L’ascesa Del Prode . Морган Райс
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Читать онлайн книгу L’ascesa Del Prode - Морган Райс страница 14
Per tutto il porto i suoi uomini seguirono il suo comando e tagliarono le funi che tenevano la flotta legata alla costa. Quando la grossa fune davanti a lui si spezzò, Duncan mise un piede sul ponte e con un forte calcio spinse la nave lontano dalla riva. Sbuffò per lo sforzo e Anvin, Arthfael e decine di altri uomini accorsero unendosi a lui. Tutti insieme spinsero lo scafo incendiato verso il largo.
La nave in fiamme, piena delle grida dei soldati, si spostò inevitabilmente verso le altre navi del porto e quando le raggiunse il fuoco si sparse anche su quelle. Gli uomini balzarono dalle navi a centinaia, gridando e affondando nelle nere acque del mare.
Duncan rimase lì, respirando affannosamente, intento a guardare con occhi accesi l’intero porto che in breve si era acceso nella grandiosa conflagrazione. Migliaia di Pandesiani, ora tutti in piedi, emersero dalle cambuse delle altre navi, ma era troppo tardi. Emersero per trovarsi di fronte un muro di fuoco e con l’unica scelta di essere bruciati vivi o saltare verso l’annegamento nelle acque gelide. Tutti scelsero l’ultima opzione. Duncan guardava mentre il porto si riempiva presto di centinaia di corpi che galleggiavano nell’acqua, gridando nel tentativo di nuotare fino a riva.
“ARCIERI!” gridò Duncan.
Gli arcieri presero la mira e scoccarono una raffica di frecce dopo l’altra, mirando contro i soldati che si dimenavano. Uno alla volta andarono a segno e i Pandesiani affondarono.
Le acque si fecero viscide di sangue e subito si udirono schiocchi di mandibole e grida mentre il mare si riempiva di squali gialli brillanti che banchettavano nel porto insanguinato.
Duncan guardò oltre e lentamente capì cosa aveva fatto: l’intera flotta pandesiana che solo poche ore prima si trovava minacciosa nel porto, segno della conquista di Pandesia, ora non esisteva più. Le sue centinaia di navi erano state distrutte e bruciavano tutte insieme nella vittoria di Duncan. La sua rapidità e l’effetto sorpresa avevano funzionato.
Si udì un forte grido tra i suoi uomini e Duncan si voltò per vederli esultare mentre guardavano le navi incendiate, i volti neri di fuliggine, esausti dopo il viaggio che era durato tutta la notte, ma tutti ubriachi di vittoria. Era un grido di sollievo. Un grido di libertà. Un grido che avevano aspettato per anni di poter liberare.
Ma non avevano fatto a tempo a lanciarlo che un altro grido riempì l’aria – questo molto più minaccioso – seguito da un rumore che fece venire la pelle d’oca a Duncan. Si voltò e il cuore gli sprofondò nel petto vedendo i grandi cancelli delle caserme di pietra che lentamente si aprivano. Subito apparve una veduta spaventosa: migliaia di soldati Pandesiani, completamente armati e in perfetta formazione, un esercito di professionisti, molto più numeroso del suo, si stava preparando. E quando i cancelli furono aperti lanciarono un grido e li attaccarono direttamente.
La bestia era stata svegliata. Ora sarebbe cominciata la vera guerra.
CAPITOLO SEI
Kyra, tenendosi stretta alla criniera di Andor, galoppava nella notte con Dierdre al fianco e Leo ai pedi, tutti lanciati nel mezzo delle pianure piene di neve a ovest di Argos, come ladri che fuggivano nell’oscurità. Mentre procedevano, ora dopo ora, con il suono degli zoccoli dei cavalli che rimbombava nelle orecchie, Kyra si trovò persa nel suo mondo di pensieri. Immaginava cosa potesse trovarsi davanti a lei, nella Torre di Ur, chi potesse essere suo zio, cosa avrebbe potuto dire di lei, di sua madre. Poteva trattenere a stento l’eccitazione, ma doveva anche ammettere che provava paura. Sarebbe stato un lungo viaggio attraversare Escalon, un viaggio che mai aveva fatto prima d’ora. E di fronte a lei incombeva, come poteva vedere, il Bosco di Spine. Le pianure aperte giungevano al termine e presto si sarebbero trovati immersi in un claustrofobico bosco pieno di bestie selvagge. Sapeva che ogni regola sarebbe scomparsa una volta attraversata quella linea di alberi.
