Un Cielo Di Incantesimi . Морган Райс

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Un Cielo Di Incantesimi  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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tanto a me? Io non ti darei la metà delle attenzioni.”

      “Sono il capo ora, il che ti rende una mia responsabilità,” rispose Reece. “Non mi interessa per te. Mi interessa dell’onore. E il mio onore mi ordina di non lasciarmi nessuno alle spalle.”

      Si voltarono entrambi mentre il primo Cerbito li raggiungeva. Reece fece un passo avanti, accanto a Krog, ed entrambi colpirono con le loro spade uccidendone numerosi.

      “Andiamo insieme!” gridò Reece.

      Senza sprecare altro tempo Reece afferrò Krog, lo cinse attorno alle spalle, prese la fune e insieme lanciarono un urlo mentre si lanciavano in aria un attimo prima che i Cerbiti invadessero la costa.

      I due sfrecciarono in aria volando verso la riva opposta.

      “Aiuto!” gridò Krog.

      Stava scivolando dalla presa delle spalle di Reece e si aggrappò alla liana, che però ora era umida per gli spruzzi delle rapide. Le mani di Krog scivolarono sulla fune e lui scese verso il basso. Reece si allungò per afferrarlo, ma accadde tutto troppo velocemente. Il cuore gli balzò in gola quando dovette guardare Krog che cadeva, sfuggendo dalla sua presa e finendo nell’acqua gorgogliante.

      Reece atterrò sulla sponda opposta e cadde al suolo. Rotolò rimettendosi subito in piedi, pronto a gettarsi in acqua, ma prima che potesse reagire Conven scattò e si buttò di testa nella furia delle acque.

      Reece e gli altri rimasero a guardare trattenendo il fiato. Conven era coraggioso fino a quel punto, si chiese Reece? O era solo spinto da un istinto suicida?

      Conven nuotò coraggiosamente nel mezzo delle correnti tumultuose. Raggiunse Krog riuscendo in qualche modo ad evitare i morsi delle creature e lo afferrò mentre si dimenava, cingendogli le spalle con un braccio e riattraversando l’acqua con lui. Conven nuotò contro corrente, diretto verso la sponda da cui si era tuffato.

      Improvvisamente Krog gridò.

      “LA MIA GAMBA!”

      Krog si contorceva per il dolore mentre un quatterno conficcava i denti nella sua gamba, mordendolo. Si vedevano dalla superficie le sue gialle scaglie. Conven continuò a nuotare fino a che fu vicino alla riva dove Reece e gli altri li aiutarono a trascinarsi fuori dall’acqua. In quel momento un banco di quatterni saltò in aria, ma Reece e i compagni riuscirono a respingerli.

      Krog si dimenava e Reece vide che il quatterno che l’aveva morso era ancora attaccato alla sua gamba. Indra prese il suo pugnale e lo conficcò nella gamba di Krog, tra le sue grida, riuscendo ad estrarre l’animale, che cade al suolo e poi si rituffò in acqua.

      “Ti odio!” le disse Krog furente.

      “Bene,” rispose Indra, per niente scossa.

      Reece guardò Conven che stava lì in piedi, gocciolante d’acqua, provando profondo rispetto per il suo coraggio. Conven lo guardò senza alcuna espressione in volto e Reece si accorse con sgomento che un quatterno gli stava attaccato al braccio e si scuoteva. Reece non poteva credere alla tranquillità e impassibilità di Conven che semplicemente allungò l’altra mano e strappò la creatura dal braccio rigettandola subito in acqua.

      “Non ti ha fatto male?” gli chiese Reece confuso.

      Conven scrollò le spalle.

      Reece era sempre più preoccupato per Conven anche se ammirava il suo coraggio e non poteva credere alla sua assoluta mancanza di paura. Si era tuffato senza alcuna esitazione tra quelle creature feroci, non ci aveva pensato neanche due volte.

