Il ritorno dell’Agente Zero . Джек Марс

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Il ritorno dell’Agente Zero - Джек Марс страница 20

Il ritorno dell’Agente Zero  - Джек Марс Uno spy thriller della serie Agente Zero

Скачать книгу

Reid dietro di lui con le mani infilate nelle tasche della giacca. Aveva i palmi sudati, ognuno stretto attorno a una pistola. Il russo si fermò e si lanciò una rapida occhiata dietro la spalla, senza guardare veramente Reid. “Gli iraniani. Sono morti?”

      “Quattro di loro,” rispose lui. Il fracasso dei macchinari quasi soffocò la sua voce.

      Otets schioccò la lingua. “Peccato. Ma d’altra parte… significa che non mi sbaglio. Non hai piste, nessun’altro da cui andare. Ti servo.”

      Stava scoprendo il bluff di Reid. Il panico gli salì nel petto. L’altra parte, la parte che era Kent, lottò contro di esso, come costringendolo a deglutire una pillola a secco. “Ho tutto quello che lo sceicco ci ha detto…”

      Otets ridacchiò. “Lo sceicco, già. Ma ti sarai già accorto che Mustafar sapeva molto poco. Era solo un conto in banca, agente. Era un debole. Credevi che gli avremmo detto i nostri piani? E se fosse così, perché allora saresti venuto fin qui?”

      La fronte di Reid si coprì di sudore. Era andato lì nella speranza di trovare delle risposte, non solo su questo fantomatico piano ma anche su chi fosse lui stessi. Aveva trovato molto più di quanto avrebbe voluto. “Muoviti,” ordinò di nuovo. “Verso la porta, lentamente.”

      Otets scese dalle scale, muovendosi piano, ma non si incamminò verso la porta. Invece fece un passo verso il laboratorio, e i suoi uomini.

      “Che cosa stai facendo?” volle sapere Reid.

      “Fammi vedere le tue carte, agente Zero. Se mi sbaglio, allora mi sparerai.” Sorrise e fece un altro passo.

      Due degli operai alzarono lo sguardo. Dalla loro prospettiva, sembrava che Otets stesse semplicemente parlando con uno sconosciuto, forse un socio d’affari o un rappresentante di un’altra fazione. Nessun motivo per allarmarsi.

      Il panico salì di nuovo nel petto di Reid. Non voleva lasciare andare le pistole. Otets era a soli due passi di distanza, ma Reid non poteva afferrarlo e spingerlo verso la porta, non senza allertare i sei uomini. Non poteva rischiare di sparare in una stanza piena di esplosivi.

      “Do svidaniya, agente.” Otets sorrise. Senza togliere gli occhi di dosso a Reid gridò in inglese: “Sparate a quest’uomo!”

      Due lavoratori alzarono lo sguardo, guardandosi tra di loro e Otets in preda alla confusione. Reid ebbe l’impressione che fossero semplicemente operai, non soldati o guardie del corpo come il paio di scagnozzi morti al piano di sopra.

      “Idioti!” ruggì Otets sopra al rumore dei macchinari. “Quest’uomo è della CIA! Sparategli!”

      Quello attirò la loro attenzione. I due uomini al tavolo della melamina si alzarono rapidamente e misero mano alle fondine da spalla. L’uomo africano alla pressa pneumatica si abbassò per prendere un AK-47 ai suoi piedi.

      Non appena si mossero, Reid saltò in avanti, tirando allo stesso tempo le mani, ed entrambe le pistole, fuori dalle tasche. Fece girare Otets per una spalla e sollevò la Beretta alla tempio sinistra del russo, per poi puntarla verso l’uomo con l’AK, stringendo a sé il capo.

      “Non sarebbe molto saggio,” disse ad alta voce. “Sai che cosa potrebbe succedere se iniziassimo a sparare qui.”

      La vista di una pistola alla tempia del loro capo spinse tutti gli altri uomini in azione. Aveva avuto ragione: erano tutti ben armati e ora aveva sei pistole puntate su di lui con solo Otets a frapporsi tra di loro. L’uomo con l’AK i mano guardò nervosamente verso i suoi compagni. Un sottile rivolo di sudore gli scivolò sul lato della fronte.

