Il ritorno dell’Agente Zero . Джек Марс
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Читать онлайн книгу Il ritorno dell’Agente Zero - Джек Марс страница 15
“L’ubicazione di Mustafar?” chiese Yuri. “E tutto quello che gli ha detto?”
Reid annuì.
Yuri batté le palpebre ripetutamente, in attesa. “Sto aspettando.”
Un’idea si fece largo nella mente di Reid, mentre metteva insieme le poche conoscenze che aveva. La CIA era coinvolta. C’era un qualche piano che avrebbe potuto uccidere molte persone. Lo sceicco lo sapeva, e aveva detto a loro, a lui, tutto quanto. Quegli uomini volevano sapere che cosa aveva detto lo sceicco. Ecco a cosa era interessato Yuri. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere una grossa faccenda e Reid ci era finito in mezzo… anche se aveva la sensazione che non fosse la prima volta che capitava.
Non disse nulla per un lungo momento, abbastanza lungo perché il sorriso di Yuri evaporasse in una smorfia a denti stretti. “Io non ti conosco,” disse poi Reid. “Non so chi rappresenti. Ti aspetti che ti dica tutto quello che so e poi me ne vada via, fidandomi che vada tutto per il verso giusto?”
“Sì,” rispose Yuri. “È esattamente quello che mi aspetto, e precisamente la ragione di questo incontro.”
Reid scosse la testa. “No. Vedi, Yuri, sto pensando che questa informazione è troppo importante per giocare al telefono senza fili e sperare che arrivi alle orecchie giuste e nel modo giusto. Inoltre per quel che mi riguarda, c’è solo un posto in cui esiste, vale a dire proprio qui.” Si toccò la tempia sinistra. Era vero, le informazioni che stavano cercando erano, presumibilmente da qualche parte in fondo alla sua mente, in attesa di essere sbloccate. “Sto anche pensando,” continuò, “che ora che ho questa informazione, i nostri piani cambieranno. Mi sono stancato di fare il messaggero. Voglio entrarci. Voglio un vero ruolo.”
Yuri si limitò a fissarlo. Poi scoppiò in una risata secca e rumorosa, colpendo allo stesso tempo il tavolo con tanta forza da far sobbalzare gli altri clienti. “Tu!” esclamò, agitando un dito. “Sarai anche un espatriato, ma hai ancora l’ambizione americana!” Rise di nuovo, un verso che ricordava da vicino quello di un asino. “Che cosa è che vuoi sapere, Ben?”
“Iniziamo con chi rappresenti tu in questa storia?”
“Come fai a sapere che rappresento qualcuno? Per quel che ne sai tu, potrei essere io il capo. La mente dietro il piano criminale!” Sollevò entrambe le mani in un gesto plateale e rise di nuovo.
Reid sogghignò. “Non credo. Penso che tu sia nella mia stessa situazione, un messaggero, portatore di segreti, che si incontra per scambiare notizie in bar di quart’ordine.” Tattica di interrogatorio: mettiti al loro stesso livello. Yuri era chiaramente un poliglotta e non sembrava avere lo stesso atteggiamento temprato dei suoi rapitori. Ma anche se era di basso livello, sapeva più di Reid. “Che ne dici di fare un patto? Tu mi dici quello che sai, e io di dico quello che so.” Abbassò la voce in un sussurro. “E credimi, le mie informazioni ti interessano.”
Yuri si accarezzò il mento ruvido pensieroso. “Mi piaci, Ben. Che è, come si dice, uhm, un contrasto, perché di solito gli americani mi danno la nausea.” Sorrise. “Purtroppo per te, non posso dirti quello che non so.”
“Allora indicami chi può farlo.” Le parole uscirono dalla sua bocca senza neanche passare per il cervello, direttamente dalla gola. La parte più logica di Reid (o più appropriatamente, la parte Lawson di lui) gridò in protesta. Che cosa stai facendo?! Fatti dire quello che sa ed esci da qui!
“Vorresti venire a fare un giro in auto con me?” Gli occhi di Yuri lampeggiarono. “Ti porterò a vedere il mio capo. Lì potrai dirgli quello che sai.”