La neve le sferzava il volto e il vento ululava nel mezzo delle piane. Kyra, con le mani intorpidite, lasciò cadere la torcia rendendosi conto che si era spenta da tempo. Continuò a galoppare nel buio, persa nei suoi pensieri. L’unico rumore era quello dei cavalli, della neve sotto di loro e del ringhio che di tanto in tanto Andor emetteva. Poteva sentire la sua rabbia, la sua natura indomita, diversa da ogni bestia avesse mai cavalcato prima. Era come se Andor non avesse paura di ciò che avevano davanti, ma sperasse invece apertamente in un confronto.
Avvolta nelle sue pellicce Kyra sentì un’altra ondata di fame e udì Leo piagnucolare di nuovo. Capì quindi che non avrebbe potuto ignorare ancora a lungo il loro bisogno di cibo. Stavano cavalcando da ore e avevano già divorato le loro strisce di carne congelata. Si era resa conto troppo tardi che non si erano portati via provviste a sufficienza. Non c’era selvaggina che comparisse in quella notte nevosa e questo non era di buon auspicio. Avrebbero dovuto fermarsi e trovare presto qualcosa.
Rallentarono e si avvicinarono al limitare del bosco. Leo ringhiava rivolto alla buia riga di alberi. Kyra si guardò alle spalle, osservò la distesa delle pianure di Argos, l’ultimo cielo aperto che avrebbe visto per un po’ di tempo. Si girò di nuovo e guardò il bosco e una parte di lei era riluttante a procedere. Conosceva la reputazione del Bosco di Spine e quello era un momento dal quale non si poteva tornare indietro.
“Sei pronta?” chiese a Dierdre.
Dierdre sembrava essere una ragazza diversa ora rispetto a quella che aveva conosciuto in prigione. Era più forte, più risoluta, come se fosse stata nel profondo dell’inferno e fosse tornata, pronta per affrontare qualsiasi cosa.
“Il peggio che può succedere mi è già accaduto,” disse Dierdre con voce fredda e dura come il bosco che avevano davanti, una voce troppo matura per la sua età.
Kyra annuì, comprendendo, e insieme partirono varcando la linea degli alberi.
Nell’attimo in cui lo fecero Kyra subito sentì un brivido sebbene già di per sé la notte fosse fredda. Era più buio là dentro, più claustrofobico, pieno di antichi alberi neri con rami contorti che sembravano spine e fisse foglie nere. Il bosco non emanava un senso di pace, ma di pura malvagità.
Procedevano a passo spedito, più veloci che potevano in mezzo a quegli alberi, con la neve e il ghiaccio che scricchiolavano sotto gli zoccoli dei loro cavalli. Presto si levarono i rumori di strane creature nascoste tra i rami. Kyra si voltò e osservò i dintorni cercando di scorgerne l’origine, ma senza trovarla. Sentiva che qualcosa li osservava.
Avanzarono addentrandosi sempre più nel bosco e Kyra cercò di dirigersi verso ovest e verso nord come suo padre le aveva detto, fino a che avrebbero trovato il mare. Mentre procedevano Leo e Andor ringhiavano alle creature nascoste che Kyra non poteva vedere mentre si abbassava sotto i rami che la graffiavano. Kyra soppesò la lunga strada che avevano davanti. Era eccitata all’idea della sua impresa, ma desiderava anche stare con la sua gente, combattere al loro fianco nella guerra che era iniziata. Già provava una certa urgenza di tornare.
Ora dopo ora Kyra continuò a scrutare nel bosco, chiedendosi quanto sarebbe passato prima di raggiungere il mare. Sapeva che era rischioso cavalcare in una tale oscurità, ma sapeva che era altrettanto rischioso accamparsi là fuori da sole, soprattutto quando udì un altro rumore che la fece sobbalzare.
“Dov’è il mare?” chiese infine Kyra a Dierdre, più che altro per rompere il silenzio.
Dall’espressione di Dierdre era evidente che l’aveva risvegliata dai suoi pensieri. Poteva solo immaginare in quali incubi fosse persa.
Dierdre scosse la testa.
“Vorrei tanto saperlo,” rispose con voce roca.
Kyra era confusa.
“Non