Concessione D’armi . Морган Райс

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Concessione D’armi  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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gridò con voce tonante. “So che non mi considerate un comandante provetto, come Kendrick, Erec o Srog. Ed è vero, non possiedo le loro abilità. Ma ho cuore, almeno all’occorrenza. E anche voi. Quello di cui sono certo è che quelli sono nostri fratelli, fatti prigionieri. E io stesso preferisco fare a meno di vivere, che rimanere a guardare mentre li portano via davanti ai nostri occhi per poi tornare a casa come cani, alle nostre città, aspettando che l’Impero venga a uccidere anche noi. Siatene certi: un giorno ci uccideranno.  Ora possiamo morire tutti, sui nostri piedi, combattendo, attaccando il nemico da uomini liberi. Oppure possiamo morire in vergogna e disonore. A voi la scelta. Venite con me e, vivi o no, andrete verso gloria certa!”

      Si levò tra i suoi uomini un grido, talmente entusiasta da sorprendere Godfrey. Sollevarono tutti le spade in aria e questo gli diede maggiore coraggio.

      E gli fece anche capire la verità di ciò che aveva appena detto. Non aveva realmente pensato alle parole che pronunciava: era semplicemente stato trascinato dal momento. Ora si rendeva conto che aveva preso un impegno e se ne sentiva un poco scioccato. Il suo coraggio intimidiva lui stesso.

      Mentre gli uomini erano ormai incontenibili sui loro cavalli, sistemavano le armi e si preparavano per l’ultimo attacco, Akorth e Fulton gli si avvicinarono.

      “Un goccio?” chiese Akorth.

      Godfrey abbassò lo sguardo e lo vide allungare un otre di vino. Glielo strappò dalle mani, gettò la testa indietro e bevve a grosse sorsate, fino quasi a svuotarlo interamente, senza quasi fermarsi per prendere fiato. Alla fine Godfrey si asciugò la bocca con il dorso della mano e porse nuovamente l’otre all’amico.

      Cos’ho mai fatto? Si chiese. Si era impegnato, e con sé aveva vincolato gli altri, in una battaglia che non poteva vincere. Aveva pensato la cosa giusta?

      “Non pensavo che avessi tanto fegato,” gli disse Akorth, dandogli una forte pacca sulla schiena e ruttando. “Bel discorso. Meglio che a teatro!”

      “Avremmo dovuto chiedere il biglietto!” si intromise Fulton.

      “Sono convinto che non ti sbagli,” disse Akorth. “Meglio morire in piedi che sulla schiena.”

      “Anche se sulla schiena non sarebbe poi così male, se fosse nel letto di un bordello,” aggiunse Fulton.

      “Ben detto!” disse Fulton. “Oppure che ne direste di morire con un boccale di birra in mano e la testa reclinata indietro?”

      “Anche questa non sarebbe male,” disse Akorth, bevendo.

      “Ma dopo un po’ credo che diventerebbe tutto noioso,” disse Fulton. “Quanti boccali può bere un uomo e quante donne può portarsi a letto?”

      “Beh, un sacco se ci pensi bene,” disse Akorth.

      “Ma nonostante tutto penso possa essere più divertente morire in un modo diverso. Non così noioso.”

      Akorth sospirò.

      “Bene, se sopravviveremo a tutto questo, almeno avremo un motivo per farci veramente una bella bevuta. Per una volta nella nostra vita, potremo dire di essercela guadagnata.”

      Godfrey si voltò da un’altra parte, cercando di non dare retta al continuo chiacchiericcio di Akorth e Fulton. Aveva bisogno di concentrarsi. Era giunto il tempo per lui di diventare un uomo, di lasciarsi alle spalle astuti scambi di battute e scherzi da taverna. Era arrivato il momento di prendere decisioni reali, che avessero effetto su uomini reali in  un mondo reale. Si sentiva una certa pesantezza addosso e non poteva fare a meno di chiedersi se anche suo padre si fosse sentito così. In qualche strano modo, anche se odiava quell’uomo, stava iniziando a provare una certa empatia con lui. E forse addirittura, con suo orrore, stava cominciando ad assomigliargli.