      Reid fece un piccolo passo indietro, attirando Otets con sé con una spinta della Beretta. “Bravo, tranquillo,” disse a bassa voce. “Se iniziano a sparare qui, tutto il posto potrebbe saltare per aria. E non credo che tu voglia morire oggi.”

      Otets strinse i denti e mormorò un’imprecazione in russo.

      Poco alla volta indietreggiarono, un minuscolo passo alla volta, verso le porte dell’impianto. Il cuore di Reid minacciava di esplodergli fuori dal petto. I suoi muscoli si tesero nervosamente, e poi si distesero mentre l’altra parte di lui lo costrinse a rilassarsi. Rilassa le membra. I muscoli tesi rallenterebbero le tue reazioni.

      Per ogni minuscolo passo che lui e Otets facevano all’indietro, i sei uomini ne facevano uno avanti, mantenendo la stessa breve distanza tra di loro. Stavano aspettando un’opportunità, e più si allontanavano dalle macchine e meno era probabile che innescassero inavvertitamente una reazione. Reid sapeva che era solo la possibilità di uccidere accidentalmente Otets che gli impediva di sparare. Nessuno parlava, ma le macchine ronzavano dietro di loro. La tensione nell’aria era palpabile, elettrica; era consapevole che in qualsiasi momento qualcuno avrebbe potuto farsi prendere dai nervi e cominciare a far fuoco.

      Poi la sua schiena si appoggiò alle doppie porte. Un altro passo e le aprì, attirando Otets con sé con una spinta della canna della pistola.

      Prima che le porte si chiudessero di nuovo, Otets ringhiò ai suoi uomini: “Non deve uscire vivo di qui!”

      Poi si richiusero, e i due uomini si ritrovarono nella sala successiva, quella adibita alla vinificazione, piena del tintinnio delle bottiglie e del dolce profumo dell’uva. Non appena l’ebbero attraversata, Reid si girò con la Glock puntata a livello di un torso umano, continuando a puntare la Beretta su Otets.

      Le macchina per l’imbottigliamento e la chiusura erano attive, ma era quasi tutto automatizzato. L’unica persona presente in tutta la stanza era una donna russa dall’aria stanca che indossava un foulard verde legato attorno alla testa. Alla vista delle pistole, Reid e Otets, i suoi occhi affaticati si sgranarono per il terrore e gettò in aria entrambe le mani.

      “Spegnile,” disse Reid in russo. “Mi hai capito?”

      Lei annuì vigorosamente e sollevò due leve sul pannello di controllo. Le macchine ronzarono e poco alla volta si fermarono.

      “Vai,” le disse. La donna deglutì e indietreggiò verso l’uscita. “In fretta!” gridò secco lui. “Via di qui!”

      “Da,” mormorò lei. Corse verso la pesante porta d’acciaio, la aprì e svanì nella notte al di fuori. La porta si richiuse con un boato.

      “E ora, agente?” grugnì Otets in inglese. “Quale è il tuo piano di fuga?”

      “Stai zitto.” Reid sollevò la pistola alle doppie porte che davano sull’altra stanza. Perché gli uomini non erano entrati? Non poteva continuare a muoversi senza sapere dove fossero. Se ci fosse stata una porta sul retro nell’impianto, avrebbero potuto essere già fuori ad aspettarlo. Se lo avessero seguito, non sarebbe mai riuscito a mettere Otets sul SUV e ad andarsene senza farsi ammazzare. Lì dentro non c’era la minaccia degli esplosivi, avrebbero potuto sparargli se lo avessero voluto. Avrebbero rischiato di colpire Otets per arrivare a lui? Nervi scossi e una pistola non erano una combinazione ideale per nessuno, nemmeno per il loro capo.

      Prima che potesse decidere il da farsi, le potenti luci fluorescenti sopra la sua testa si spensero. In un istante finirono immersi nell’oscurità.

      CAPITOLO OTTO

      Reid non vedeva niente. Non c’erano finestre nell’impianto. I lavoratori nella stanza vicina dovevano aver staccato i contatori perché persino i rumori dei macchinari rallentarono fino a spegnersi.

      Raggiunse rapidamente Otets al buio e afferrò

Скачать книгу