Reid esitò. Sapeva che non avrebbe dovuto. Sapeva che non voleva farlo. Ma c’era quel bizzarro senso di obbligo, e quella volontà ferrea in fondo alla sua mente che continuava a dirgli: Rilassati. Aveva una pistola. Aveva le competenze. Era arrivato fino a quel punto e a giudicare da quello che aveva imparato, si trattava di un affare più grosso di qualche uomo iraniano in uno scantinato di Parigi. C’era un piano, il coinvolgimento della CIA, ed era ovvio che lo scopo finale era la morte di molte persone.
Annuì seccamente, a denti stretti.
“Fantastico,” Yuri scolò il suo bicchiere e si alzò, continuando a tenere il gomito sinistro contro il corpo. “Au revoir.” Fece un cenno di saluto al barista. Poi il serbo lo guidò fino al retro del Féline, attraverso una piccola cucina lurida, e fuori da una porta d’acciaio che dava su un vicolo tutto in ciottoli.
Reid lo seguì nella notte, sorpreso che fuori si fosse fatto tanto buio mentre era nel bar. All’imbocco del vicolo c’era un SUV nero, in sosta, con i finestrini scuri quanto la sua vernice. La porta sul retro si aprì prima ancora che Yuri lo raggiungesse, e ne uscirono due scagnozzi. Reid non avrebbe saputo come altro definirli; entrambi avevano le spalle larghe, un’aria imponente e non facevano nulla per nascondere le pistole automatiche TEC-9 che pendevano dalle fondine sotto le loro ascelle.
“Calmatevi, amici miei,” intervenne Yuri. “Questo è Ben. Lo portiamo a vedere Otets.”
Otets. In russo il “padre”. O, a livello più tecnico, il “creatore”.
“Vieni,” gli disse amichevolmente Yuri. Batté una mano sulla spalla di Reid. “Sarà un viaggio piacevole. Beviamo un po’ di champagne. Vieni.”
Le gambe di Reid non volevano funzionare. Era pericoloso, troppo pericoloso. Se fosse salito in auto con quegli uomini e loro avessero scoperto chi era, o anche che non era chi aveva detto di essere, sarebbe stato un uomo morto. Le sue figlie sarebbero rimaste orfane, e probabilmente non avrebbero mai saputo che ne era stato di lui.
Ma che altra scelta aveva? Non poteva dire che aveva cambiato idea all’improvviso, sarebbe stato sospetto. Aveva già superato il punto di non ritorno seguendo Yuri fino a lì. E se avesse saputo mantenere la finzione abbastanza a lungo, avrebbe trovato la fonte e magari anche scoperto che cosa stava succedendo nella sua stessa testa.
Fece un passo verso il SUV.
“Ah! Un momento, por favor.” Yuri agitò un dito verso la sua muscolosa scorta. Uno dei due gorilla costrinse Reid a sollevare le braccia sui fianchi, mentre l’altro lo perquisiva. Prima trovò la Beretta, infilata dietro i pantaloni. Poi infilò due dita nelle sue tasche e ne estrasse la mazzetta di euro e il telefono usa e getta, per tenderli verso Yuri.
“Questi puoi tenerli.” Il serbo gli restituì il denaro. “Questi invece, li teniamo noi. Sicurezza. Tu capisci.” Yuri fece svanire cellulare e pistola in una tasca interna della giacca di velluto, e per un brevissimo istante Reid vide il calcio marrone di un’arma.
“Capisco,” rispose. Così era disarmato e senza alcun modo di chiamare aiuto se gli fosse servito. Dovrei scappare, pensò. Iniziare a correre senza guardarmi indietro…
Uno dei due scagnozzi lo costrinse a chinare la testa e ad avanzare nel retro del SUV. Entrambi salirono dopo di lui e Yuri li seguì, chiudendosi la portiera alle spalle. Si sedette accanto a Reid, mentre i gorilla incurvati, praticamente spalla contro spalla, sedevano nei sedili custom rivolti verso di loro, proprio dietro l’autista. Un vetro tinto di nero li separava da sedili davanti dell’auto.
Uno dei due bussò sul vetro dell’autista con due nocche. “Otets,” disse bruscamente.
Un secco click segnalò la chiusura delle portiere, e con esso arrivò