. Ci sono delle persone qui. Non ho mai usato una pistola.

      Prima che Reid potesse estrarre l’arma, lo sconosciuto prese un portafoglio dalla tasca dietro i pantaloni. Gli sorrise, apparentemente divertito dal suo nervosismo. Nessun altro nel bar pareva averlo notato, a parte la cameriera con i capelli arruffati, che si era limitata a sollevare un sopracciglio.

      Lo sconosciuto si avvicinò al bancone, allungò una banconota e borbottò qualcosa al barista. Poi si diresse al tavolo di Reid. Rimase fermo in piedi dietro la sedia libera per un lungo momento, un ghigno sulle labbra.

      Era giovane, doveva aver massimo trent’anni, con capelli tagliati corti e l’accenno di una barba. Era magro e la sua faccia era scavata, tanto che gli zigomi alti e il mento sporgente lo facevano sembrare una caricatura. Il dettaglio più disarmante erano gli occhiali dalla montatura nera che portava, che davano l’impressione che Buddy Holly fosse cresciuto negli anni ’80 e avesse scoperto la cocaina.

      Era destrorso, si vedeva; teneva il gomito sinistro vicino al corpo, che probabilmente significava che aveva una pistola nella fondina da spalla che gli pendeva sotto l’ascella, per poterla estrarre con la destra se ne avesse avuto bisogno. Con la mano sinistra teneva ferma la giacca di velluto nero per nascondere l’arma.

      “Mogu sjediti?” chiese alla fine l’uomo.

      Mogu…? Reid non lo capì subito, come era stato invece per l’arabo e il francese. Non era russo, ma ci andava tanto vicino da poter intuire il significato aiutandosi con il contesto. L’uomo stava chiedendo se poteva sedersi.

      Gli indicò la sedia libera davanti a sé e l’uomo si accomodò, tenendo sempre il gomito sinistro attaccato al corpo.

      Non appena fu seduto, la cameriera gli portò un bicchiere di birra scura e l’appoggiò davanti a lui. “Merci,” disse. Sorrise a Reid. “Non parli il serbo?”

      Reid scosse la testa. “No.” Serbo? Aveva dato per scontato che l’uomo con cui si sarebbe incontrato sarebbe stato arabo, come i suoi rapitori e l’interrogatore.

      “In inglese, allora? Ou francais?”

      “A tua scelta.” Reid era sorpreso da quanto sembrasse calma e rilassata la sua voce. Il cuore gli stava per esplodere dal petto per la paura e… e se doveva essere sincero, anche per un tocco di eccitazione nervosa.

      Il sorriso dell’uomo serbo si allargò. “Mi piace questo posto. È buio. È tranquillo. È l’unico bar che conosco in questo arrondissement che serve la Franziskaner. È la mia preferita.” Prese una lunga sorsata dal bicchiere, con gli occhi chiusi, e gli sfuggì un grugnito di piacere. “Que deliciosa.” Aprì gli occhi e aggiunse: “Non sei quello che mi aspettavo.”

      Un’ondata di panico si alzò nel ventre di Reid. Lo sa, gli gridò la sua mente. Lo sa che non sei tu quello con cui si sarebbe dovuto incontrare, e ha una pistola.

      Rilassati, disse l’altra voce, quella nuova. Sai quello che devi fare.

      Reid deglutì, ma in qualche modo riuscì a mantenere un contegno sdegnoso. “Neanche tu,” rispose.

      Il serbo ridacchiò. “Mi sembra giusto. Ma siamo tanti, sì? E tu… tu sei americano?”

      “Espatriato,” replicò Reid.

      “Non lo siamo tutti?” Un’altra risatina. “Prima di te ho incontrato solo un altro americano nel nostro, uhm… quale è la parola… conglomerato? Sì. Quindi per me non è così strano.” L’uomo gli fece un occhiolino.

      Reid si tese. Non riusciva a capire se era una battuta o meno. E se avesse capito che era l’uomo sbagliato e lo stava solo prendendo in giro o guadagnando tempo? Si appoggiò le mani in grembo per nascondere le dita tremanti.

      “Mi puoi chiamare Yuri. Come posso chiamare te?”

      “Ben.” Era il primo nome che gli era venuto in mente, quello di un mentore dei tempi in cui era assistente.

      “Ben. Come sei arrivato a lavorare per gli iraniani?”

      “Con,” lo corresse Reid. Strinse gli occhi per un maggiore effetto. “Io lavoro con loro.”

      L’uomo, Yuri, prese un altro sorso della sua birra. “Certo. Con. Come è successo? Nonostante i nostri interessi comuni, tendono a essere un… ah, un gruppo chiuso.”

      “Sono affidabile,” rispose Reid senza battere ciglio. Non aveva idea da dove venissero quelle parole, né la convinzione con cui le pronunciava. Le disse come se le avesse provate e riprovate.

      “E dove è Amad?” chiese casualmente Yuri.

      “Non è potuto venire,” rispose calmo Reid. “Ti manda i suoi saluti.”

      “Va bene, Ben. Hai detto che la missione ha avuto successo.”

      “Sì.”

      Yuri si tese in avanti, socchiudendo gli occhi. Reid sentiva l’odore del malto nel suo fiato. “Ho bisogno di sentirtelo dire, Ben. Dimmi, l’uomo della CIA è morto?”

      Reid si paralizzò per un istante. CIA? Cioè, la CIA? All’improvviso tutti i discorsi su agenti in campo e le visioni di terroristi catturati in aeroporti e in albergo acquistarono un senso, anche se la situazione generale rimaneva nebulosa. Poi si riscosse e sperò di non aver lasciato trasparire niente che lo avesse tradito.

      Anche lui si sporse in avanti e disse lentamente: “Sì, Yuri, l’uomo della CIA è morto.”

      Yuri si appoggiò allo schienale della sedia

Скачать книгу