      Dalla parte opposta del fiume centinai di Cerbiti erano fermi e li fissavano infuriati sbattendo i denti.

      “Finalmente,” disse O’Connor, “siamo in salvo.”

      Centra scosse la testa.

      “Solo per ora. Quei Cerbiti sono furbi. Conoscono le anse del fiume. Prenderanno la via più lunga, ne seguiranno la corrente e troveranno il passaggio per attraversare. Saranno presto dalla nostra parte. Abbiamo poco tempo. Dobbiamo muoverci.”

      Tutti seguirono Centra che iniziò a correre tra campi di fango ed esplosioni di geyser, facendosi strada nel mezzo di quel paesaggio esotico.

      Continuarono a correre fino a che la nebbia si levò e Reece fu felice di vedere, di fronte a loro, la parete del Canyon con la sua antica pietra scintillante. Sollevò lo sguardo e quei muri di roccia gli apparvero incredibilmente alti. Non aveva idea di come avrebbero fatto a scalare fin lassù.

      Reece rimase fermo con gli altri a guardare con timore. La parete sembrava ancora più imponente ora di quando erano discesi. Si guardò attorno e considerò le loro misere condizioni, chiedendosi ancora una volta se sarebbero stati in grado di arrampicarsi. Erano tutti esausti, ammaccati e feriti, stanchi dopo la battaglia. Avevano mani e piedi spellati. Come avrebbero mai potuto risalire il pendio se era stato talmente difficile anche solo scenderlo?

      “Io non posso salire,” disse Krog, ansimante, con la voce spezzata.

      Reece si sentiva allo stesso modo, ma non disse nulla.

      Erano incastrati in un angolo. Erano scampati ai Cerbiti, ma non per molto ancora. Presto li avrebbero trovati e, trovandosi in minoranza numerica, sarebbero sicuramente stati uccisi. Tutto quel duro lavoro, tutti i loro sforzi, non erano valsi a nulla.

      Reece non voleva morire lì. Non in quel luogo. Se doveva morire voleva che accadesse lassù, nella sua terra, nella sua patria, con Selese al suo fianco. Se solo gli venisse concessa un’altra possibilità di fuga.

      Reece udì un rumore orribile e voltandosi vide i Cerbiti forse a un centinaio di metri da loro. Erano migliaia, avevano già oltrepassato il fiume e si stavano avvicinando.

      Sguainarono tutti le armi.

      “Non abbiamo nessun altro posto dove fuggire,” disse Centra.

      “Allora combatteremo fino alla morte!” gridò Reece.

      “Reece!” si udì una voce.

      Reece sollevò lo sguardo verso la parete del Canyon e mentre la nebbia si diradava vide un volto che inizialmente pensò essere una visione. Non poteva crederci. Lì, di fronte a lui, si trovava la donna a cui aveva appena pensato.

      Selese.

      Cosa ci stava facendo lì? Come ci era arrivata? E chi era l’altra donna che si trovava con lei? Sembrava la guaritrice reale, Illepra.

      Erano entrambe appese lì, sulla parete rocciosa, grazie a una lunga e spessa fune che era legata ai loro polsi e ai loro fianchi. Stavano scendendo velocemente scorrendo lungo un’altra fune spessa e lunga, di facile presa. Selese si allungò e ne lanciò a terra la parte rimanente che cadde di cinquanta metri buoni dall’alto, come la manna dal cielo, atterrando ai piedi di Reece.

      Era la loro via di fuga.

      Non esitarono. Corsero tutti verso la fune e nel giro di pochi istanti già si stavano arrampicando più veloci che potevano. Reece lasciò che tutti gli altri andassero prima di lui, poi saltò per ultimo e iniziò anche lui a risalire ritirandosi dietro la fune man mano che procedeva, così che i Cerbiti non potessero afferrarla.

      Quando lasciò il terreno i Cerbiti apparvero, lo raggiunsero e saltarono verso i suoi piedi, ma lui era ormai fuori dalla loro presa.

      Quando

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