      Dimenticando il pericolo davanti a lui, Godfrey venne sopraffatto da un impeto di sicurezza. Improvvisamente spronò il cavallo e con un grido di guerra si lanciò al galoppo verso la valle.

      Dietro di lui si levò il grido di battaglia di migliaia di uomini e i passi dei loro cavalli gli riempirono le orecchie mentre lo seguivano.

      Godfrey già si sentiva la testa leggera, il vento tra i capelli, il vino che gli dava alla testa mentre galoppava incontro a morte sicura, chiedendosi in cosa diavolo si fosse invischiato.

      CAPITOLO CINQUE

      Thor era in sella al suo cavallo, suo padre da una parte e McCloud dall’altra, Rafi poco più in là. Dietro di loro sedevano decine di migliaia di soldati dell’Impero, la divisione principale dell’esercito di Andronico, tutti disciplinati e pazienti in attesa di un ordine da parte di Andronico. Si trovavano tutti in cima a un crinale e guardavano verso l’Altopiano, con le sue vette ricoperte di neve. In cima all’Altopiano si trovava la città di McCloud – Highlandia – e Thor si irrigidì vedendo migliaia di uomini che uscivano dalle mura dirigendosi verso di loro, pronti alla battaglia.

      Non erano uomini di MacGil e neppure dell’Impero. Indossavano un’armatura che Thor riconobbe a malapena, ma mentre stringeva la presa sull’elsa della sua nuova spada, non si sentiva perfettamente sicuro di chi fossero o del perché stessero attaccando.

      “Uomini dei McCloud. I miei soldati di un tempo,” spiegò McCloud ad Andronico. “Tutti ottimi guerrieri. Tutti uomini che un tempo ho allenato e con i quali ho combattuto.”

      “Ma ora ti si sono rivoltati contro,” osservò Andronico. “Si stanno lanciando alla carica per scontrarsi con te in battaglia.”

      McCloud si accigliò. Senza un occhio e con metà del volto marchiato con il sigillo dell’Impero, aveva un aspetto grottesco.

      “Mi spiace, mio signore,” disse. “Non è colpa mia. È tutta opera di mio figlio, Bronson. Ha scagliato la mia stessa gente contro di me. Se non fosse per lui, ora sarebbero tutti qui al mio fianco per sostenere la tua grandiosa causa.”

      “Non dipende da tuo figlio,” lo corresse Andronico, la voce tagliente come l’acciaio, voltandosi verso di lui. “È perché sei un comandante debole e un padre ancora più debole. Il fallimento in tuo figlio è il tuo fallimento. Avrei dovuto sapere che saresti stato incapace di controllare i tuoi stessi uomini. Avrei dovuto ucciderti molto tempo fa.”

      McCloud deglutì, nervoso.

      “Mio signore, devi anche considerare che non stanno combattendo solo contro di me, ma anche contro di te. Vogliono sbarazzarsi dell’Impero e liberare l’Anello.”

      Andronico scosse la testa, portando una mano alla sua collana di teste mozzate.

      “Ma ora tu sei dalla mia parte,” disse. “Quindi combattere contro di me significa anche combattere contro di te.”

      McCloud sguainò la spada, guardando con sguardo torvo l’esercito che si avvicinava.

      “Andrò a combattere e uccidere ogni singolo uomo del mio precedente esercito,” dichiarò.

      “So che lo farai,” disse Andronico. “Se così non fosse, ti ucciderei con le mie stesse mani. Non che abbia bisogno del tuo aiuto. I miei uomini possono creare ben più danni di quanti tu possa mai neanche sognarne, soprattutto se guidati dal mio stesso figlio, Thornico.”

      Thor sedeva a cavallo e sentiva vagamente la conversazione tra i due, a tratti non ascoltandola per niente. Era come intontito. La sua mente brulicava di pensieri sconosciuti

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